Francesco Cavalli

L'Ormindo

Favola Regia per Musica

Libretto von Giovanni Faustini.

Uraufführung: Frühjahr 1644, Teatro San Cassiano, Venedig

Favola Regia per Musica

Personaggi
Ormindo, Principe di Tunisini (Tenore),
Amida, Principe di Temisene (Baritone), amanti di Erisbe
Nerillo, suo paggio (Mezzosoprano)
Sigle, Principessa di Susio (Mezzosoprano),
Melide, sua servente (Mezzosoprano),
Erige, sua nutrice (Tenore), mascherate da Egiziane
Erisbe, Regina del Marocco e Fez (Soprano)
Mirinda, sua servente (Mezzosoprano)
Ariadeno, consorte di Erisbe, Re del Marocco e Fez (Basso)
Osmano, Capitano dell'esercito d'Ariadeno (Baritono)
L'azione si svolge in Nord Africa, nella città di Fez

Atto primo

Scena I

ORMINDO solo.
Miracolo d'amore,
vivo ma senza core;
me lo rapì dal petto
un sembiante divino,
un angioletto;
ma benedetto il dì
ch'un suo sguardo di foco il sen m'aprì.
Fu per me ben felice
l'influsso di quell'astro
sanguinoso e guerriero
che costrinse l'Ibero
a coprir l'onde spumanti
degl'Atlantici mari
di bellicosi legni,
per farsi tributari
di Marocco e di Fessa i scettri e i Regni.
Tra gl'incendi d'Aletto
un cieco pargoletto
nelle viscere mie vibrò la face,
e nella guerra ritrovai la pace.

Entrano Amida e Nerillo.

AMIDA.
Cari globi di fiamme,
occhi dell'idol mio,
deh! perché non poss'io,
ah! perché non mi lice,
s'ardo farfalla in voi, sorger fenice?
ORMINDO a parte.
Dello stesso mio duce
segue l'amico l'honorate insegne.

Ad Amida.

Innamorato Amida,
ti sia propizia la tua donna e fida.
AMIDA.
O mia penosa, penosa quiete.
ORMINDO.
Ardisci, ardisci e spera,
sull'ali del coraggio
sen vola amante saggio
di Venere alla sfera,
ardisci, ardisci e spera.
AMIDA.
Ami tu ancora Ormindo?
ORMINDO.
Amo, ed amo in un volto
l'esquisito del ciel chiuso e raccolto.
AMIDA.
Se dell'alma mia diva
tu vedessi l'imago,
stupito rimarresti, immoto e morto.
ORMINDO.
Se tu osassi mirare
del mio Nume il ritratto,
da‘ lampi suoi ferito
cadresti, qual Fetonte incenerito.
AMIDA.
Di palesar concordi
le pregiate vaghezze
non si mostrino avari
amici così cari;
l'uno a l'altro scopriamo
i simulacri amati
delle Dee che inchiniamo.
Scopriamli sì, scopriamli sì.
ORMINDO.
Scopriamli sì, che l'amicizia il chiede,
né permette il tacer la nostra fede.
ORMINDO E AMIDA.
Scopriamli sì ecc.
AMIDA.
Prendi, prendi, dirai …
ORMINDO.
Togli, togli, vedrai.
AMIDA.
Ahi! che veggio?
ORMINDO.
Ahi! che miro?
La mia donna comparte ad altri i rai?
AMIDA.
Si divide in due petti il mio sospiro?
ORMINDO.
Ahi! che veggio? Erisbe, Erisbe
ingannatrice!
AMIDA.
Ahi! che miro? Erisbe, Erisbe
disleale!
ORMINDO.
Pera l'emulo mio, mora il rivale.
AMIDA.
Ma non consenta Giove ch'in
sanguinose prove invida parca
e ria della nostra amicizia
il ferro sia, delle nate
contese facciam arbitra Erisbe.
ORMINDO a parte.
Sconsigliato consiglio è per lui questo.
Perditor si dichiara,

Ad Amida.

a tuoi detti m'arrendo.
AMIDA a parte.
Ho vinto, oh Dei.
ORMINDO.
Trabocchiam le dimore,
forse si troverà nel giardin regio
il commendato e riverito pregio.
AMIDA.
Ti seguo.

A parte.

Ei non s'avvede
che per giungere al male,
l'incauto suo desio gl'affretta il piede.

Escono Ormindo ed Amida.

NERILLO solo.
Quel che creduto io non avrei pur vidi.
Per cagione d'Amore
Ormindo e il mio Signore
si sono quasi uccisi.
Sian maledetti i visi
del sesso femminile
che con malvagi incanti
levano il senno agl'infelici amanti.
O sagace chi sa
fuggir come il suo peggio
la donnesca beltà.
Aprire scuola io voglio
per dar a'miserelli effemminati
utile documento,
perché, se ben il mento
ruvido ancor non ho,
più di quel ch'ognun crede in questo io so.
Beltà mentita e vana,
che per far lacci a'cori
va rubando i capelli
a teschi infraciditi entro gl'avelli.
Ma che parlo de'morti
se con vezzi lascivi
pela spietatamente infino i vivi?
Oh sagace, oh sagace ecc.

Entrano Sicle, Melide ed Erice.

TRIO.
Huat, hanat, Ista
Domiabo damnaustra.
MELIDE.
Se non m'inganno egli è Nerillo.
ERICE.
È desso.
SICLE.
Oh bel giovane, arresta
il frettoloso piede,
se per poca mercede
brami che ti palesi il tuo destino;
ogni cosa indovino.
NERILLO.
Togli, io vo'vedere;
hai tu ricco mestiere
per vincere il disagio, io t'assicuro.
ERICE.
Come è fatto scaltrito.
MELIDE.
E tra le corti avvezzo.
TRIO.
Huat, hanat etc.
SICLE.
Tu di Fessa non sei
e i gioghi dell'Atlante
mai tu varcasti garzoncello errante.
NERILLO.
Come lo sa costei?
SICLE.
Tu nel Regno di Susio in Torodenta
a Principessa amante
fomentasti l'ardore,
mentre del tuo signore
semplice messaggiero,
gl'arrecavi cosparse
di vive fiamme l'amorose carte.
NERILLO.
Meraviglie, Nerillo,
nova Sibilla o dotta Maga è questa.
SICLE.
Or la misera crede
esser da lui delusa,
poi ch'è passato un lustro e a lei non riede.
NERILLO.
Tu devi anco sapere,
poi ch'il tutto ti è noto,
che non sospira, del suo mal presaga,
in van quella meschina.
Erisbe, di Fessa alta Reina,
il suo bramato vago avvince e impiaga.
SICLE.
Ah scellerato.
MELIDE ED ERICE.
Ah traditore
Ah crudo, crudo.
NERILLO.
L'ama Erisbe, ma or ora
ei scoperto ha un rivale,
onde cred'io gelosia l'accora.
MELIDE.
Merta maggior flagello.
TRIO.
Huat, hanat etc.
SICLE.
Ciò che narri io previdi,
ma dir non ti saprei
l'emulo suo come s'appella.
NERILLO.
Ormindo, il più prode guerriero
che sia dal Mauro all'indo;
ma con voi più dimora
far non poss'io.
TRIO.
Huat, hanat etc.
SICLE.
In tempo più opportuno
dell'avvenir ti predirò la sorte.
NERILLO.
Oggi v'attendo in Corte
TRIO.
Verremo sì, verremo.

Esce Nerillo.

SICLE.
Perfidissimo Amida,
il mio crudo martire,
pres'umane sembianze, empio, t'uccida.
Lascia, lascia di Susio il tuo bel regno,
delicata donzella,
e per monti scoscesi
e per deserte arene,
sotto spoglie mentite,
gira le piante ardite
per trovar il tuo bene,
e lieta dove sai
ch'egli dimora corri,
che lo ritroverai,
amante disprezzata,
principessa schernita,
pellegrina tradita,
per novello desio
languir, ohimè di te scordato, oh Dio.
MELIDE.
Frena il cordoglio, frena.
Mercè d'Amore ancora
vedrà cangiata in gioia ogni tua pena.
Frena il cordoglio, frena.
SICLE.
Ammutite, tacete;
con sì vani conforti
consolarmi credete?
Chi, chi mi toglie al die,
carnefice pietoso,
delle sciagure mie?
Chi, chi mi toglie al die?
Angoscie aspre ed acerbe,
se tanto fiere siete,
perché non m'uccidete?
Della sua vita priva,
non viva più la misera, non viva.
Chi, chi mi toglie al die,
carnefice pietoso
delle sciagure mie?
Chi, chi mi toglie al die?

Escono Sigle e Melide.

Scena 2

ERICE solo.
Verginella infelice,
troppo credula, troppo
a‘ scongiuri ingannevoli dell'uomo,
ch'ha del vetro più fragile la fede,
così va ch'in lui spera e a lui crede.
Io, che fui più d'ogn'altra
sempre avveduta e scaltra,
in una forma amai,
ch'i tradimenti suoi poco curai.
Mai volli ch'il mio core
mi volasse dal petto,
né feci mai ricetto,
per tema d'abbruciarlo, il cor d'ardore.
Nell'inconstanza mia sempre costante,
amai solo il diletto e non l'amante.
Chi è saggia ami in tal guisa,
da catene disciolta,
se non vuol esser colta
da feroci cordogli e poi derisa;
se potete gioir senza penare,
donne belle, è pazzia davvero amare.

Scena 3

Giardino Regio

ERISBE.
Se nel sen di giovinetti
sol desia l'alma mia di trar diletti –
vecchio Re
per marito il ciel mi diè.
MIRINDA.
Mal si conviene invero
congiunger treccia d'oro a crin d'argento.
Ti compiango Reina
costretta a passar gl'anni
del tuo Aprile ridente
con un vecchio agghiacciato ed impotente.
ERISBE.
Ti giuro, io gelerei,
fida Mirinda, a lato
del consorte gelato
se doppiamente Amore,
non m'accendesse il core.
O principi diletti
egualmente voi siete
d'Erisbe innamorata
le delizie più rare,
le memorie più care,
i più ricchi tesori,
le speranze migliori.
MIRINDA.
Ben Ormindo ed Amida
a ragione tu adori.
ERISBE.
Se mi cinge,
se mi stringe
doppio laccio e doppio nodo,
il contento
doppio sento,
doppia gioia io provo e godo.

Entrano Ormindo ed Amida, a parte.

AMIDA.
Eccola appunto, Ormindo.
Oh vaghezza.
ORMINDO.
Oh bellezza.
ERISBE (S'ACCOMPAGNA SUL LIUTO).
Vedi là quella rosa,
che negletta ed incolta …
AMIDA.
Per contemplarti un Argo esser vorrei.
ERISBE.
Infracidisce in sulla siepe ombrosa
al suo lo stato mio quasi è simile.
ORMINDO.
Non han forme sì belle in cielo i Dei.
ERISBE.
Ella sfiorisce in sullo stelo ed io
in talamo senile.
MIRINDA.
Ecco Ormindo, Reina.
ERISBE.
Ormindo, Ormindo? Oh cielo.
ORMINDO si avanza.
Fonte di pura luce,
sitibondo, languente,
il mio nume clemente
a te mi riconduce.
AMIDA nascosto.
Troppo ardito ei ragiona.
ERISBE.
A te nulla si nega,
sazia pure i tuoi guardi,
guardi dell'alma mia
pungentissimi dardi,
mira pur, mira e impiaga.
AMIDA sempre nascosto.
Ohimè! che non è questo
semplice complimento.
Oh tormento, oh tormento.
ORMINDO.
Nel vagheggiarti, oh bella,
miro come ogni fiore
che ti lambisce il piede
á fiori del tuo volto i pregi cede.
Oh delicati fiori.
AMIDA.
Foss'io sordo, oh martire,
dolor, fammi morire.
ERISBE.
Per te, nelle mie gote
porporeggia la rosa e ride il giglio;
per te, per te che sei
meta de‘ miei desiri,
centro de‘ miei sospiri.
AMIDA.
Ah, mia fede sprezzata.
ORMINDO.
Piante fiorite,
meco gioite,
e se tra vostre fronde
qualch'invido s'asconde,
invido del mio bene,
tra sue angoscie si strugga, e tra sue pene.
Piante fiorite,
meco gioite.
AMIDA.
Di schernirmi ha ragione.
ORMINDO.
Io parto, io parto, Erisbe.
Se n'va il piè non già l'alma
che vive come sai, nella tua salma.
ERISBE.
Fortunato mio cor,
con diluvi di gioie
tempra l'incendio tuo benigno amor.
Fortunato mio cor, etc.

Ormindo fa finta di partire ma poi torna e si nasconde.

AMIDA.
Che deggio far? Scoprirmi
o pur lasso, partirmi?
Voglio scoprirmi, almeno
udirà la disleale
nelle doglianze mie,
ne'rimproveri miei le sue bugie.

Si scopre.

Erisbe, Erisbe, non dirò più mia,
ch'esser tale non dei,
poi che d'Ormindo sei.
Erisbe, Erisbe. Oh nome anco‘ soave
ne‘ tradimenti amari.
ORMINDO nascosto.
Importuno, ostinato,
cerca de‘ scorni suoi prove più chiare.
ERISBE.
Vezzoso mentitore,
non son tua? tua non sono?
ORMINDO nascosto.
Ohimè! Ch'ascolto?
ERISBE.
Così co'infausti accenti
mi tiranneggi, oh caro, oh crudo Amida.
ORMINDO nascosto.
Senti Ormindo, l'infida.
ERISBE.
Io tradirti incostante?
T'amerò poca polve, ombra vagante.
ORMINDO scoprendosi.
Ah, bugiarda bellezza,
mendace lusinghiera,
più de l'aura leggiera.
ERISBE.
Già ch'il ciel non consente
che la doppia ferita
del mio fervido cor stia più secreta.
Udite, udite, mie pupille amate,
e i gelosi furori ormai sedate.
A vicenda io v'adoro,
ch'ambo v‘ ha nel mio seno
scolpiti, effigiati
l'industre man d'Amore,
fatto d'arcier scultore.
Sradicate dal petto
quel mordace sospetto
che già d'acute spine avvelenate,
vi trafigge la pace; ambo sperate.
ORMINDO.
Oh barbarica legge …
AMIDA.
Oh crudo impero,
acconsentir compagno
nell'amoroso seggio,
ahi lasso, io deggio?
Oh barbarica legge …
ORMINDO.
Dividere lo scettro
del possesso del core,
ahi lasso, io deggio,
oh comando severo,
oh crudo impero …
MIRINDA.
Se'n viene il Re. Partite
e non veduti ancora
per quel sentiero dal giardino uscite.
ERISBE.
Addio miei soli.
ORMINDO ED AMIDA.
Addio oh tiranna mia bella. Oh destin mio.

Escono Ormindo ed Amida. Entra Ariadeno.

ARIADENO.
Oh dell'anima mia
anima sospirata.
Reina idolatrata
dal tuo volto diviso
il mio petto diviene
un inferno di pene.
ERISBE.
Ed io da te lontana,
Signor, di questo core
tra lagrime e lamenti
traggo l'ore e i momenti.
MIRINDA a parte.
Con qual dolcezza ei beve
le bugie della moglie.
ARIADENO.
Oh quanti voti alla fortuna ho fatti
perché vittoriose
decretasse le mie dell'arme Hispane,
non per ambiziose
brame di glorie vane,
ma perché tu non fossi,
bella mia per cui vivo,
preda real di vincitor lascivo.
Tu che i Principi amici
che, con più d'una prora,
da‘ loro genitori
furo inviati in nostra aita, onora,
delle loro destre generose e forti
nacquero le vittorie infra le morti.
ERISBE.
Da‘ tuoi voleri il mio voler dipende,
riceveran da me gl'ospiti egregi,
come di tua salute
invitti difensori,
onorati favori.
MIRINDA a parte.
Riverente consorte!
ARIADENO.
Con i fiori scherzando,
più de‘ fiori vermiglia,
quivi rimanti. Io sono
da‘ regi affari richiamato al trono.
ERISBE.
Non sia ver che tu parta ed io qui resti
da te disgiunta. Io sono
vite senza sostegno.
ARIADENO.
Vieni, vieni d'Amor caro il mio pegno.

Scena 4

MIRINDA.
Se del Perù le vene
d'oro ricche e feconde,
d'immense verghe e bionde
mi dessero tributo,
non torrei per marito un uom canuto.
Oh colei sfortunata
ch'ad un gelido vecchio è maritata.
Vecchi, vecchi insensati
rimbambiti che siete,
voi d'essere amati,
semplicetti, credete?
Il ghiaccio non accende,
né torbida pupilla
destò giammai d'Amor picciol favilla;
se ne ride di voi la gioventù.
Giovanette leggiadre,
s'a insterilir dolenti
presso vecchi impotenti
il Fato vi destina,
vi sia salubre esempio una Reina.

Scena 5

ERISBE E MIRINDA.
Auree trecce inanellate,
che non fate?
Voi rendete concordi,
con tenaci legami, alme discordi … et seg.

Entra Amida.

AMIDA.
Dove, mia bella Aurora,
a scolorar t'en vai
con i begl'occhi tuoi del sole i rai?
ERISBE.
Che ragioni tu degl'occhi miei?
Gl'encomi ch'a lor dai sono de‘ tuoi
in cui l'anima mia, lassa, perdei.
AMIDA.
Ne‘ miei tu la perdesti?
Oppure in quei d'Ormindo,
ohimè, la riponesti?

Entrano Sicle, Melide ed Erice.

ERICE a parte.
Vedi là infedele e la sua vaga.
AMIDA.
Un duro freno al mio pensier tu poni.
SICLE ad Erisbe.
De‘ tuoi dolci desiri,
bellissima Reina,
ogni mente il suo cerchio amica giri.
Il ciel sia teco.
ERISBE.
Vo‘ che spieghino, Amida, i nostri casi
quest‘ Egizie vaganti
che di vere presaghe
si dan titoli e vanti.
AMIDA.
Consenti che primiero
intenda mie venture.
Qual'è di voi più dotta in sulla mano
di palesare le fortune altrui?
TRIO.
Huat, hanat etc.
SICLE.
Non solo della fronte e della mano
i caratteri; i segni,
le linee e i punti io sono
a interpretare avvezza.
TRIO.
Huat, hanat etc.
SICLE.
Ma con maggior certezza
collocando i planeti
con l'immagini fisse
entro dodici case
ch'el Zodiaco comprendono, del nato
soglio predir l'inevitabil fato.
TRIO.
Huat, hanat etc.
MIRINDA.
Come saggia discorre!
AMIDA.
Eccoti qui la destra,
a'tuoi presagi esposta.
SICLE.
Ah! Sconoscente,
la mensale ch'al monte
del indice s'estende
non interrotta e di color di foco
tinta in fin di livore
crudo guerrier t'addita. Oh, traditore.
ERICE.
Oh traditore
MELIDE.
Il principio mi piace …
ERICE.
Vedrem ciò che dirà.
MELIDE.
… pensoso tace.
SICLE.
Queste linee che sono
quì nell'angolo destro
di croce in forma intersecate,
mostrano ch'infiammate …
Ahi! miscredente.
ERISBE.
Quanto ella espone è vero Amida?
MIRINDA.
Come chiude costei
sotto acerbetta età scienza verace?
SICLE.
Cose vo‘ dirti più distinte e chiare
dove Giove è locato
figuretta se'n giace
questa avvien che rivele
la tua natura perfida e infedele …
ERICE.
Infedele?
AMIDA.
Ora tu menti.
SICLE.
Malvagio, non rammenti
di quella Principessa
che appunto in Torodenta …
ERICE.
Ei si scolora?
SICLE.
Cotanto amasti e poi tradisti ingrato?
Ti punirà Nemesi oh scellerato.
AMIDA.
É bugiarda colei,
non li creder, mia speme.
ERISBE.
D'udirti avida sono.
AMIDA.
Ohimè, che dirle vuole
la falsa maga e ria,
non l'udir, alma mia!
SICLE.
Scostati, qual ardire
regi secreti a penetrar ti sprona,
perverso cavaliero?

Ad Erisbe.

S'io non erro, tu adori
quel principe incostante.
Se al suo mentito amor tu crederai,
senti i miei vaticini,
i precipizi tuoi sono vicini.
Se felice esser brami,
opra ch'Ormindo solo il tuo cor ami.
AMIDA.
Cangiata è in volto Erisbe, e che le disse?
ERISBE.
Partir di qui degg'io.

Esce Erisbe.

AMIDA.
Perfida maliarda,
turbatrice crudel de‘ miei riposi,
il tuo ramingo piè mai non si posi.
ERICE a Sicle.
Lascia a me dire.

Ad Amida.

Signor deponi l'ire,
altrettanto giovarti amica io voglio.
Ami questa Reina, io me n'avvidi,
farò che l'otterrai,
nelle braccia l'avrai
AMIDA.
Ah! se tanto talento
t'avesse il ciel concesso
di farmi possessore
di colei che possede
il mio dolente core,
avresti per mercede
quant'oro desiare
può l'istessa avarizia e satollare.
ERICE.
Odi, vicino l'alte mura
che mirano la Libia oggi verrai
pria che nel mar Febo si corchi, intanto
io là me'n vado a preparar l'incanto.
AMIDA.
Verrò, vanne felice.

Esce Amida.

TRIO.
Domiabo, damnaustra
SICLE.
Che malie promettesti al lestrigone?
ERICE.
Vien meco, le saprai, vo‘ che tu finga.

Escono Sicle ed Erice.

Scena 6

MELIDE.
Volevo amar anch'io,
ma vedo che chi serve
Amor, ingiusto Dio,
riceve in guiderdon doglie proterve,
onde il cor sbigottito
di non innamorarsi ha stabilito.
Tendi l'arco a tuo volere,
scocca pur i strali tuoi,
feri, Amor, quanto tu vuoi,
non m'avrai fra le tue schiere,
Tuo poter non temo, no,
credi a me, non t'amerò.

Scena 7

ERISBE.
No no, non vo‘ più amare
un core assuefatto ad ingannare.
A te solo consacro
l'anima intera, Ormindo,
l'altr'idolo rinnego,
con più forti catene a te mi lego, et seg.

Con Mirinda.

Entra Ormindo.

ORMINDO.
Erisbe amata, Erisbe,
io deggio, ahi, che la voce
m'opprime il duolo atroce.
ERISBE.
Lassa, che sia?
ORMINDO.
Deggio da queste rive
sciogliere, ohimè, l'armata,
deggio, deggio partire.
ERISBE.
O Dio, partir tu dei?
Tu dei partir, partire?
ORMINDO.
Dura necessitade,
perversissimo fato,
da questo suol mi spianta
il piede abbarbicato.
ERISBE.
Se tu sei la mia stella,
s'io son tua calamita,
esser da ‚moti tuoi deggio rapita.
Vo‘ venir teco.
ORMINDO.
Me beato.
ERISBE.
Ah no, che parlo?
ORMINDO.
Vieni sì, vieni.
ERISBE.
Verrò.
S'abbandono il consorte
è scusabil l'errore,
sono le colpe mie colpe d'Amore.
ORMINDO ED ERISBE.
De‘ nostri abeti, Amor, sia Teti accorto,
ORMINDO.
Egli ci guidi fortunati in porto.
ERISBE.
Mio core, respira, gioisci, su, su,
nemico al suo ardore il ciel non è più,
mio core, et seg.
ORMINDO ED ERISBE.
Oh mia vita, oh mia vita,
oh, mio bene, oh mio bene, oh mio sospiro.
Sol per te felice vive il mio core,
in dolce, in dolce ardore.
Oh mia speme, oh mio diletto,
oh mio spirto, oh mio diletto,
andiam, andiam ch'Amor c'invita
ai baci, al letto, et seg.

Atto secondo

Scena 1

NERILLO.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata ed insolente!
Ogn'un meco la vole
con fatti e con parole.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata ed insolente!
Mille perigli e mille
mi sovrastano al giorno,
ho cento insidiatori ognor d'intorno,
né so il perché capire,
chi me'l saprebbe dire?
Tal le guancie mi tocca,
che non conosco a pena,
seco cortese m'invita a cena,
né so il perché capire,
chi me'l saprebbe dire?
Ogn'un tace e lo sa,
che città, che città,
non vedo l'ora che ritorni Amida
in Tremisene per partir di qua.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata ed insolente!

Scena 2

ERICE.
Quanto esclamasti, quanto,
perché meco arrecai
questi Regi ornamenti.
Hanno pur da servire a'nostri intenti.
SICLE.
Ti fe‘ provvida il caso.
ERICE.
Non s'indugi, entrate,
conforme il concertato, in questa cava,
il timor discacciate,
togli cotesti addobbi, entrate, entrate.

Escono Sicle e Melide.

Ne gl'animi Reali
non può destare Amore altri ch'Amore,
ma ne‘ cori volgari
nasce da l'oro Amor, cresce con l'oro,
e l'oro impetra quanto vuol da loro.
Invan spendete l'ore,
narcisi innamorati,
per roder guanti mai sarete amati.
S'oro voi non avete,
non entrerete, no, non entrerete.
Han perso la virtude
i versi, i suoni, i canti,
godono solo i donatori amanti.
Nova legge è d'Amore
entri chi dona e chi non da stia fuore,
nova legge è d'Amore.

Entra Amida.

AMIDA.
È questo, s'io non erro,
il loco stabilito. Ecco la maga.
ERICE.
Opportuno qui giungi.
Quanto chiede l'incanto io preparai,
di possenti caratteri il terreno
e di figure sferiche vergai.
Nel centro di quell'orbe,
formato in tua difesa,
posar il piè convienti, a'miei scongiuri
da ingannevole amante alma tradita
de l'orco qui verrà da‘ regni oscuri.
AMIDA.
E come potrà mai
spirito sconsolato
ch'ebbe nemico amore
farm'in amor beato?
ERICE.
Non più; vedrai l'effetto.
Del dannato Cocito
tenebroso monarca, Ecate nera,
le mie parole udite.
Del'ingannata e innamorata schiera
per breve tempo un'alma chieggo a Dite.
Oh anima infelice,
che dal crudo ingannata,
fuggisti disperata
dal bel corpo di Sicle.
AMIDA.
Di Sicle? Qual'alma invochi?
ERICE.
Mentre l'appello qui, chiuder la bocca.
Oh anima infelice et seg.
AMIDA.
Morì Sicle, morì? Deh, narra il come.
ERICE.
Importuno tu sei;
s'uccise, poi ch'intese esser sprezzata
dal suo malvagio amante.
AMIDA.
Lasso che intesi, ahi Sicle, estinta giaci?
ERICE.
Taci.
O anima infelice,
che dal crudo ingannata,
fuggisti disperata
dal bel corpo di Sicle;
Esci da quei terrori
e quivi ascendi a ministrare Amori
Vieni, che tardi?

Entra Sicle.

AMIDA.
Che rimiro? Oh stupore,
sono l'ombre sì belle?
Vien costei da l'inferno o dalle stelle?
SICLE.
Ancor satio non sei,
ingratissimo Amida,
di turbarmi, spietato,
gl'inquieti riposi?
Traditor scellerato.
AMIDA.
Questo pianto che sgorga
da‘ canali degl'occhi
ti faccia fede, alma leggiadra e bella,
che la quiete tua,
come sdegnosa accenni,
per turbar qui non venni.
SICLE.
Così, così tradirmi?
Così per un'adultera lasciarmi?
Ma che? qui t'attendea per vendicarmi.
Uscite fune, uscite
e in quel petto incostante
i chelidri avventate
affliggete il fellone e tormentate.
Ah, no, no, non venite
ministre del martoro
ancor tradita il traditor adoro.
AMIDA.
Oh vendetta d'amore
giusta, quanto inaudita,
per non aver mai pace
son forzato ad amar ombra fugace.
Da che ti rimirai
alma amorosa e vaga, a poco
il petto mio si riempì di foco.
SICLE.
D'ingannar anco tenti
i miseri defunti.
AMIDA.
Ah Sicle mia, perché non sei tu viva?
T'amo spirito caro.
SICLE.
Viva son se tu m'ami,
morta se mi disami.
AMIDA.
T'amo, spirito caro.
SICLE.
Eccola la tua Sicle, amato Amida.
Non son quel credi
corpo d'acre formato,
non ho d'arpia le piante
che ti abbraccia consenti,
son palpabile, tocca. Ah, tu paventi.
AMIDA.
Va in pace, ombra vezzoza.
Magico carme mai
rimirar non ti sforzi
o di Cintia o di Febo
la faccia luminosa.
Va in pace.
SICLE.
Ah, lascia mai
pensier sì pertinace,
al tatto, al tatto credi.
Io Sicle son e non di Sicle ombra.
AMIDA.
Dunque corporea sei?
SICLE.
Te lo diran gl'abbracciamenti miei.
AMIDA.
Ed io, mentre contemplo il tuo bel viso
parmi vedere aperto il Paradiso.
SICLE ED AMIDA.
Saett'amor, saetta
con strali del piacere i nostri cori.

Scena 3

MIRINDA sola.
Che dirà, che farà
l'innamorato Re
quando di questa Regina infedele ei
nova avrà?
Che dirà, che farà?
Col nerboruto amante
fuggi Erisbe, fuggi,
s'avessi un vecchio anch'io farei così.
Non vorrei, no, morire
di rabbia e di dispetto,
moglie del curvo tempo e del difetto.
Renderei paga la mia fresca età.
Scusami l'onestà!
Chioma di brine aspersa,
volto asciutto e rugoso,
nulla non turberebbe il mio riposo,
d'amanti arricchirei la mia beltà.
Scusami l'onestà!
Bocca gentil e vaga,
che dolci ridonare
sapesse i baci miei vorrei baciare,
troverei ben chi avria di me pietà.
Scusami l'onestà!

Scena 4

ARIADENO.
Ah pigri! Che tardate?
gl'abeti al mare, al mare via consegnate.
Su di candide penne
vestite omai l'antenne.
Segua, seguasi a volo
la coppia fuggitiva ed infedele.
Via, date a l'acque i pini, ai pin le vele.
O Re, fra quanti cingono la fronte
d'attortigliate e riverite bende,
il più schernito, ah infida, e calpestato
dal crudo piè del fato.
Ah pigri! Che tardate?
gl'abeti al mare, al mare, via, consegnate.
OSMANO.
Cessino pure, oh Sire,
dal faticar le turbe,
non è d'uopo d'abeti.
Nove liete t'apporto.
Son stati presi Ormindo Erisbe in porto.
ARIADENO.
Oh quanto giusti siete,
oh Numi, oh voi, che dal supremo Olimpo
le colpe de'mortali qua giù scorgete.
Avvelenati siano, Osmano, i rei.
OSMANO.
Ormindo, ohimè, deve morir Signore?
ARIADENO.
Gl'adulteri il veleno or ora uccida.
Eseguisci l'imposto, Osmano,
morano dico.

Esce Ariadeno.

OSMANO.
Povero Ormindo, ah, non ti fossi amico.

Scena 5

MIRINDA.
In grembo al caro amato,
Erisbe solca il mare.
Invidio la sua fuga ed il suo stato.
OSMANO.
Nell'ocean trabocchi
di sanguigno rossore
macchiato il sol, tutto spirante orrore.
MIRINDA.
Sempre tu ti quereli d'amor.
Io non t'amo, ti fuggo e non ti voglio.
Or non comprendi tu la tua stoltezza?
Non possono i sospir mover un scoglio.
Io non t'amo, ti fuggo e non ti voglio.
OSMANO.
Ora non mi lamento
della tua crudeltà, cruda Mirinda,
piango l'ora vicina
della morte d'Ormindo.
MIRINDA.
Ohimè, che narri?
Non dier le vele a'venti
i navili d'Ormindo?
OSMANO.
I venti a punto
li rigettare al lido inermi e infranti.
Prigioni sono. Ormindo
deve morire per questo velen
e della stessa morte seco Erisbe morrà.
Così m'impone il Re ch'eseguir faccia.
MIRINDA.
Ohimè, che intesi? Ohimè, miseri amanti,
non v'è rimedio, Osman?
OSMANO.
È troppo offesa
la maestà Real. Pure vogl'io
o salvarli o morir.
MIRINDA.
D'opra sì generosa
me stessa in premio avrai.
OSMANO.
Oh promesse, oh promesse,
con quai stimoli acuti ora pungete
il mio desio fervente
di salvare Ormindo ed Erisbe.
Io vado, a salvarli o morire.
MIRINDA.
Vanne, e i pensier tuoi
sian dal ciel favoriti,
il modo d'eseguirli egli t'additi.

Scena 6

ORMINDO.
Conosco gl'apparati,
tu m'arrechi la morte
e proferir non l'osi?
OSMANO.
A te questa che miri
velenosa bevanda
ed alla bella Erisbe il Rege manda.
ORMINDO.
Ch'io morir deggia è giusto,
con violento sforzo.
a l'onor d'Ariadeno insidie tesi,
con le rapine mie troppo l'offesi.
Ma che mora costei
non è giustitia, no, non è ragione,
la forza mia fu del suo error cagione.
ERISBE.
No, no, non morrai solo,
procuri in van ch'io viva,
fu la fuga elettiva,
io ti seguii, la colpa è mia, si deve
a me questo velen.
ORMINDO.
Oh dio, che fai?
OSMANO.
Come intrepida il beve!
ERISBE.
Vo'pria di te morire
per non vederti, anima mia, languire.
ORMINDO.
Ah timido, che tardo?
Porgetemi quel tosco,
ci chiuda le palpebre
un'istesso occidente,
in un medesimo punto
voli altrove al tuo spirto il mio congiunto.
ERISBE.
Ah questo è l'himeneo,
che ci promise d'Amatunta il Dio?
Son queste le sue faci
ch'arder doveano intorno a nostri letti,
per infiammarci maggiormente i petti?
Oh di superbo e dispietato nume,
traditrice natura, empio costume.
ORMINDO.
Non ti doler d'Amore,
non l'oltraggiar, mio core.
Sua mercede godrem gioia infinita
ne‘ felici giardini,
di veraci riposi unici nidi,
spiriti uniti eternamente e fidi.
ERISBE.
Sì, sì, che questa notte
in virtute d'Amore a le nostr'alme,
aprirà un dì lucente perpetuo e permanente.
ORMINDO.
Sì, sì non ti doler, et seg.
ERISBE.
Ohimè, gelida mano
le palpebre mi serra,
su gl'omeri mi cade
languido il capo, io vado.
ORMINDO.
Erisbe aspetta,
io vengo, di già prende
il mio spirito amante
le licenze dal corpo agonizzante.
ERISBE.
Io moro, de la Parca
l'acciaro trattener più non poss'io,
ne gl'Elisi t'attendo.
ORMINDO.
Io vengo, di già prende et seg.
ERISBE.
Ormindo, Ormindo addio.
ORMINDO.
Ahi, spirò la mia vita,
eclissato è il mio sole,
sol di bellezza vera,
in cui menda non era.
Piangete, Amori, Venere ch'è morta.
E per formarle l'odorata pira
spennacchiatevi l'ali,
spezzate gl'archi, accumulate i strali.
Piangete, Amori, et seg.
Ti seguo, anima mia.

Entra Ariadeno.

ARIADENO.
Son morti questi adulteri?
OSMANO.
Pur ora
intrepidi spiraro.
ARIADENO.
Io sono umano al fine
e non trassi il natal da balze alpine.
Per calpestar qui venni
i cadaveri impuri,
tutto sdegno e rigore, e appena giunto,
a sì tragico oggetto
la pietade m'accese il freddo petto.
Scorgo esangue colui
ch'il Regno mi salvò col suo valore.
Miro estinto il mio Amore.
Io son umano al fine.
Oh Ormindo, oh Erisbe, oh lagrimevol caso,
spente l'accese voglie
t'avrei cessa la moglie,
e con la moglie il Diadema e ‚l Regno,
oh Ormindo, illustre e degno.
OSMANO.
Non s'indugi a scoprir l'inganno ignoto.
Sire, se trasgredii gl'ordini tuoi,
per ricever la pena eccomi pronto.
Obbligato ad Ormindo
d'avvelenarlo con Erisbe in vece,
sonnifero li porsi,
con pensiero di trarli
dal sepolcro e serbarli
a fortuna migliore.
Non sono estinti, dormono, Signore.
ARIADENO.
Dormono? Oh ne le vite loro
ravvivato Ariadeno.
E la tua frode
degna di premio immenso e d'alta lode.
Ne‘ loro sentimenti
ritornino i dormienti.
Fortunata vecchiezza, ch'avrà sì forte appoggio,
OSMANO.
Cominciano a svegliarsi.
ORMINDO.
Erisbe, Erisbe.
ERISBE.
Ormindo, Ormindo.
ORMINDO.
Eccoci pure uniti,
ma dove siam? Che miro,
son queste illusioni,
non morii?
OSMANO.
No, sonnifero vi porsi
contro gl'ordini avuti,
per trarvi dagl'Avelli.
ORMINDO.
Oh Re, offeso
dalla perfidia mia,
perdona alle mie colpe,
scusa alle mie colpe,
mi suggerì Cupido i tradimenti.
ARIADENO.
Non si parli d'offese,
so la forza d'Amore,
questa, che del tuo core
posseditrice è fatta,
resti pur teco avvinta
con un nodo più forte.
Sia tua Regia consorte,
e perché gl'anni miei
m'invitano alla quiete, io ti consegno
e ti rinuntio con la moglie il Regno.
Al seggio d'oro accrescerai splendore.
ERISBE ED ORMINDO.
Un talamo ed un letto
ne sarà pur comune.
Amoroso diletto,
i residui del duolo
scaccia da 'nostri petti e regna solo.

Entrano Sicle ed Amida.

SICLE ED AMIDA.
Riverita Reina.
AMIDA.
Riconosci, Reina,
questa Egitia presaga? Ella, lasciato
di Susio il patrio Regno,
qui di beltà con l'armi
venne, suo contumace, a debellarmi.
ERISBE.
Principessa gentile, i nostri Amori
corsero a loro desiati fini
per strade ignote e precipiti alpini.
SICLE ED AMIDA.
Volate, fuggite
dal seno, martiri,
cessate, svanite,
dogliosi sospiri.
INSIEME.
D'Amor non si quereli
quel cor che vive in pene.
Egli usa a‘ suoi fedeli
arrecar pria tormenti,
per rendere più dolci i lor contenti, et seg.