Niccolò Jommelli

L’Olimpiade

Dramma per musica

Libretto von Pietro Metastasio

Uraufführung: 11.02.1761, Hoftheater, Stuttgart

Personaggi

Clistene, Re di Sicione, Padre di Aristea
Aristea, sua Figlia, Amante di Megacle
Argene, Dama Cretese in abito di Pastorella, sotto nome di Licori, Amante di Licida
Megacle, Amante di Aristea, ed Amico di Licida
Licida, creduto Figlio del Re di Creta, Amante di Aristea, ed Amico di Megacle
Aminta, Ajo di Licida
Alcandro, Confidente di Clistene

Comparse

Sagri Ministri
Nobili
Guardie Reali
Soldati del seguito di Clistene
Coro di Atleti
Coro di Pastori e Ninfe
Paggi
Popolo

Atto primo.

Scena I.

Fondo selvoso di cupa, ed angusta valle, adombrata dall’alto da grandi alberi, che giungono ad intrecciare i rami dall‘ uno all‘ altro colle, fra i quali è chiusa.

Licida, ed Aminta.

LICIDA.
O Risoluto, Aminta:
Più consiglio non vuò.
AMINTA.
Licida, ascolta.
Deh modera una volta
Questo tuo violento
Spirito intollerante.
LICIDA.
E in chi poss’io,
Fuor che in me, più sperar? Megacle istesso,
Megacle m’abbandona
Nel bisogno maggiore! Or va, riposa
Su la fe d’un Amico.
AMINTA.
Ancor non dei
Condannarlo però. Breve cammino
Non è, quel che divide
Elide, in cui noi siamo,
Da Creta, ov’ei restò. Prescritta è l’ora
Agli Olimpici Giuochi
Oltre il meriggio, ed or non è l’aurora.
LICIDA.
Sai pur, che ognun che aspiri
All‘ Olimpica palma, or su’l mattino
Dee presentarsi al tempio. Il grado, il nome,
La patria palesar. Di Giove all’ara
Giurar, di non valersi
Di frode nel cimento.
AMINTA.
Il so.
LICIDA.
T’è noto,
Ch’escluso è dalla pugna,
Chi quest’atto solenne
Giunge tardi a compir? Vedi la schiera
De‘ concorrenti Atleti? Odi il festivo
Tumulto pastoral? Dunque, che deggio
Attender più? Che più sperar?
AMINTA.
Ma quale
Sarebbe il tuo disegno?
LICIDA.
All’ara innanzi
Presentarmi con gli altri.
AMINTA.
E poi?
LICIDA.
Con gli altri
A suo tempo pugnar.
AMINTA.
Tu!
LICIDA.
Sì. Non credi
In me valor che basti?
AMINTA.
Eh qui non giova,
Prence, il saper come si tratti’l brando.
Altra specie di guerra, altri armi, ed altri
Studj son questi. Ignoti nomi a noi
Cesto, Disco, Palestra; a tuoi rivali,
Per lung’uso, son tutti
Familiari esercizj. Al primo incontro
Del giovanile ardire
Ti potresti pentir.
LICIDA.
Se fosse a tempo
Megacle giunto a tai contese esperto,
Pugnato avria per me. Ma s’ei non viene,
Che far degg’io? Non si contrasta, Aminta,
Oggi in Olimpia del servaggio ulivo
La solita corona; al vincitore
Sarà premio Aristea, Figlia reale
Dell‘ invitto Clistene: onor primiero
Delle Greche sembianze: unica, e bella
Fiamma di questo cor, benche novella.
AMINTA.
Ed Argene?
LICIDA.
Ed Argene
Più riveder non spero. Amor non vive,
Quando muor la speranza.
AMINTA.
E pur giurasti
Tante volte ….
LICIDA.
T’intendo. In queste fole,
Finchè l ora trascorra
Trattener mi vorresti. Addio.
AMINTA.
Ma senti.
LICIDA.
No, no.
AMINTA.
Vedi che giunge ….
LICIDA.
Chi?
AMINTA.
Megacle.
LICIDA.
Dov’è?
AMINTA.
Fra quelle piante
Parmi … No … non è desso.
LICIDA.
Ah mi deridi:
E lo merito, Aminta. Io fui sì cie co,
Che in Megacle sperai.

Volendo partire.

Scena II

Megacle, e detti.

MEGACLE.
Megacle è teco.
LICIDA.
Giusti Dei!
MEGACLE.
Prence.
LICIDA.
Amico.
Vieni, vieni al mio seno. Ecco risorta
La mia speme cadente.
MEGACLE.
E sarà vero
Che’l Ciel m’ossffra una volta
La via d’esserti grato?
LICIDA.
E pace, e vita
Tu puoi darmi, se vuoi.
MEGACLE.
Come?
LICIDA.
Pugnando
Nell‘ Olimpico agone
Per me; col nome mio.
MEGACLE.
Ma tu non sei
Noto in Elide ancor?
LICIDA.
No.
MEGACLE.
Quale oggetto
à questa trama?
LICIDA.
Il mio riposo. Oh Dio!
Non perdiamo i momenti. Appunto è l’ora
Che de‘ rivali Atleti
Si raccolgono i nomi. Ah vola al tempio,
Dì, che Licida sei. La tua venuta
Inutile sarà, sé più soggiorni.
Vanne. Tutto saprai, quando ritorni.
MEGACLE.
Superbo di me stesso
Andrò, portando in fronte
Quel caro Nome impresso
Come mi sta nel cor.
Dirà la Grecia poi,
Che fur comuni a noi
L’opre, i pensier, gli affetti,
E al fine i nomi ancor.

Parte.

Scena III.

Licida, ed Aminta.

LICIDA.
Oh generoso Amico!
Oh Megacle fedel!
AMINTA.
Così di lui
Non parlavi poc’anzi.
LICIDA.
Eccomi al fine
Possessor d’Aristea. Vanne, disponi
Tutto, mio caro Aminta. Io con la Sposa
Prima che il Sol tramonti
Voglio quindi partir.
AMINTA.
Più lento, o Prence,
Nel fingerti felice. Ancor vi resta
Molto di che temer.
LICIDA.
Quanto importuno
è questo tuo nojoso
Perpetuo dubitar. Vicino al porto
Vuoi ch’io tema il naufragio! A‘ dubbi tuoi
Chi presta fede intera,
Non sa mai quando è l’alba, o quando è sera.
Quel destrier, che all‘ albergo è vicino,
Più veloce s’affretta nel corso:
Non l’arresta l’angustia del morso,
Non la voce, che legge gli dà.
Tal quest’alma, che piena e di speme,
Nulla teme, consiglio non sente:
E si forma una gioja presente
Del pensiero che lieta farà.

Partono.

Scena IV.

Vasta campagna alle falde d’un monte, sparse di Capanne pastorali. Ponte rustico su’l fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente commessi. Veduta della Città d’Olimpia in lontano, interrotta da poche piante, che adornano la pianura, ma non l’ingombrano.

Argene in abito di Pastorella tessendo ghirlande. Coro di Ninfe, e Pastori tutti occupati in lavori pastorali. E poi Aristea con seguito.

CORO.
O care selve, o cara
Felice libertà.
ARGENE.
Qui se un piacer si gode,
Parte non v’à la frode;
Ma lo codisce a gara
Amore, e fedeltà.
CORO.
O cara selve, o cara
Felice libertà.
ARGENE.
Qui poco ognun possiede,
E ricco ognun si crede:
Nè pìu bramando impara
Che cosa è povertà.
CORO.
O care selve, o cara
Felice libertà.
ARGENE.
Senza custodi, o mura,
La pace è quì sicura,
Che l’altrui voglia avara
Onde allettar non à.
CORO.
O care selve, o cara
Felice libertà.
ARGENE.
Qui gl’innocenti amori
Di Ninfe ….

S’alza da sedere.

ARISTEA.
Ecco Aristea
Siegui, o Licori.
ARGENE.
Già il rozzo mio soggiorno
Torni a render felice, o Principessa?
ARISTEA.
Ah fuggir da me stessa
Potessi ancor, come dagli altri. Amica,
Tu non sai, qual funesto
Giorno per me sia questo.
ARGENE.
é questo un giorno
Glorioso per te. Di tua bellezza
Qual può l’età futura
Prova aver più sicura? A conquistarti
Nell‘ Olimpico agone
Tutto il fior della Grecia oggi s’espone.
ARISTEA.
Ma chi bramo non v’è. Deh si proponga
Men funesta materia
Al nostro raggionar. Siedi Licori.
Gl’interrotti lavori

Siede Aristea.

Riprendi, e parla. Incomminciasti un giorno
A narrarmi i tuoi casi.
Il tempo è questo.
Di proseguirgli. Il mio dolor seduci,
Raddolcisci, se puoi,
I miei tormenti in rammentando i tuoi.
ARGENE.
Se avran tanta virtù, senza mercede
Non va la mia costanza. A te già dissi,

Siede.

Che Argene è il nome mio: che in Creta io nacqui
D’illustre sangue: e che gli affetti miei
Fur più nobili ancor de‘ miei natali.
ARISTEA.
So fin qui.
ARGENE.
De‘ miei mali
Ecco il principio. Del Cretense soglio
Licida il regio Erede,
Fù la mia fiamma, ed io la sua: celammo
Prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
L’amor s’accrebbe, e (come in tutti avviene)
La prudenza scemò. Comprese alcuno
Il favellar de‘ nostri sguardi: ad altri
I sensi ne spiegò: di voce in voce
Tanto in breve si stese
Il maligno rumor, che’l Re l’intese.
Se ne sdegnò: sgridonne il figlio: a lui
Vietò, di più vedermi, e col divieto
Glien’accrebbe il desio. Che aggiunge il vento
Fiamme alle fiamme: e più superbo un fiume
Fanno gli argini opposti. Ebbro d’amore
Freme Licida, e pensa
Di rapirmi, e fuggir. Tutto il disegno
Spiega in un foglio: a me l’invia. Tradisce
La fede il Messo, e al Re lo reca. è chiuso
In custodito albergo
Il mio povero Amante. A me s’impone,
Che a straniero Consorte
Porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
Contro di me si dichiara. Il Re minaccia:
Mi condannan gli amici: il Padre mio
Vuol, che al nodo acconsenta. Altro riparo,
Che la fuga, o la morte
Al mio caso non trovo. Il men funesto
Credo il più faggio, e lesseguisco. Ignota
In Elide pervenni. In queste selve
Mi proposi abitar. Qui fra Pastori
Pastorella mi finsi; or son Licori.
Ma serbo al caro Bene
Fido in sen di Licori il cor d’Argene.
ARISTEA.
In ver mi fai pietà. Ma la tua fuga
Non approvo però. Donzella, e fola
Cercar contrade ignote:
Abbandonar ….
ARGENE.
Dunque dovea la mano
A Megacle donar?
ARISTEA.
Megacle? (Oh Nome!)
Di qual Megacle parli?
ARGENE.
Era lo sposo
Questi, che’l Re mi destino. Dovea
Dunque obbliar ….
ARISTEA.
Ne sai la patria?
ARGENE.
Atene.
ARISTEA.
Come in Creta pervenne?
ARGENE.
Amor ve’l trasse, (Com’ei stesso dicea)
ramingo afflitto.
Nel giungervi fu colto
Da stuol di Masnadieri, e oppresso ormai
La vita vi perdea: Licida a sorte
Vi si avvenne, e’l salvò. Quindi fra loro
Fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
Fu noto al Padre; e dal reale impero
Destinato mi fu, perchè straniero.
ARISTEA.
Ma ti ricordi ancora
Le sue sembianze?
ARGENE.
Io l’ò presente. Avea
Bionde le chiome, oscuro il ciglio: i labbri
Vermigli sì, ma tumidetti, e forse
Oltre il dover: gli sguardi
Lenti, e pietosi: un arrossir frequente:
Un soave parlar … Ma … Principessa
Tu cambi di color! Che avvenne?
ARISTEA.
Oh Dio!
Quel Megacle, che pingi, è l’Idol mio.
ARGENE.
Che dici?
ARISTEA.
Il vero. A lui
Lunga stagion già mio secreto amante,
Perche nato in Atene,
Niegommi il Padre mio: nè volle mai
Conoscerlo, vederlo,
Ascoltarlo una volta. Ei disperato
Da me partì: più no’l rividi: e in questo
Punto da te so de‘ suoi casi il resto.
ARGENE.
In ver. sembrano i nostri
Favolosi accidenti.
ARISTEA.
Ah sei sapesse
Ch’oggi per me qui si combatte!
ARGENE.
In Creta
A lui voli un tuo servo: e tu procura
La pugna differir.
ARISTEA.
Come?
ARGENE.
Clistene
è pur tuo Padre: ei qui presiede eletto
Arbitro delle cose: ei può, se vuole …
ARISTEA.
Ma non vorrà.
ARGENE.
Che nuoce,
Principessa, il tentarlo?
ARISTEA.
E ben, Clistene
Vadasi a ritrovar,

S’alzano.

ARGENE.
Fermati. Ei viene

Scena V.

Clistene con seguito, e dette.

CLISTENE.
Figlia, tutto è compito. I nomi accolti:
Le vittime svenate: al gran cimento
L’ora prescritta. E più la pugna ormai,
Senza offesa de‘ Numi,
Della publica se, dell‘ onor mio
Disserir non si può.
ARISTEA.
(Speranze addio!)
CLISTENE.
Ragion d’esser superba
Io ti darei, se ti dicessi tutti
Quei, che a pugnar per te vengono a gara.
V’è Olinto di Megara:
V’è Clearco di Sparta: Ati di Tebe:
Erilo di Corinto: e fin di Creta
Licida venne.
ARGENE.
Chi!
CLISTENE.
Licida, il figlio
Del Re Cretense.
ARISTEA.
Ei pur mi brama?
CLISTENE.
Ei viene
Con gli altri a pruova.
ARGENE.
(Ah si scordò d’Argene.)
CLISTENE.
Sieguimi, o Figlia.
ARISTEA.
Ah questa pugna, o Padre,
Si differisca.
CLISTENE.
Un impossibil chiedi:
Dissi perchè. Ma la cagion non trovo
Di tal richiesta.
ARISTEA.
A divenir soggette
Sempre v’è tempo. è d’Imeneo per noi
Pesante il giogo: e già senz‘ esso abbiamo
Che soffrire abbastanza
Nella nostra servil sorte infelice.
CLISTENE.
Dice ognuna cosi; ma il ver non dice.
Del destin non vi lagnate,
Se vi rese a noi soggette:
Siete serve, ma regnate
Nella vostra servitù.
Forti noi, voi belle siete:
E vincete in ogni impresa,
Quando vengono a contesa
La Bellezza, e la Virtù.

Parte.

Scena VI.

Aristea, ed Argene.

ARGENE.
Udisti, o Principessa?
ARISTEA.
Amica, addio.
Convien, ch’io siegua il Padre. Ah tu che puoi
Del mio Megacle amato,
Se pietosa pur sei, come sei bella,
Cerca, recami (oh Dio) qualche novella.
Tu di saper procura
Dove il mio Ben s’aggira:
Se più di me si cura,
Se parla più di me.
Chiedi, se mai sospira,
Quando il mio nome ascolta
Se’l proferì tal volta,
Nel ragionar fra sè.

Parte.

Scena VII.

ARGENE sola.
Dunque Licida ingrato
Già di me si scordò! Povera Argene,
A che mai ti serbar le stelle irate!
Imparate, imparate,
Inesperte Donzelle. Ecco lo stile
De‘ lusinghieri amanti. Ognun vi chiama
Suo Ben, sua Vita, e suo Tesoro: ognuno
Giura che a voi pensando
Vaneggia il dì, veglia le notti: an l’arte
Di lagrimar, d’impallidir. Tal volta
Par che su gli occhi vostri
Voglian morir, fra gli amorosi affanni
Guardatevi da lor. Son tutti inganni.
Più non si trovano
Fra mille amanti
Sol due bell‘ anime
Che sian costanti:
E tutti parlano di fedeltà.
E il reo costume
Tanto s’avanza,
Che la costanza
Di chi ben ama
Ormai si chiama
Semplicità.

Parte.

Scena VIII.

Licida, e Megacle da diverse parti.

MEGACLE.
Licida.
LICIDA.
Amico.
MEGACLE.
Eccomi a te.
LICIDA.
Compisti ….
MEGACLE.
Tutto, o Signor. Già col tuo nome al tempio
Per te mi presentai. Per te fra poco
Vado al cimento. Or fin che’l noto segno
Della pugna si dia, spiegar mi puoi
La cagion della trama.
LICIDA.
Oh, se tu vinci,
Non à di me più fortunato amante
Tutto il regno d’Amor.
MEGACLE.
Perché?
LICIDA.
Promessa
In premio al Vincitore
è una real Beltà. La vidi appena,
Che n’arsi, e la bramai. Ma poco esperto
Negli Atletici studj ….
MEGACLE.
Intendo. Io deggio
Conquistarla per te.
LICIDA.
Sì. Chiedi poi
La mia vita, il mio sangue, il Regno mio,
Tutto, o Megacle amato, io t’offro, e tutto
Scarso premio sarà.
MEGACLE.
Di tanti, o Prence,
Stimoli non fa d’uopo
Al grato servo, al fido amico. Io sono
Memore assai de doni tuoi: rammento
La vita che mi desti. Avrai la Sposa:
Speralo pur. Nella palestra Elea
Non entro pellegrin. Bevve altre volte
I miei sudori. Ed il silvestre Ulivo
Non è per la mia fronte
Un insolito fregio. Io più sicuro
Mai di vincer non fui. Desio d’onore,
Stimoli d’amistà mi fan più forte.
Anelo, anzi mi sembra
D’esser già nell‘ agon. Gli emuli al fianco
Mi sento già: già gli precorro: e asperso
Dell‘ Olimpica polve il crine, il volto,
Del volgo spettator gli applausi ascolto.
LICIDA.
O dolce Amico! O cara

Abbracciandolo.

Sospirata Aristea!
MEGACLE.
Che!
LICIDA.
Chiamo a nome
Il mio Tesoro.
MEGACLE.
Ed Aristea si chiama?
LICIDA.
Appunto.
MEGACLE.
Altro ne sai?
LICIDA.
Presso a Corinto
Nacque in riva all‘ Asopo. Al Re Clistene
Unica prole.
MEGACLE.
(Aimè. Questa è il mio Bene.)
E per lei si combatte?
LICIDA.
Per lei.
MEGACLE.
Questa degg’io
Conquistarti pugnando?
LICIDA.
Questa.
MEGACLE.
Ed è tua speranza e tuo conforto
Sola Aristea?
LICIDA.
Sola Aristea.
MEGACLE.
(Son morto.)
LICIDA.
Non ti stupir. Quando vedrai quel volto
Forse mi scuserai. D’esserne Amanti
Non avrebbon tossore i Numi istessi.
MEGACLE.
(Ah così no’l sapessi.)
LICIDA.
Oh se tu vinci!
Chi piu lieto di me? Megacle istesso
Quanto mai ne godrà! Dì, non avrai
Piacer del piacer mio?
MEGACLE.
Grande.
LICIDA.
Il momento
Che ad Aristea m’annodi,
Megacle dì, non ti parrà felice?
MEGACLE.
Felicissimo. (Oh Dei!)
LICIDA.
Tu non vorrai
Pronubo accompagnarmi
Al talamo nuzial?
MEGACLE.
(Che pena!)
LICIDA.
Parla.
MEGACLE.
Sì. Come vuoi. (Qual nuova specie
è questa di martirio, d’inferno!)
LICIDA.
Oh quanto il giorno
Lungo è per me! Che l’aspettare uccida
Nel caso in cui mi vedo,
Tu non credi, o non sai.
MEGACLE.
Lo so: lo credo.
LICIDA.
Senti Amico. Io mi fingo
Già l’avvenir: già col desio possiedo
La dolce sposa.
MEGACLE.
(Ah questo è troppo.)
LICIDA.
E parmi ….
MEGACLE.
Ma taci. Assai dicesti. Amico io sono:

Con impeto.

Il mio dover comprendo;
Ma poi ….
LICIDA.
Perche ti sdegni? In che t’offendo?
MEGACLE.
(Imprudente che feci!) Il mio trasporto

Si ricompone.

è desio di servirti. Io stanco arrivo
Dal camin lungo: ò da pugnar: mi resta
Picciol tempo al riposo, e tu me’l togli.
LICIDA.
E chi mai ti ritenne
Di spiegarti fin ora?
MEGACLE.
Il mio rispetto.
LICIDA.
Vuoi dunque riposar?
MEGACLE.
Sì.
LICIDA.
Brami altrove
Meco venir?
MEGACLE.
No.
LICIDA.
Rimaner ti piace
Qui fra quest‘ ombre?
MEGACLE.
Sì.
LICIDA.
Restar deggi’o?
MEGACLE.
No.

Con impazienza. E si getta a sedere.

LICIDA.
(Strana voglia!) E ben, riposa. Addio.

Parte.

Scena IX.

MEGACLE solo.
Che intesi eterni Dei! Quale improvviso
Fulmine mi colpì! L’Anima mia
Dunque fia d’altri! E ò da condurla io stesso
In braccio al mio Rival! Ma quel Rivale
è il caro Amico. Ah quali nomi unisce
Per mio strazio la Sorte! Eh che non sono
Rigide a questo segno.
Le leggi d’amistà. Perdoni il Prence,
Ancor io sono amante. Il domandarmi
Ch’io gli ceda Aristea, non è diverso
Dal chiedermi la vita. E questa vita
Di Licida non è? Non fu suo dono?
Non respiro per lui? Megacle ingrato,
E dubitar potresti? Ah se ti vede
Con questa in volto infame macchia, e rea,
à ragion d’abborrirti anche Aristea.
No, tal non mi vedrà. Voi soli ascolto
Obblighi d’amistà, pegni di fede,
Gratitudine, Onore. Altro non temo
Che il volto del mio Ben. Questo s’eviti
Formidabile incontro. In faccia a lei,
Misero che farei! Palpito, e sudo
Solo in pensarlo, e parmi
Istupidir, gelarmi,
Confondermi, tremar … No, non potrei …

Scena X.

Aristea, e detto, poi Alcandro.

ARISTEA.
Stranier.

Senza vederlo in viso.

MEGACLE.
Chi mi sorprende?

Rivoltandosi.

ARISTEA.
(Oh Stelle!)
MEGACLE.
Oh Dei!

Riconoscendosi.

ARISTEA.
Megacle! Mia speranza!
Ah sei pur tu. Pur ti riveggo. Oh Dio!
Di gioja io moro. Ed il mio petto appena
Può alternare i respiri. Oh caro, oh tanto
E sospirato, e pianto,
E richiamato in vano. Udisti al fine
La povera Aristea. Tornasti: e come
Opportuno tornasti! Oh amor pietoso!
Oh felici martiri!
Oh ben sparsi fin or pianti, e sospiri!
MEGACLE.
(Che siero caso è il mio!)
ARISTEA.
Megacle amato,
E tu nulla rispondi?
E taci ancor? Che mai vuol dir quel tanto
Cambiarti di color? Quel non mirarmi,
Che timido, e confuso? E quelle a forza
Lagrime trattenute? Ah più non sono
Forse la fiamma tua? Forse …
MEGACLE.
Che dici!
Sempre … sappi … Son io …
Parlar non so. (Che fiero caso è il mio!)
ARISTEA.
Ma tu mi fai gelar. Dimmi: non sai,
Che per me qui si pugna?
MEGACLE.
Il so.
ARISTEA.
Non vieni
Ad esporti per me?
MEGACLE.
Sì.
ARISTEA.
Perche mai
Dunque sei così mesto?
MEGACLE.
Perché … Barbari Dei! (Che inferno è questo!)
ARISTEA.
Intendo. Alcun ti fece
Dubitar di mia fe. Se ciò t’affanna,
Ingiusto sei. Da che partisti, o Caro,
Non son rea d’un pensier. Sempre m’intesi
La tua voce nell‘ alma. ò sempre avuto
Il tuo nome fra‘ labbri,
Il tuo volto nel cor. Mai d’altri accesa
Non fui, non sono, e non sarò. Vorrei …
MEGACLE.
Basta. Lo so.
ARISTEA.
Vorrei morir più tosto,
Che mancarti di fede un sol momento.
MEGACLE.
(Oh tormento maggior d’ogni tormento!)
ARISTEA.
Ma guardami: ma parla:
Ma dì ….
MEGACLE.
Che posso dir?
LICIDA.
Signor, t’affretta,

Esce frettoloso.

Se a combatter venisti. Il segno è dato
Che al gran cimento i concorrenti invita.

Parte.

MEGACLE.
Assistetemi, o Numi. Addio mia vita.
ARISTEA.
E mi lasci così? Va: ti perdono
Pur che torni mio sposo.
MEGACLE.
Ah si gran forte
Non è per me.

In atte di partire.

ARISTEA.
Senti. Tu m’ami ancora?
MEGACLE.
Quanto l’anima mia.
ARISTEA.
Fedel mi credi?
MEGACLE.
Sì, come bella.
ARISTEA.
A conquistar mi vai?
MEGACLE.
Lo bramo almeno.
ARISTEA.
Il tuo valor primiero
Ai pur?
MEGACLE.
Lo credo.
ARISTEA.
E vincerai?
MEGACLE.
Lo spero.
ARISTEA.
Dunque allor non son io,
Caro, la sposa tua?
MEGACLE.
Mia vita … Addio.
Ne‘ giorni tuoi felici
Ricordati di me.
ARISTEA.
Perchè così mi dici,
Anima mia, perchè?
MEGACLE.
Taci bell‘ Idol mio.
ARISTEA.
Parla mio dolce amor.
MEGACLE, ARISTEA.
Ah che parlando / Ah che tacendo Oh Dio!
Tu mi trafiggi’l cor.
ARISTEA.
(Veggio languir chi adoro,
Né intendo il suo languir!)
MEGACLE.
(Di gelosia mi moro,
E non lo posso dir!)
ARISTEA, MEGACLE.
Chi mai provò di questo
Più barbaro dolor?

Fine Dell‘ Atto Primo.

I capricci di Galatea.

Ballo Pastorale.

Questa Galatea è l’istessa, della quale parla Orazio diserivendo una giovane Beltà, che un‘ Amante furtivamente tenta di baciare. Il senso de‘ versi del famoso Poeta, è il seguente:

Colei che debolmente resiste, vuol che s’involi.

Il Ballo dunque non è composto che sopra i capricci di questa Pastorella, che fa sovente disperare due Pastori che l’amano. è molto difficile di ben spiegare un Giuoco che nasce dal capriccio, e dall‘ incostanza. Bastano perciò le di sopra citate parole, su’l senso delle quali si è formato il sogetto di questo Ballo, acciò non si confonda questa, con l’altra Galatea discritta da Ovidio, tanto da Polifemo amata.

Atto secondo.

Scena I.

L’interno d’una Cappanna Pastorale.

Aristea, ed Argene.

ARGENE.
Ed ancor della pugna
L’esito non si fa?
ARISTEA.
No, bella Argene,
è pur dura la legge, onde n’è tolto
D’esserne spettatrici!
ARGENE.
Né ancor si vede alcun.

Guardando per la scena.

ARISTEA.
Nè alcuno … Oh Dio!

Turbata.

ARGENE.
Che avvenne?
ARISTEA.
O come io temo!
Come palpito adesso!
ARGENE.
E la cagione?
ARISTEA.
è deciso il mio fato.
Vedi Alcandro che arriva.
ARGENE.
Alcandro, ah corri,

Verso la scena.

Consolane, che rechi?

Scena II.

Alcandro, e detto.

LICIDA.
Fortunate novelle. Il Re m’invia
Nunzio felice, o Principessa. Ed io …
ARISTEA.
La pugna terminò?
LICIDA.
Sì: ascolta: intorno
Già impazienti …
ARGENE.
Il vincitor si chiede,

Ad Alcandro.

LICIDA.
Tutto dirò. Già impazienti intorno
Le turbe spettatrici ….
ARISTEA.
Eh ch’io non cerco

Con impazienza.

Questo da te.
LICIDA.
Ma in ordine distinto …
ARISTEA.
Chi vinse dimmi sol.

Con sdegno.

LICIDA.
Licida à vinto.
ARISTEA.
Licida!
LICIDA.
Appunto.
ARGENE.
Il Principe di Creta!
LICIDA.
Sì, che giunse poc’anzi a queste arene.
ARISTEA.
(Sventurata Aristea!)
ARGENE.
(Povera Argene!)
LICIDA.
Oh te felice! O quale

Ad Aristea.

Sposo ti diè la sorte!
ARISTEA.
Alcandro parti.
LICIDA.
T’attende il Re.
ARISTEA.
Parti. Verrò.
LICIDA.
T’attende
Nel gran tempio adunata ….
ARISTEA.
Nè parti ancor?

Con sdegno.

LICIDA.
(Che ricompensa ingrata!)
Parto: ma so che degno
Di tal mercè non sono:
Ma quell‘ ingiusto sdegno
Non meritai da te:

Felice il Ciel ti rese:
Ai d’esser bella il dono;
Ma l’essere cortese
Vanto minor non è.

Parte.

Scena III.

Aristea, ed Argene.

ARGENE.
Ah dimmi, o Principessa,
V’è sotto il Ciel chi possa dirsi, oh Dio!
Più misera di me?
ARISTEA.
Sì. Vi son io.
ARGENE.
Ah non ti faccia Amore
Provar mai le mie pene. Ah tu non fai
Qual perdita è la mia: quanto mi costa
Quel cor, che tu m’involi.
ARISTEA.
E tu non senti,
Non comprendi abbastanza i miei tormenti.

Grandi, è ver, son le tue pene:
Perdi è ver, l’amato Bene;
Ma sei tua, ma piangi intanto,
Ma domandi almen pietà.

Io dal fato, io sono oppressa.
Perdo altrui; perdo me stessa:
Nè conservo almen del pianto
L’infelice libertà.

Parte.

Scena IV.

Argene e poi Aminta.

ARGENE.
E trovar non poss’io
Nè pietà, nè soccorso?
AMINTA.
Eterni Dei!
Parmi Argene colei.
ARGENE.
Vendetta almeno,
Vendetta si procuri.

Vuol partire.

AMINTA.
Argene, e come
Tu in Elide? Tu sola?
Tu in sì ruvide spoglie?
ARGENE.
I neri inganni
A secondar del Prence
Dunque ancor tu venisti? A saggio in vero
Regolator commise il Re di Creta
Di Licida la cura. Ecco i bei frutti
Di tue dottrine. Ai gran ragione, Aminta,
D’andarne altier Chi vuol sapere appieno
Se fu attento il Cultor, guardi’l terreno.
AMINTA.
(Tutto già sa.) Non da‘ consigli miei …
ARGENE.
Basta … Chi sa? Nel Cielo
V’è giustizia per tutti, e si ritrova
Tal volta anche nel mondo. Io chiederolla
Agli Uomini, agli Dei. S’ei non à fede,
Ritegni io non avrò. Vuò che Clistene,
Vuò che la Grecia, il Mondo
Sappia, ch’è un traditore; acciò per tutto
Questa infamia lo siegua, acciò che ognuno
L’abborrisca, l’eviti,
E con orrore a chi no’l sa l’additi.
AMINTA.
Non son questi pensieri
Degni d’Argene. Un consigliero infido
Anche giusto è lo sdegno. Io nel tuo caso
Più dolci mezzi adoprerei. Tu sai
Che meglio è sempre il racquistarlo Amante,
Che opprimerlo nemico.
ARGENE.
E credi, Aminta,
Ch’ei tornerebbe a me?
AMINTA.
Lo spero: alfine
Fosti l’idolo suo. Per te languiva,
Delirava per te. Non ti sovviene,
Che cento volte, e cento …
ARGENE.
Tutto, per pena mia, tutto rammento,

Parte Aminta.

Che non mi disse un dì?
Quai Numi non giurò?
E come, oh Dio, si può,
Come si può così
Mancar di fede!

Tutto per lui perdei,
Oggi lui perdo ancor.
Poveri affetti miei!
Questa mi rendi, amor,
Questa mercede?

Parte.

Scena V.

Veduta esteriore d’un Circo in parte rovinato.

Clistene preceduto da Licida, Alcandro, Megacle coronato d’Ulivo, Coro d’Atleti, Guardie, e Popolo.

TUTTO IL CORO.
Del forte Licida
Nome maggiore
D’Alfeo sul margine
Mai non suonò.
PARTE DEL CORO.
Sudor più nobile
Del suo sudore
L’arena Olimpica
Mai non bagnò.
ALTRA PARTE.
L’arti à di Pallade:
L’ali à d’amore:
D’Apollo, e d’Ercole
L’ardir mostrò.
TUTTO IL CORO.
Del forte Licida
Nome maggiore
D’Alseo sul margine
Mai non suonò.
CLISTENE.
Giovane valoroso,
Che in mezzo a tanta gloria umil ti stai,
Quell‘ onorata fronte
Lascia ch’io baci, e che ti stringa al seno.
Felice il Re di Creta
Che un tal figlio sortì! (Se avessi anch’io
Serbato il mio Filinto,

Ad Alcandro.

Chi sa? Sarebbe Licida. Rammenti, Alcandro,
Con qual dolor te’l consegnai? Ma pure …)
LICIDA.
(Tempo or non è di rammentar sventure.)

A Clistene.

CLISTENE è ver.
(è ver.) Premio Aristea

A Megacle.

Sarà del tuo valor. S’altro donarti
Clistene può, chiedilo pur: che mai
Quanto dar ti vorrei non chiederai.
MEGACLE.
(Coraggio, o mia Virtù.) Signor, son figlio,
E di tenero Padre. Ogni contento,
Che con lui non divido
è insipido per me. Di mie venture
Pria d’ogni altro io vorrei
Giungergli apportator: chieder l’assenso
Per queste nozze: e lui presente, in Creta
Legarmi ad Aristea.
LICIDA.
Giusta è la brama.
MEGACLE.
Partirò, se’l concedi
Senz‘ altro indugio. In vece mia rimanga
Questi della mia Sposa

Presentando Licida.

Servo, Compagno, e Condottier.
LICIDA.
(Che volto
è quello mai! Nel rimirarlo il sangue
Mi si riscuote in ogni vena!) E questi
Chi è? Come s’appella?
MEGACLE.
Egisto à nome,
Creta è sua patria. Egli deriva ancora
Dalla stirpe real. Ma più che’l sangue
L’amicizia ne stringe: e son fra noi
Sì concordi i voleri,
Comuni a segno e l’allegrezza, e’l duolo;
Che Licida, ed Egisto è un Nome solo.
LICIDA.
(Ingegnosa amicizia!)
CLISTENE.
E ben, la cura
Di condutti la sposa
Egisto avrà. Ma Licida non debbe
Partir senza vederla.
MEGACLE.
Ah no. Sarebbe
Pena maggior. Mi sentirei morire
Nell‘ atto di lasciarla. Ancor da lunge
Tanta pena io ne provo …
LICIDA.
Ecco che giunge.
MEGACLE.
(O me infelice!)

Scena VI.

Aristea, e detti.

ARISTEA.
(All‘ odiose nozze,

Non vede Megacle.

Come vittima io vengo all’ara avanti.)
LICIDA.
(Sarà mio quel bel volto in pochi istanti.)
LICIDA.
Avvicinati, o Figlia, ecco il tuo sposo.

À per mano Megacle.

MEGACLE.
(Ah non è ver.)
ARISTEA.
Lo sposo mio!
CLISTENE.
Sì. Vedi
Se giammai più bel nodo in Ciel si stringe.
ARISTEA.
(Ma se Licida vinse;
Come il mio Bene? … Il Genitor m’inganna.)
LICIDA.
(Crede Megacle sposo, e se n’affanna.)
ARISTEA.
E questi, o Padre, è il Vincitor?

Additando Megacle.

CLISTENE.
Me’l chiedi?
Non lo ravvisi al volto
Di polve asperso? All‘ onorate stille,
Che gli rigan la fronte? A quelle foglie,
Che son di chi trionfa
L’ornamento primiero?
ARISTEA.
Ma che dicesti Alcandro?
LICIDA.
Io dissi il vero.
CLISTENE.
Non più dubbiezze. Ecco il Consorte, a cui
Il Ciel t’accoppia: e no’l potea più degno
Ottener dagli Dei l’amor paterno.
ARISTEA.
(Che gioja!)
MEGACLE.
(Che martir!)
LICIDA.
(Che giorno eterno!)
CLISTENE.
E voi tacete! Onde il silenzio?

A Megacle, ed Aristea.

MEGACLE.
(Oh Dio!
Come comincierò?)
ARISTEA.
Parlar vorrei,
Ma …
CLISTENE.
Intendo. Intempestiva
è la presenza mia. Severo ciglio,
Rigida Maestà, paterno impero,
Incomodi compagni
Sono agli amanti. Io mi sovvengo ancora
Quanto increbbero a me. Restate. Io lodo
Quel modesto rossor, che vi trattiene.
MEGACLE.
(Sempre lo stato mio peggior diviene.)
CLISTENE.
So, ch’è fanciullo Amore,
Ne conversar gli piace
Con la canuta età.

Di scherzi ei si compiace,
Si stanca del rigore:
E stan di rado in pace
Rispetto, e libertà.

Parte.

Scena VII.

Aristea, Megacle, e Licida.

MEGACLE.
Fra l’amico, e l’amante
Che sarò sventurato!
LICIDA.
(All‘ idol mio,
E tempo ch’io mi scuopra.)

Piano a Megacle.

MEGACLE.
(Aspetta.) Oh Dio!
ARISTEA.
Sposo, alla tua Consorte
Non celar, che t’affligge.
MEGACLE.
(Oh pena! Oh morte!)
LICIDA.
L’amor mio, caro amico,

A Megacle come sopra.

Non soffre indugio.
ARISTEA.
Il tuo silenzio, o caro,
Mi cruccia, mi dispera.
MEGACLE.
(Ardir mio core.
Finiamo di morir.) Per pochi istanti
Allontanati, o Prence.

A parte a Licida.

LICIDA.
E qual ragione …
MEGACLE.
Va. Fidati di me. Tutto conviene
Ch’io spieghi ad Aristea.

Come sopra.

LICIDA.
Ma non poss’io
Esser presente?
MEGACLE.
No, più che non credi
Delicato è l’impegno.

Come sopra.

LICIDA.
E ben. Tu’l vuoi,
Io lo farò. Poco mi scosto. Un cenno
Basterà perch’io torni. Ah pensa, Amico,
Di che parli, e per chi. Se nulla mai
Feci per te, se mi sei grato, e m’ami,
Mostralo adesso. Alla tua fida aita
La mia pace io commetto, e la mia vita.

Parte.

Scena VIII

Megacle, ed Aristea.

MEGACLE.
(Oh ricordi crudeli!)
ARISTEA.
Al fin siam soli.
Potrò senza ritegni
Il mio contento esagerar: chiamarti
Mia speme, mio diletto,
Luce degli occhi miei …
MEGACLE.
No Principessa:
Questi soavi Nomi
Non son per me. Serbali pure ad altro
Più fortunato Amante …
ARISTEA.
E il tempo è questo
Di parlarmi così? Giunto è quel giorno …
Ma semplice ch’io son. Tu scherzi, o Caro,
Ed io stolta m’affanno.
MEGACLE.
Ah non t’affanni
Senza ragion.
ARISTEA.
Spiegati dunque.
MEGACLE.
Ascolta.
Ma coraggio Aristea. L’alma prepara
A dar di tua virtù la prova estrema.
ARISTEA.
Parla. (Aime! Che vuol dirmi? Il cuor mi trema.)
MEGACLE.
Odi. In me non dicesti
Mille volte, d’amar più che’l sembiante
Il grato cor, l’alma sincera, e quella
Che m’ardea nel pensier fiamma d’onore?
ARISTEA.
Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti, e tale
Ti conosco, t’adoro.
MEGACLE.
E se diverso
Fosse Megacle un dì da quel che dici:
Se infedele agli amici,
Se spergiuro agli Dei, se fatto ingrato
Al suo Benefattor, morte rendesse
Per la vita che n’ebbe: avresti ancora
Amor per lui? Lo soffriresti amante?
L’accetteresti Sposo?
ARISTEA.
E come vuoi,
Ch’io figurar mi possa
Megacle mio si scellerato?
MEGACLE.
Or sappi,
Che per legge fatale,
Se tuo sposo divien, Megacle è tale.
ARISTEA.
Come!
MEGACLE.
Tutto l’arcano
Ecco ti svelo. Il Principe di Creta
Langue per te d’amor. Pietà mi chiede;
E la vita mi diede. Ah Principessa,
Se niegarla poss’io, dillo tu stessa.
ARISTEA.
E pugnasti …
MEGACLE.
Per lui.
ARISTEA.
Perder mi vuoi …
MEGACLE.
Sì Per serbarmi sempre
Degno di te.
ARISTEA.
Dunque io dovrò …
MEGACLE.
Tu dei
Coronar l’opra mia. Sì, generosa,
Adorata Aristea. Seconda i moti
D’un grato cor. Sia qual io fui fin ora
Licida in avvenire. Amalo. è degno
Di sì gran forte il caro amico. Anch’io
Vivo di lui nel seno,
E s’ei t’acquista, io non ti perdo appieno.
ARISTEA.
Ah qual passaggio è questo! Io dalle stelle
Precipito agli abissi. Eh no: si cerchi
Miglior compenso. Ah senza te la vita
Per me vita non e.
MEGACLE.
Bella Aristea,
Non congiurar tu ancora
Contro la mia virtù. Mi costa assai
Il prepararmi a sì gran passo. Un solo
Di quei teneri sensi
Quant‘ opera distrugge!
ARISTEA.
E di lasciarmi …
MEGACLE.
ò risoluto.
ARISTEA.
Ai risoluto! E quando?
MEGACLE.
Questo … (Morir mi sento.)
Questo è l’ultimo addio.
ARISTEA.
L’ultimo! Ingrato …
Soccorretemi, o Numi! Il piè vacilla:
Freddo sudor mi bagna il volto: e parmi
Che una gelida man m’opprima il core.
MEGACLE.
Sento che’l mio valore
Mancando va. Più che a partir dimoro
Meno ne son capace.
Ardir. Vado, Aristea. Rimanti in pace.
ARISTEA.
Come? Già m’abbandoni?
MEGACLE.
è forza, o Cara,
Separarsi una volta.
ARISTEA.
E parti …
MEGACLE.
E parto
Per non tornar più mai.

In atto di partire.

ARISTEA.
Senti. Ah no … Dove vai?
MEGACLE.
A spirar, mio Tesoro,

Megacle parte risolute.

Lungi dagli occhi tuoi.

Ma si ferma alla scena.

ARISTEA.
Soccorso … io … moro.

Sviene sopra un sasso.

MEGACLE.
Misero me! Che veggo?

Rivolgendosi in dietro.

Ah l’oppresse il dolor. Cara mia speme.

Tornando.

Bella Aristea, non avvilirti; ascolta:
Megacle è qui: non partirò. Sarai …
Che parlo? Ella non m’ode. Avete, o stelle.
Più sventure per me? No: questa sola
Mi restava a provar. Chi mi consiglia?
Che risolvo? Che fo? Partir. Sarebbe
Crudeltà, Tirannia. Restar. Che giova?
Forse ad esserle sposo? E’l Re ingannato,
E l’amico tradito, e la mia fede,
E l’onor mio lo l’offrirebbe? Almeno
Partiam più tardi. Ah che sarem di nuovo
A quest’orrido passo. Ora è pietade
L’esser crudele. Addio mia vita. Addio

Le prende la mano, e la bacio.

Mia perduta Speranza. Il Ciel ti renda
Più felice di me. Deh conservate
Questa bell‘ opra vostra, eterni Dei,
E i dì ch’io perderò, donate a lei.
Licida! (dove è mai?) Licida!

Verso la scena.

Scena IX.

Licida, e detti.

LICIDA.
Intese
Tutto Aristea?
MEGACLE.
Tutto. T’affretta, o Prence,

In atto di partire.

Soccorri la tua sposa.
LICIDA.
Aime! Che miro!
Che fu?

A Megacle.

MEGACLE.
Doglia improvisa
Le oppresse i sensi.

Partendo in dietro.

LICIDA.
E tu mi lasci?
MEGACLE.
Io vado …

Tornando in dietrio.

Deh pensa ad Aristea. (Che dirà mai

Partendo

Quando in se tornerà?

Si ferma.

Tutte ò presenti
Tutte le sinanie sue.) Licida, ah senti!
Se,cerca, se dice:
L’amico dov’è?
L’amico infelice,
(Rispondi) morì.

Ah no: sì gran duolo
Non darle per me.
Rispondi; ma solo:
Piangendo partì.
Che abisso di pene!
Lasciare il suo Bene!
Lasciarlo per sempre!
Lasciarlo così!

Parte.

Scena X.

Licida, ed Aristea.

LICIDA.
Che laberinto e questo! Io non l’intendo.
Semiviva Aristea … Megacle afflitto ….
ARISTEA.
Oh Dio!
LICIDA.
Ma già quell‘ alma
Torna agli usati ussicj. Apri i bei lumi,
Principessa, Ben mio.
ARISTEA.
Sposo infedele!

Senza vederlo.

LICIDA.
Ah non dirmi così.
Di mia costanza
Ecco in pegno la destra.

La prende per mane.

ARISTEA.
Almeno … O stelle!

S’avvede non esser Megacle.

Megacle ov’è?

E ritira la mano.

LICIDA.
Partì.
ARISTEA.
Partì l’ingrato!
Ebbe cor di lasciarmi in questo stato!
LICIDA.
Il tuo sposo restò.
ARISTEA.
Dunque è perduta

S’alza con impeto.

L’Umanità, la Fede,
L’Amore, la Pietà? Se questi iniqui
Incenerir non sanno,
Numi, i fulmini vostri, in Ciel che fanno?
LICIDA.
Son fuor di me! Dì, chi t’offese, o cara?
Parla. Brami vendetta? Ecco il tuo Sposo,
Ecco Licida …
ARISTEA.
Oh Dei!
Tu quel Licida sei! Fuggi, t’invola,
Nasconditi da me. Per tua cagione
Perfido, mi ritrovo a questo passo.
LICIDA.
E qual colpa ò commessa? Io son di sasso.
ARISTEA.
Tu me da me dividi,
Barbaro tu m’uccidi:
Tutto il dolor ch’io sento,
Tutto mi vien da te.
No, non sperar mai pace:
Odio quel cor fallace:
Oggetto di spavento
Sempre sarai per me.

Parte.

Scena XI.

Licida, e poi Aminta.

LICIDA.
A me barbaro? Oh Numi!
Perfido a me? Voglio seguirla, e voglio
Sapere almen … L’Amico
Potria … Ma dove andò? Si cerchi. Almeno
E consiglio, e conforto
Megacle mi darà,

Vuol partire.

AMINTA.
Megacle è morto.
LICIDA.
Che dici Aminta!
AMINTA.
Io dico
Pur troppo il ver.
LICIDA.
Come? Perchè? Qual empio
Sì bei giorni troncò? Trovisi. Io voglio
Ch’esempio di vendetta altrui ne resti.
AMINTA.
Principe no’l cercar. Tu l’uccidesti.
LICIDA.
Io! Deliri?
AMINTA.
Volesse
Il Ciel ch’io delirassi. Odimi. In traccia
Mentre or di te venia, fra quelle piante
Un gemito improvviso
Sento: mi fermo: al suon mi volgo, e miro
Uom, che su’l nudo acciaro
Prono già s’abbandona. Accorro: al petto
Fo d’una man sostegno,
Con l’altra il ferro svio. Ma quando al volto
Megacle ravvisai;
Pensa com‘ restò, com‘ io restai.
Dopo un breve stupore, ah qual follia
Bramar ti fa la morte?
(Io volea dirgli, ei mi prevenne.) Aminta,
o vissuto abbastanza.
(Sospirando, mi disse
Dal profondo del cor.) Senza Aristea
Non so viver, nè voglio. Ah son due lustri
Che non vivo, che in lei. Licida, oh Dio,
M’uccide, e non lo sa. Ma non m’offende.
Suo dono è questa vita, ei la riprende.
LICIDA.
Oh Amico! E poi?
AMINTA.
Fugge da me, ciò detto,
Come partico stral. Vedi quel sasso,
Signor, colà, che’l sottoposto Alfeo
Signoreggia, ed adombra? Egli v’ascende
In men che non balena. In mezzo al fiume
Si scaglia: io grido in van. L’onda percossa
Balzò, s’aperse, in frettolosi giri
Si riunì, l’ascose. Il colpo, i gridi
Replicaron le sponde: e più no’l vidi.
LICIDA.
Ah qual orrida scena
Or si scuopre al mio sguardo!

Rimane stupido.

AMINTA.
Almen la spoglia
Che albergò sì bell‘ alma,
Vadasi a ricercar. Da‘ mesti amici
Questi a lui son dovuti ultimi ussici.

Parte.

Scena XII.

Licida, e poi Alcandro.

LICIDA.
Dove son! che m’avvenne? Ah dunque il Cielo
Tutte sopra il mio capo
Rovesciò l’ire sue! Megacle, oh Dio,
Megacle dove sei? Che so nel mondo
Senza di te? Rendetemi l’amico,
Ingiustissimi Dei. Voi me’l toglieste,
Lo rivoglio da voi.
ALCANDRO.
Olà.
LICIDA.
Chi sei.
ALCANDRO.
Regio ministro io sono.
LICIDA.
Che vuole il Re?
ALCANDRO.
Che in vergognoso esiglio
Quindi lungi tu vada. Il sol cadente
Se in Elide ti lascia,
Sei reo di morte.
LICIDA.
A me tal cenno.
ALCANDRO.
Impara
A mentir nome, a violar la fede,
A deludere i Re.
LICIDA.
Come? Ed ardisci
Temerario …
ALCANDRO.
Non più. Principe, è questo
Mio dover: l’ò adempito. Adempi il resto.

Parte.

Scena XIII.

LICIDA solo.
Con questo ferro, indegno,

Snuda la spada.

Il sen ti passerò … Folle che dico?
Che sò? Con chi mi sdegno? Il reo son io,
Io son lo scellerato. In queste vene
Con più ragion l’immergerò. Sì, mori
Licida sventurato … Ah perche tremi
Timida man? Chi ti ritiene? Ah questa
è ben miseria estrema. Odio la vita:
M’atterisce la morte: e sento intanto
Stracciarmi a brano, a brano
In mille parti il cor. Rabbia, Vendetta,
Tenerezza, Amicizia,
Pentimento, Pietà, Vergogna, Amore,
Mi trafiggono a gara. Ah chi mai vide
Anima lacerata
Da tanti affetti, e sì contrarj? Io stesso
Non so come si possa
Minacciando tremare: arder gelando:
Pianger in mezzo all’ire:
Bramar la morte, e non saper morire.

Gemo in un punto, e fremo:
Fosco mi sembra il giorno:
ò cento larve intorno:
ò mille furie in sen.
Con la sanguigna face
M’arde Megera in petto:
M’empie ogni vena Aletto
Del freddo suo velen.

Parte.

Fine dell‘ Atto Secondo.

Rinaldo e Armida.

Ballo eroico pantomimo cavato dalla Gerusalemme del Tasso.

La scena si finge sulle sponde del Fiume Oronte. Rinaldo dopo di aver liberati i Prigionieri di Armida, è attirato dall‘ arte di questa Maga, risoluta di vendicarsene, su di un‘ Isola dell‘ Oronte.

Scena I.

All‘ arrivo di Rinaldo nell‘ Isola, tre Najadi, che sorgono dal Fiume, li vanno incontro, e lusinghevolmente l’invitano ad abbandonare la gloria dell‘ armi, ed a darsi tutto ai piaceri della voluttà. Dopo qualche picciola renitenza, cede a tale invito il giovane Guerriero; e si lascia da quelle condurre sopra un letto di verdura, dove si addormenta.

Scena II

Comparisce la furibonda Armida. Alla vista dell‘ addormentato Rinaldo, impugna uno stile, e corre per ucciderlo: ma nell‘ atto di ferirlo, sorpresa della beltà, e nobili fattezze dell‘ Eroe, gli manca il coraggio. Sdegnata poco dopo della sua debolezza, tenta di uccider se stessa. Si arresta il braccio a mezzo il colpo: li cade dalla mano il ferro: l’amore finalmente la vince, e scaccia la vendetta. Non sa che ammirare il suo vincitore: gli siede al fianco: l’incatena con varie ghirlande di fiori: e facendo, col potere della sua Magia, trasformare il letto di verdura in un pomposo Carro; se’n vola per l’aria con lui.

Scena III.

Sparisce la scena antecedente; e si veggono i Giardini del Palazzo di Armida.

Vengono Armida, e Rinaldo seguiti dalla frotta de‘ Giuochi, e de‘ Piaceri. Si uniscono a questi le Najadi che sorgono dalle Fontane, ed unitamente rendono omaggio alla loro Sovrana, ed adornano di fiori l’abito di Rinaldo.

Scena IV.

Il Cavalier Danese e Ubaldo. Dopo di aver questi due Guerrieri superati tutti gli ostacoli preparategli dalla Maga Armida, vanno in cerca di Rinaldo, per liberarlo dal vergognoso soggiorno della mollezza, e renderlo alla gloria, Gl’impediscono il cammino varj Spiriti infernali trasformati sotto leggiadri forme. Il Cavalier Danese crede fra queste di riveder la sua innamorata. Corre a lei: si scorda l intrapresa liberazione di Rinaldo: le promesse della voluttà lo seducono: cede; e si abbandona agli incantati piaceri. Ubaldo cerca di sviarlo: lo preme: lo sollecita. In fine, dopo varj violenti combattimenti, la Virtù, e la Gloria trionfano dell‘ Amore, e dell‘ artificiosi sforzi della Magia.

Scena V.

Rinaldo, e Armida, accompagnati da loro seguito, palesano con allegre danze la sodisfazione, ed il contento del loro cuore. Parte poi Armida col suo seguito: e nell‘ atto che Rinaldo vuol seguirla, è sorpreso, e trattenuto da i due Cavalieri, che cercano di liberarlo. Gli rimproverano questi la sua debolezza. Il Cavalier Danese gli presenta lo scudo di diamante, che à la virtù di smascherare, e di mostrare qual veramente sono gli uomini, che vi si mirano. Rinaldo vi si specchia: e vergognoso del molle stato in cui si vede, va in furore: smania: arrossisce del suo errore; e strappa i fiori che ornavano il suo abito. Contenti i due Cavalieri della loro vittoria; fanno brillare agli occhi del ravveduto Eroe una spada, ed uno scudo. Egli avidamente se ne impossessa: invita coraggiosamente i sudetti suoi amici a liberarlo da quello ora a lui odioso luogo: e nell‘ atto che son per partire, sopraggiunge Armida.

Scena VI.

Impiega l’innamorata Maga tutte le sue malie, lusinghe, ed artificj per ritenere il suo Amante: lo prega, lo sconciura a non abbandonarla: si butta a‘ suoi piedi: piange. Intenerito Rinaldo dalle belle lagrime, cede di nuovo all‘ amore: rileva con affetto la sua cara Armida; e li bacia teneramente la mano. I due Guerrieri lo riprendono, e lo richiamano al suo dovere. Ei si scuote; e cerca nuovamente di partire. Armida, vedendo il suo Amante risoluto di abbandonarla, sviene sopra un letto di verdura. Rinaldo va di nuovo a lei: torna alle tenerezze, ed alle espressioni: ma i due Cavalieri non l’abbandonano: l’arrestano: lo sradicano finalmente dalle braccia della sua Innamorata; e quasi a forza l’involano.

Scena ultima.

Armida riviene. Ma quanto grandi sono le sue smanie per non vedere l’amato Rinaldo! Lo cerca lo chiama. Disperata in fine invoca le Furie, ed i Demonj. Obbedienti questi alla sua voce, accorrono a lei armati di pugnali, e serpenti. L’odio, e la vendetta gli accompagna. Ordina loro la furiosa Maga che si rovini, si devasti, e si distrugga il suo Palazzo, ed ogni sua delizia. Accendono le Furie le loro faci, ed attaccano l’incendio. Armida, con la vendetta, e con l’odio al fianco, parte sopra un carro, che sen va per l’aria. Tutto cade, si distrugge, e dispare; e non vi resta che un‘ orribile deserto abitato da Mostri.

Atto terzo.

Scena I.

Bipartita, che si forma dalle ruine di un antico Ippodromo, già ricoperte in gran parte d’edera, di spine, e d’altre piante selvagge.

Megacle trattenuto da Aminta per una parte: e dopo Aristea trattenuta da Argene per l’altra. Ma quelli non veggono queste.

MEGACLE.
Lasciami. In van t’opponi.
AMINTA.
Ah torna, Amico,
Una volta in te stesso. In tuo soccorso
Pronta tempre la mano
Del Pescato, ch’or ti salvò dall‘ onde,
Credimi, non avrai. Si stanca il Cielo
D’assister chi l insulta.
MEGACLE.
Empio soccorso,
Inumana pietà! Niegar la morte
A chi vive morendo. Aminta, oh Dio,
Lasciami.
AMINTA.
Non fia ver.
ARISTEA.
Lasciami Argene.
ARGENE.
Non lo sperar.
MEGACLE.
Senz‘ Aristea non posso,
Non deggio viver più.
ARISTEA.
Morir vogl’io
Dove Megacle è morto.
AMINTA.
Attendi.

A Megacle.

ARGENE.
Ascolta.

Ad Aristea.

MEGACLE.
Che attender?
ARISTEA.
Che ascoltar?
MEGACLE.
Non si ritrova
Più conforto per me.
ARISTEA.
Per me nel mondo
Non v’è più che sperar.
MEGACLE.
Serbarmi in vita …
ARISTEA.
Impedirmi la morte …
MEGACLE.
In darno tu pretendi.
ARISTEA.
In van presumi.
AMINTA.
Ferma.

Volendo trattener Megacle, che gli fugge.

ARGENE.
Senti infelice.

Volendo trattener Aristea, come sopra.

ARISTEA.
O Stelle!

Incontrandosi a mezzo il teatro.

MEGACLE.
O Numi!
ARISTEA.
Megacle!
MEGACLE.
Principessa!
ARISTEA.
Ingrato! E tanto
M’odj dunque, e mi fuggi,
Che per offerti unita
S’io mi affretto a morir, tu torni in vita?
MEGACLE.
Vedi a qual segno è giunta,
Adorata Aristea, la mia sventura.
Io non posso morir: trovo impedite
Tutte le vie, per cui si passa a Dite.
ARISTEA.
Ma qual pietosa mano …

Scena II

Alcandro, e detti.

ALCANDRO.
Oh sacrilego! o insano!
Oh scellerato ardir!
ARISTEA.
Vi sono ancora
Nuovi disastri, Alcandro?
ALCANDRO.
In questo istante
Rinasce il Padre tuo.
ARISTEA.
Perche?
ALCANDRO.
Già sai che per costume antico
Questo festivo dì con un solenne
Sacrificio si chiude. Or mentre al tempio
Venia fra suoi custodi
La sacra pompa a celebrar Clistene;
Perchè non so, ne da qual parte uscito
Licida impetuoso
Ci attraversa il cammin. Urta roverscia
I sorpresi custodi. Al Re s’avventa:
Mori (grida, fremendo) e gli alza in fronte
Il sacrilego ferro.
ARISTEA.
Oh Dio!
ALCANDRO.
Non cangia
Il Re sito, o color. Severo il guardo
Gli ferma in faccia, e in grave suon gli dice:
Temerario! Che fai? (Vedi se’l Cielo
Veglia in cura de‘ Re.) Gela a que‘ detti
Il Giovane feroce. Il braccio in alto
Sospende in mezzo il colpo: il regio aspetto
Attonito rimira: impallidisce:
Incomincia a tremar: gli cade il ferro:
E dal ciglio, che tanto
Minaccioso parea, prorompe in pianto.
ARISTEA.
Respiro.
ARGENE.
O folle!
AMINTA.
O sconsigliato!
ARISTEA.
Ed ora
Il Genitor che sa?
ALCANDRO.
Di lacci avvolto
à il colpevole innanzi.
AMINTA.
(Ah si procuri
Di salvar l’infelice.)

Parte.

MEGACLE.
E Licida che dice?
ALCANDRO.
Alle richieste
Nulla risponde. è reo di morte, e pare
Che no’l sappia, o no’l curi. Ognor piangendo
Il suo Megacle chiama: a tutti il chiede,
Lo vuol da tutti: e fra suoi labbri, come
Altro non sappia dir, sempre à quel nome.
MEGACLE.
Più resister non posso. Al caro Amico
Per pietà, chi mi guida?
ARISTEA.
Incauto! E quale
Sarebbe il tuo disegno? Il Genitore
Sà che tu l’ingannasti:
Sà che Megacle sei. Perdi te stesso
Presentandoti al Re: non salvi altrui.
MEGACLE.
Col mio Prencipe insieme
Almen mi perderò.

In atto di partire.

ARISTEA.
Senti. E non stimi
Consiglio assai miglior, che’l Padre offeso
Vada a placargli io stessa?
MEGACLE.
Ah che di tanto
Lusingarmi non so.
ARISTEA.
Sì. Questo ancora
Per te si faccia.
MEGACLE.
O generosa, o grande,
O pietosa Aristea. Ben lo diss’io,
Quando pria ti mirai, che tu non eri
Cosa mortal. Va mio Conforto …
ARISTEA.
Ah basta:
Non sa d’uopo di tanto.
Un sol de‘ guardi tuoi
Mi costringe a voler ciò che tu vuoi.

Caro, son tua così
Che, per virtù d’amor,
I moti del tuo cor
Risento anch’io.

Mi dolgo al tuo dolor:
Gioisco al tuo gioir:
Ed ogni tuo desir
Diventa il mio.

Parte.

Scena III.

Megacle, ed Argene.

MEGACLE.
Ah secondate, o Numi,
La pietà d’Aristea.
ARGENE.
Deh tanta cura
Non prender di costui. Vedi che’l Cielo
è stanco di soffrirlo. Al suo destino
Lascialo in abbandono.
MEGACLE.
Lasciar l’Amico? Ah così vili non sono.

Lo seguitai felice,
Quand’era il Ciel sereno:
Alle tempeste in seno
Voglio seguirlo ancor.

Come dell‘ oro il fuoco
Scuopre le masse impure,
Scuoprono. le sventure
De‘ falsi Amici il cor.

Parte.

Scena IV.

Argene, poi Aminta.

ARGENE.
E pure a mio dispetto
Sento pietade anch’io. Tento sdegnarmi,
N’o ragion, lo vorrei; ma in mezzo all’ira,
Mentre il labbro minaccia, il cor sospira.
AMINTA.
Misero dove fuggo? Oh dì funesto!
Oh Licida infelice!
ARGENE.
è forse estinto?
AMINTA.
No; ma il sarà fra poco.
ARGENE.
Povero Prence! Oh Dio!
AMINTA.
Che giova il pianto?
ARGENE.
Ed Aristea non giunse?
AMINTA.
Giunse; ma nulla ottenne. Il Re non vuole,
O non può compiacerla.
ARGENE.
E Megacle?
AMINTA.
Il meschino
Ne‘ custodi s’avvenne,
Che ne andavano in traccia. Or l’ascoltai
Chieder fra le catene
Di morir per l’Amico. E se non fosse
Ancor ei delinquente,
Ottenuto l’avria. Ma un reo per l’altro
Morir non puó.
ARGENE.
L’à procurato almeno:
O forte! O generoso! Ed io l’ascolto
Senza arrossir? Dunque a più saldi nodi
L’Amistà, che l’Amore? Ah quali io sento
D’un‘ emula virtù stimoli al fianco.
Sì: rendiamoci illustri: in fin che dura
Parli il mondo di noi: faccia il mio caso
Meraviglia, e pietà: ne si ritrovi
Nell‘ universo tutto
Chi ripeta il mio nome a ciglio asciutto.

Fiamma ignota nell‘ alma mi scende:
Sento il nume: m’inspira, m’accende,
Di me stessa mi rende maggior.

Ferri, bende, bipenne, ritorte,
Pallid‘ ombre compagne di morte
Già vi guardo, ma senza terror.

Parte.

Scena V.

AMINTA solo.
Fuggi, salvati, Aminta: in queste sponde
Tutto è orror, tutto è morte. E dove, oh Dio,
Senza Licida io vado? Io l’educai
Con si lungo sudore: a reggie fasce
Io l’inalzai da sconosciuta cuna:
Ed or potrei senz‘ esso
Partir così? No. Si ritorni al tempio:
Si vada incontro all’ira
Dell‘ oltraggiato Re: Licida involga
Me ancor ne‘ falli sui:
Si mora di dolor; ma accanto a lui.

Son qual per mare ignoto
Naufrago Passagiero,
Già con la morte a nuoto
Ridotto a contrastar.

Ora un sostegno, ed ora
Perde una stella: alfine
Perde la speme ancora,
E s’abbandona al mar.

Parte.

Scena VI.

Aspetto esteriore del gran Tempio di Giove Olimpico: dal quale si scende per lunga e magnifica scala, divisa in diversi piani. Piazza innanzi al medesimo con ara ardente nel mezzo. Bosco all’intorno de‘ sacri Ulivi silvestri, donde formavansi le Corone per gli Atleti vincitori.

Clistene, che scende dal tempio preceduto da numeroso popolo, da‘-suoi custodi, da Licida in bianca veste, coronato di fiori, da Alcandro, e dal Coro de‘ Sacerdoti, de‘ quali alcuni portano sopra bacili d’oro gli stromenti del sacrificio.

CORO.
I tuoi strali terror de‘ Mortali
Ah sospendi, gran Padre de‘ Numi,
Ah deponi, gran Nume de Re.
CLISTENE.
Giovane sventurato, ecco vicino
De‘ tuoi miseri dì l’ultimo istante.
Tanta pietade (e mi punisca Giove,
Se adombro il ver) tanta pietà mi fai,
Che non oso mirarti. Il Ciel volesse,
Che potess’io dissimular l’errore.
Ma non lo posso, o Figlio. Io son Custode
Della ragion del Trono. Al braccio mio
Illesa altri la diede:
E renderla degg’io
Illesa, o vendicata a chi succede.
Obbligo di chi regna
Necessario è così, com‘ è penoso
Il dover con misura esser pietoso.
Pur se nulla ti resta
A desiar, fuor che la vita; esponi
Libero il tuo desire. Esserne io giuro
Fedele esecutor. Quanto ti piace,
Figlio, prescrivi, e chiudi i lumi in pace.
LICIDA.
Padre, (che ben di Padre,
Non di Giudice, e Re, que‘ detti sono,)
Non merito perdono,
Non lo spero, no’l chiedo, e no’l vorrei.
Afflisse i giorni miei
Di tal modo la sorte,
Ch’io la vita pavento, e non la morte.
L’unico de‘ miei voti
è il riveder l’Amico
Pria di spirar. Già ch’ei rimase in vita,
L’ultima grazia imploro
D’abbracciarlo una volta, e lieto io moro.
CLISTENE.
T’appagherò. Custodi

Alle guardie.

Megacle a me.
LICIDA.
Signor tu piangi? E quale
Eccessiva pietà l’alma t’ingombra?
LICIDA.
Alcandro, lo confesso,
Stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
La voce di costui nel cor mi desta
Un palpito improvviso,
Che lo risente in ogni fibra il sangue.
Fra tutti i miei pensieri
La cagion ne ricerco, e non la trovo.
Che sarà, giusti Dei, questo ch’io provo!

Non so donde viene
Quel tenero affetto:
Quel moto che ignoto
Mi nasce nel petto:
Quel giel che le vene
Scorrendo mi va.

Nel feno a destarmi
Sì fieri contrasti,
Non parmi che basti
La sola pietà.

Scena VII.

Megacle fra le guardie, e detti.

LICIDA.
Ah vieni illustre esempio
Di verace amistà. Megacle amato,
Caro Megacle vieni.
MEGACLE.
Ah qual ti trovo,
Povero Prence!
LICIDA.
Il rivederti in vita
Mi fa dolce la morte.
MEGACLE.
E che mi giova
Una vita che in vano
Voglio offrir per la tua? Ma molto innanzi
Licida non andrai. Noi passeremo
Ombre amiche indivise il guado estremo.
LICIDA.
O delle gioje mie, de‘ miei martiri,
Finchè piacque al Destin, dolce compagno,
Separarci convien … Poichè siam giunti
Agli ultimi momenti,
Quella destra fedel porgimi, e senti.
Sia preghiera, o comando,
Vivi: io bramo così. Pietoso amico,
Chiudimi tu di propria mano i lumi,
Ricordati di me. Ritorna in Creta
Al Padre mio … (Povero Padre! a questo
Preparato non sei colpo crudele.)
Deh tu l’istoria amara
Raddolcisci narrando. Il Vechio afflitto
Reggi, assisti, consola,
Lo raccomando a te. Se piange, il pianto
Tu gli asciuga su’l ciglio:
E in te, se un figlio vuol, tendigli un figlio.
MEGACLE.
Taci. Mi fai morir.
CLISTENE.
Non posso, Alcandro,
Resister più. Guarda que‘ volti: osserva
Que‘ replicati amplessi,
Que teneri sospiri, e que‘ confusi
Fra le lagrime alterne ultimi baci.
Povera umanita!
LICIDA.
Signor, trascorre
L’ora permessa al Sacrificio.
CLISTENE.
è vero.
Olà sacri Ministri
La vittima prendete. E voi Custodi
Dall‘ amico infelice
Dividete colui.

Sono divisi da‘ Sacerdoti, e da‘ Custodi.

MEGACLE.
Barbari: ah voi
Avete dal mio sen svelto il cor mio.
LICIDA.
Ah dolce Amico!
MEGACLE.
Ah caro Prence!
LICIDA, MEGACLE.
Addio.
LICIDA.
Dolce Amico. Ai giorni tuoi
Quegli aggiunga il Ciel pietoso,
Che il destino invola a me.
MEGACLE.
Ah! Di Lete il guado ombroso
Voglio anch’io varcar con te.
CLISTENE.
Che momento tormentoso!
Pena (oh Dio!) maggior non v’e.
LICIDA.
Viver dei.
MEGACLE.
Che cenno è questo!
CLISTENE.
Che spettacolo funesto!
LICIDA.
Dammi …
MEGACLE.
Prendi …
LICIDA, MEGACLE.
Un‘ altro amplesso.
CLISTENE, LICIDA, MEGACLE.
Non resisto al siero eccesso
Del tiranno affanno mio.
MEGACLE.
Prence …
LICIDA.
Amico …
MEGACLE, LICIDA.
(Oh stelle!) Addio.
CORO.
I tuoi strali terror de‘ Mortali
Ah sospendi, gran Padre de‘ Numi,
Ah deponi, gran Nume de‘ Re.

Nel tempo, che si canta il Coro, Licida va ad inginochiarsi a piè dell‘ ara appresso al Sacerdote. Il Re prende la sacra sture, che gli vien presentata sopra da uno de‘ ministri del tempio. E nel porgerla al Sacerdote canta i seguenti versi, accompagnati da grave sinfonia.

CLISTENE.
O degli Uomini Padre, e degli Dei
Onnipotente Giove,
Al cui cenno si muove
Il mar, la terra, il Ciel; di cui ripieno
è l’universo; e dalla man di cui
Pende d’ogni cagione, e d’ogni evento
La connessa catena:
Questa che a te si svena
Sacra vittima accogli: essa i funesti
Che ti splendono in man, folgori arresti.

Nel porgere la scure al Sacerdote viene interrotto da Argene.

Scena VIII.

Argene, e detti.

ARGENE.
Fermati, o Re. Fermate
Sacri Ministri.
CLISTENE.
Oh insano ardir! Non sai,
Ninfa, qua! opra turbi?
ARGENE.
Anzi più grata
Vengo a renderla a Giove. Una io vi reco
Vittima volontaria ed innocente,
Che à valor, che à desio
Di morir per quel reo.
CLISTENE.
Qual è?
ARGENE.
Son io.
MEGACLE.
(Oh bella fede!)
LICIDA.
(Oh mio rossor!)
CLISTENE.
Dovresti
Saper che al debil sesso
Pe’l più forte morir non è permesso.
ARGENE.
Ma il morir non si vieta
Per lo sposo a una sposa. In questa guisa
So che al Tessalo Admeto
Serbò la vita Alceste, e so che poi
L’esempio suo divenne legge a noi.
CLISTENE.
Che perciò? Sei tu forse
Di Licida consorte?
ARGENE.
Ei me ne diede
In pegno la sua destra, e la sua fede.
CLISTENE.
Licori, io che t’ascolto
Son più folle di te. D’un regio Erede
Una vil Pastorella
Dunque …
ARGENE.
Nè vil son io
Nò son Licori. Argene ò nome: in Creta
Chiara è del sangue mio la gloria antica.
E se giurommi fe, Licida il dica.
CLISTENE.
Licida, parla.
LICIDA.
(è l’esser menzognero
Questa volta pietà.) No, non è vero.
ARGENE.
Come! E negar lo puoi? Volgiti ingrato,
Riconosci i tuoi doni,
Se me non vuoi. L’aureo monile è questo
Che nel punto funesto
Di giurarmi tua sposa
Ebbi da te. Ti risovvenga almeno,
Che di tua man me ne adornasti il seno.
LICIDA.
(Pur troppo è ver.)
ARGENE.
Guardalo, o Re.
CLISTENE.
Dinanzi

Alle guardie, che vogliono allontanarla a forza.

Mi si tolga costei.
ARGENE.
Popoli, Amici,
Sacri Ministri, eterni Dei, se pure
N’e alcun presente al sacrificio ingiusto,
Protesto innanzi a voi, giuro ch’io sono
Sposa a Licida, e voglio
Morir per lui: ne … Principessa, ah vieni
Soccorrimi: non vuole
Udirmi il Padre tuo.

Scena IX.

Aristea, e detti.

ARISTEA.
Credimi, o Padre,
è degna di pietà.
CLISTENE.
Dunque volete,
Ch’io mi riduca a delirar con voi?
Parla. Ma siano brevi i detti tuoi.

Ad Argene.

ARGENE.
Parlino queste gemme,

Porge il monile a Clistene.

Io tacerò. Van di tai fregi adorne
In Elide le Ninfe?
CLISTENE.
Aime. Che miro!

La guarda, e si turba.

Alcandro, riconosci
Questo monil?
LICIDA.
Se’l riconosco? è quello
Che al collo avea, quando l’esposi all’onde,
Il tuo figlio bambin.
CLISTENE.
Licida (oh Dio!
Tremo da capo a piè.) Licida sorgi,
Guarda: è ver che costei
L’ebbe in dono da te?
LICIDA.
Però non debbe
Morir per me. Fu la promessa occulta:
Non ebbe effetto, e col solenne rito
L’imeneo non si strinse.
CLISTENE.
Io chiedo solo
Se’l dono è tuo.
LICIDA.
Sì.
CLISTENE.
Da qual man ti venne?
LICIDA.
A me donollo Aminta.
CLISTENE.
E questo Aminta
Chi è?
LICIDA.
Quello a cui diede
Il Genitor degli anni miei la cura.
CLISTENE.
Dove sta?
LICIDA.
Meco venne,
Meco in Elide è giunto.
CLISTENE.
Questo Aminta si cerchi.
ARGENE.
Eccolo appunto.

Scena X.

Aminta, e detti.

AMINTA.
Ah Licida …

Vuol abbracciarlo.

CLISTENE.
T’accheta.
Rispondi, e non mentir. Questo monile
Donde avesti?
AMINTA.
Signor, da mano ignota
Già scorse il quinto lustro
Ch’io l’ebbi in don.
CLISTENE.
Dov’eri allor?
AMINTA.
Là dove
In mar, presso a Corinto,
Sbocca il torbido Asopo.
LICIDA.
(Ah ch’io rinvengo

Guardando attentamente Aminta.

Delle note sembianze
Qualche traccia in quel volto. Io non m’inganno.
Certo egli è desso.) Ah, d’un antico errore,

Inginocchiandosi.

Mio Re, son reo. Deh me’l perdona. Io tutto
Fedelmente dirò.
CLISTENE.
Sorgi, favella.
LICIDA.
Al mar, come imponesti,
Non esposi il bambin: pietà mi vinse.
Costui straniero, ignoto
Mi venne innanzi, e gliel donai, sperando
Che in rimote contrade
Tratto l’avrebbe.
CLISTENE.
E quel fanciullo, Aminta,
Dov’è? Che ne facesti?
AMINTA.
Io … (Quale arcano
ò da scoprir!)
CLISTENE.
Tu impallidisci? Parla,
Empio, dì, che ne fu? Taccendo aggiungi
All’antico delitto error novello.
AMINTA.
L’ai presente, o Signor; Licida è quello.
CLISTENE.
Come! Non è di Creta
Licida il Prence?
AMINTA.
Il vero Prence in fasce
Finì la vita. Io ritornato appunto
Con lui bambino in Creta, al Re dolente
L’offersi in dono: ei dell’estinto in vece
Al trono l’educò per mio consiglio.
CLISTENE.
Ah Numi, ecco Filinto, ecco il mio figlio!

Abbracciandolo.

ARISTEA.
Stelle!
LICIDA.
Io tuo Figlio?
CLISTENE.
Sì. Tu mi nascesti
Gemello ad Aristea. Delfo m’impose
D’esporti al mar bambino, un parricida
Minacciandomi in te.
LICIDA.
Comprendo adesso
L’orror, che mi gelò, quando la mano
Sollevai per ferirti.
CLISTENE.
Adesso intendo
L’eccessiva pietà, che nel mirarti
Mi sentivo nel cor.
AMINTA.
Felice Padre!
LICIDA.
Oggi molti in un punto
Puoi render lieti.
CLISTENE.
E lo desio. D’Argene
Filinto il Figlio mio,
Megacle d’Aristea vorrei Consorte;
Ma Filinto, il mio figlio, è reo di morte.
MEGACLE.
Non è più reo, quando è tuo figlio.
CLISTENE.
è forse
La libertà de‘ falli
Permessa al sangue mio? Qui viene ogni altro
A dimostrar valor: l’unico esempio
Esser degg’io di debolezza? Ah questo
Di me non oda il Mondo. Olà Ministri
Risvegliate fu l’ara il sacro fuoco.
Va Figlio, e mori. Anch’io morrò fra poco.
AMINTA.
Che ingiustizia inumana!
LICIDA.
Che barbara virtù!
MEGACLE.
Signor t’arresta.
Tu non puoi condannarlo. In Sicione
Sei Re, non in Olimpia, è scorso il giorno
A cui tu presiedesti. Il reo dipende
Dal publico giudicio.
CLISTENE.
E ben s’ascolti
Dunque il publico voto. A prò del reo
Non prego, non comando, e non consiglio.
CORO DI SACERDOTI E POPOLO.
Viva il Figlio delinquente,
Perchè in lui non fia punito
L’innocente Genitor.

Nè funesti il dì presente
Nè disturbi il sacro rito
Un‘ idea di tanto orror.

Fine Dell‘ Atto Terzo.

Admeto ed Alceste, Ballo tragico.

La scena rappresenta un tempio antico, con ara net mezzo circondata da Sacerdoti.

Scena I.

Alceste con numeroso seguito da una parte; ed Admeto pure con altro gran seguito dall‘ altra. Questo condotto da Amore, e quella guidata da Imeneo, vanno all‘ altare: ivi si danno la mano, e si giurano scambievolmente eterna fede. Le faci d’Imeneo, e di Amore si allumano; e tutti gli astanti danno segni di gioja con nobili, ed allegre danze.

Scena II

Admeto danzando con Alceste, cerca di persuaderla a levarsi il velo, che la copre. Resiste questa a tal dimanda: tanto che Amore glie lo strappa, e la scopre. Si butta allora teneramente Alceste nelle braccia del suo Consorte.

Scena III.

Sentesi un gran rumore sotteraneo: il tempio viene ingombrato da folte nuvule: trema l’altare. Apollo si vede con un pugnale in mano comparire sopra una machina. E nell‘ istesso tempo, che getta il ferro nel mezzo del popolo; l’ara si accende, e scopre con caratteri di fuoco le seguenti parole:

Cesserà ben presto di vivere Admeto, se non v’è alcuno, che voglia morir per lui.

Pieni di orrore restano stupidi Alceste, ed Admeto. Il Popolo si ritira spaventato. I sacerdoti abbandonano le loro funzioni; ed alcuno non s’offre a liberar la vita del suo Principe. Comincia Admeto a sentire gli effetti dell‘ Oracolo. Il suo seguito l’abbandona: il Popolo fugge: fino a‘ suoi stessi Genitori, di già molto vecchi, non solo rifiutano di dar per lui i pochi giorni che gli restano; ma lo lasciano senz‘ altro ajuto in braccio al suo destino. Mancano a poco, a poco le forze ad Admeto: la mente gli si turba: vacilla: impallidisce. L’addolorata Alceste fa mille sforzi per soccorrere il suo Consorte; ma tutto è vano. Cade in fine l’infelice perdendo la vita a piè dell‘ ara. Disperata Alceste del miserabile stato del suo sposo; raccoglie da terra con fretta il pugnale, e trafiggendosene il seno, cade moribonda nelle braccia delle sue donne. La morte di Alceste fa rivivere Admeto. Ma quanto è grande il suo cordoglio allor, che vede la sua adorata Alceste, priva di vita! Corre con trasporto a lei: l’abbraccia:fa ogni sforzo per richiamarla al giorno. Disperato per la perdita del suo più caro oggetto risolve di uccidersi. Invoca, col ferro in pugno, tutti i Dei: ma fordi questi alle sue voci; alza con furia il braccio per passarsi il cuore: tutti gli amici accorrono, gli strappano dalle mani il ferro, ed impediscono una fi barbara risoluzione. Admeto detestando sempre più il giorno; divien piu che mai furioso: combatte con tutti: ma abbattuto, ed oppresso dal gran numero, cade svenuto nelle braccia de‘ suoi Corteggiani. Si dissipano allora le nuvole: rinasce il giorno: ed apparisce l’Olimpo con tutte le Deità. Alceste, ed Admeto per la possanza di Amore tornano in vita: ed attoniti della loro commune felicità, restano per un momento sorpresi: ma poi impetuosamente pieni di gioja correndosi incontro, Admeto fi butta a‘ piedi della sua adorata Alceste, e questa rilevandolo con trasporto l’accoglie nelle sue braccia.

Il Ballo generale comincia. Vien questo variato da i differenti passi, che danzano le Deità; e terminerà con un gran gruppo coronato da un baldacchino di fiori, che discende dal Cielo sostenuto dagli Amori, e dai Zeffiri.