Gioacchino Rossini

La gazza ladra

Opera in due atti

Libretto von Giovanni Gherardini

Uraufführung: 31.05.1817, Teatro alla Scala, Mailand

Personaggi

Fabrizio Vingradito, ricco fittajuolo

Lucia, moglie di Fabrizio

Giannetto, figlio di Fabrizio; militare

Ninetta, serva in casa di Fabrizio

Fernando Villabella, padre della Ninetta militare

Gottardo, Podestà del villaggio

Pippo, giovine contadinello al servizio di Fabrizio

Isacco, merciajuolo

Antonio, carceriere

Giorgio, servo del Podestà

Gregorio, cancelliere

Un Usciere

Genti d‘ Arme

Contadini e Contadine

Famigli di Fabrizio

La scena si finge in un grosso villaggio non molto distante da Parigi.

Atto Primo.

Scena I.

Ampio cortile della casa di Fabrizio. Sul dinanzi domina un portico rustico con pergolato; ad un pilastro è appesa una gabbia aperta, dentro della quale si vede una gazza. Nel fondo e‘ verso il mezzo è collocata una porta con cancello, per cui si entra nel cortile. Al di là la scena rappresenta alcune collinette.

Diversi abitanti del villaggio; alcuni famigli recanti le cose necessarie per apparecchiare una mensa; subito Pippo; indi Lucia con un canestro di biancherie; finalmente Fabrizio ed altri servi con bottiglie di vino.

CORO.
Oh che giorno fortunato!
Oh che gioja si godrà!
PIPPO.
Dopo tanti e tanti mesi
Spesi in guerra e fra gli stenti,
Oggi alfine a‘ suoi parenti
Il padron ritornerà.
PARTE DEL CORO E PIPPO.
Vieni, vieni, o padroncino;
TUTTI.
Vieni a noi, Giannetto amato.
Oh che giorno fortunato.
Oh che gioja si godrà!
LA GAZZA.
Pippo! Pippo!
PIPPO.
Chi ha chiamato?
CORO.
Non so niente. – Ah ah aha!

Essendosl accorti della gazza, e deridendo Pippo.

LA GAZZA.
Pippo!
PIPPO.
Ancora?
CORO.
Ve‘ chi è stato.

Additandogli la gazza.

PIPPO.
Brutta gazza maledetta,
Che di colga la saetta!
LA GAZZA.
Pippo! Pippo!
PIPPO.
Taci là.
CORO.
Pippo! Pippo! Ah ah ahà!

Deridendo Pippo.

LUCIA.
Marmotte, che fate?
Così m‘ obbedite?
Movetevi, andate:
La mensa allestite
Là sotto alla pergola
Che invita a mangiar. –
Che flemma! sbrigatevi:
Pigliate, stendete.
Mio figlio, il sapete,
Dee tosto arrivar.
PIPPO E CORO.
Che giorno beato
Dobbiamo passar!
LUCIA.
Alfine cessato
Avrò di tremar. –
Ehi! Ninetta? – Quando io chiamo,
Tutti perdono l‘ udito. –
E colui di mio marito
Dove adesso se ne sta?
PIPPO E CORO.
Tuo marito eccolo qua
Ser Fabrizio la.
FABRIZIO.
Egli vieni, o mia Lucia,
Come Bacco, trionfante:
Egli reca l’allegria,
Reca il nettare spumante
Che mantiene nelle vene
Il vigor, la sanità.
TUTTI.
Viva Bacco e la cantina,
Medicina d‘ ogni età.
LUCIA a Fabrizio.
Ah col suo congedo alfine
Oggi arriva il figlio amato!
FABRIZIO.
Certamente; ed amogliato
Lo vorrei, ben mio, veder.
LUCIA.
A me tocca il dargli moglie;
Questo affare a me si aspetta.
Egli dee sposar –
LA GAZZA.
Ninetta.
FABRIZIO.
Ah! la gazza ha indovinato.
LUCIA.
Insensato!
FABRIZIO.
Si vedrà –
Brava, brava! – Ahi, ahi!

Si avvicina alla gazza, l’accarezza e ne resta beccato.

LUCIA.
Ch‘ è stato?
FABRIZIO.
M‘ ha beccato.
LUCIA.
E ben ti sta.
FABRIZIO.
Ma la gazza ha indovinato.
LUCIA.
Insensato!
FABRIZIO.
Si vedrà.
TUTTI GLI ALTRI.
Se la gazza ha indovinato,
Ogni core esulterà.
TUTTI additando la mensa.
Là seduto l‘ amato Giannetto.
FABRIZIO CON PARTE DEL CORO.
A suo padre, alla sposa vicino.
PIPPO COL RESTO DEL CORO.
A sua madre, alla sposa vicino.
LUCIA.
Alla cara sua madre vicino.
TUTTI.
Noi l‘ udremo narrar con diletto.
Le battaglie, le stragi, il bottino;
Or d‘ orgoglio brillar lo vedremo,
Or di bella pietà sospirar.
E fra i brindisi intanto faremo
I bicchieri ricolmi sonar.

Partono gli abitanti del villaggio.

FABRIZIO.
Oh cospetto! undici ore già passate.

Guardando l’orivolo.

E Giannetto ne scrive
Che sarà qui sul mezzogiorno.
LUCIA.
Oh diavolo,
Già così tardi! – E la Ninetta ancora
Non voggo. Ov‘ è costei? – Pippo rispondi.
PIPPO.
Per la collina, io credo,
A cogliere le fragole.
LUCIA.
Ah Fabrizio,
Da qualche tempo son molto scontenta
Di questa tua Ninetta, – Pippo Ignazio,
Antonio, andate tutti
A preparare il resto. –

Pippo e gli altri famigli si ritirano.

Ah se la colgo
Quclla smorfietta! –
FABRIZIO.
Eh via, cessa una volta!
Tu sempre la rimbrotti, e sempre a torto.
LUCIA.
A meraviglia! E quando
Ridendo e civettandella mi perde
Le forchette d’argento, dimmi, allora
Se wi viene la bile, ho torto ancora?
FABRIZIO.
Gran cosa! Finalmente
E‘ una forchetta sola
Che si smarriper caso; e chi sa forse
Che un dì non si vitrovi! – Orsù, Lucia,
Bada a trattare con maggior dolcezza
Quella fanciulla.
LUCIA in aria di spezzo.
Ah, ahà!
FABRIZIO.
Rispetta in lei
Le sue sventure
E s‘ ella qui si procaccia
Una meschina vita,
Non dev’esser pereid da noi schernita.
LUCIA.
E chi dice il contrario? – Ma finiamola.
Il tempo vola: io corro
Un momento in cucina; e poi, se credi,
Andremo insieme ad incontrar Giannetto.

Via.

FABRIZIO.
Dici ben; vo nell’orto, e là ti aspetto.

Via.

Scena II.

Ninetta con un panierino di fragole; che scende dalla collina ed entra nel cortile; poscia Fabrizio, e finalmente la Lucia col canestro delle posate.

NINETTA.
Di piacer mi balza il cor;
Ah bramar di più non so:
E l’amante e il genitor
Finalmente io rivedrò.
L’uno al sen mi stringerà;
L’altro, – l’altro – ah che dirà?
Dio d’amor, confido in tè;
Deh tu premia la mia fè!
Tutto sorridere
Mi veggo intorno;
Più lieto giorno
Brillar non può.
Ah già dìmentico
I miei tormenti:
Quanti contenti!
Alfin godrò!

Va a deporre il suo panierino sulla mensa.

FABRIZIO.
Oh come il mio Giannetto

Usceado dall‘ orto con alcuno pere che va a deporre sulla mensa.

Gradirà queste pere!
NINETTA.
Addio; buon giorno!

A Fabrizio.

FABRIZIO.
Alfin sei giunta, amabile Ninetta.
Hai raccolte le fragole?
NINETTA.
Un intero
Panierin n’ho ricolmo. – Eccole.
FABRIZIO.
Oh belle,
E fresche al par di te! – Senti mia cara;
Quest‘ oggi vo‘ che tutto
Spiri dintorno a noi gioja, letizia,
E amore.
NINETTA.
Oh si, lo spero. Vostro figlio –
FABRIZIO.
Ah, aha! mio figlio, il sò, ti piace – Bastâ –
NINETTA.
Oh me felice!
FABRIZIO.
Taci, che vien Lucia.
NINETTA.
Caro Fabrizio!

Gli bacia la mano; ed egli la fa una carezza.

LUCIA.
Ma brava! – E, tu, quando farai gindizio? –
Prendi queste posate, e bada bene

Alla Ninetta.

Che non si perda nulla!
NINETTA.
Ah no! vorrei
In pria morir, che ancora
Mancar dovesse –
LUCIA.
Solite proteste
Ma intanto la forchetta se n’è ita –
NINETTA.
Io non ci ho colpa!
LUCIA.
Ma però –
FABRIZIO.
Che vita! –
Andiamo!

Prende la Lucia per un braccio mostrandosi alquanto adirato.

LUCIA.
Andiamo pure.
FABRIZIO.
Addio, Ninetta.

Si stacca dalla Lucia, e va a parlare nell‘ orrecchio alla Ninetta.

LUCIA.
Eh quante tenerezze! Ad una serva
Nen bisogna dar tanta confidenza.

Tirando a se Fabrizio.

FABRIZIO.
Non pianger, mia fanciulla; abbi pazienza.

Lucia e Fabrizio escono, e prendono la via della collina. Nin, chiude il cancello, e poi rientra nell‘ abitazione.

Scena III.

Isacco, prima di dentro, e poscia affaciandosi al cancello, colla sua cassa di merci; e subito Pippo, arrecando qualche cosa per lamensa.

ISACCO.
Stringhe e ferri da calzette,
Temperini e forbicette.
Aghi, pettini, coltelli,
Esca, pietre e zolfanelli.
Avanti, avanti
Chi vuol comprar,
E chi vuol vendere
O barattar.
PIPPO.
Oh, senti il vechio Isacco.
Andate, galantuomo; risparmiate
Una voce si bella:
Quest, oggi abbiamo vuota la scarsella.
ISACCO.
Io compro, se volete;
Baratto: se vi piace.
Guardate cha bei capi,
Che belle mercanzie
Tutte di moda e più che mai perfette.
PIPPO.
Andate, vi ripeto.
ISACCO.
Salutatemi
La signora Ninetta: se per sorte
Ella bissògno avesse
De‘ fatti miei, ditele ch’io mi trovo
Fino a dimani nell‘ Albergo nuovo.

Parte.

Scena IV.

Pippo e Ninetta con de‘ fiori per adornar la mensa.

NINETTA.
Mi par d’avere udita

A Pippo.

La voce di quel vecchio merciajuolo
Che suole tutti gli anni
Passar di qua.
Non v’ingannaste; è desso:
E mi chiamò di voì.
NINETTA.
Gli son tenuta assai.
PIPPO.
Un usurajo egual non vidi mai.

S’ode dietro alla collina una sinfonia campestre.

NINETTA.
Ma qual suono!
CORO DI CONTADINI da lontano.
Viva, viva!
NINETTA.
Ma quai grida!
CORO come sopra.
Ben tornato!
PIPPO.
È Giannetto!

Saltando per gioja.

NINETTA.
Oggetto amato,
Deh mi vieni a consolar! –
Oh momento fortunato!
O che dolce palpitar.
PIPPO.
Fuori, fuori! E ritornato!
Deh venitelo a mirar!

Correndo sulla soglia dell‘ abitazione, e chiamando i famigli.

Scena V.

Ninetta, Pippo, Giannetto, Fabrizio, Lucia, contadini e contadine che si veggono discendere dalla collina, ed i famigli di Fabrizio che escono dal cortile. Giannetto, vedendo la Ninetta, si spicca dalla comitiva, oorre, e trovasi alla porta che dalla srada mette al cortile, nel momento che vi giunge la Ninetta per riceverlo.

CORO.
Bravo, bravo! Ben tornato!
Qui dovete ognor restar.
GIANNETTO.
Vieni fra queste braccia –

Alla Ninetta.

Mi balza il cor nel sen!
D’un vero amor, mio ben.
Questo è il linguaggio.
Anche al nemico in faccia
M’eri presente ognor
Tu m’inspiravi allor
Forza e corraggio.
Ma quel piacer che adesso,
O mia Ninetta, io provo,
E così dolce e nuovo
Che non si può spiegar,
PIPPO, FABRIZIO E CORO.
Mi sembrano due tortore:
Mi fanno gìubilar.

Tutti fanno festa a Gianetto – Ad un cenno di Lucia, Pippo e gli altri famigli rientrano in casa.

Alcuni famigli portano fuori delle sottocoppe coperte di bicchieri, e mescono ai contadini. Pippo esce con un nappo in mezzo alla festosa turba, e fa il seguente brindisi.

PIPPO.
Tocchiamo, beviamo:
A gara, a vicenda:
Il petto s‘ accenda
Di dolce furor.
TUTTI.
Tocchiamo; e discenda
La gioja nel cor.
PIPPO.
Se il nappo zamilla.
Se spuma, se brilla,
E ricchi e pitocchi
Esultano allor.
TUTTI.
Beviamo; e trabocchi
Di gioja ogni cor.
PIPPO.
Il nappo è di Pippo
La pipa e la pappa:
Il picchero accoppa
Le pene del cor.

Finisce la festa ed i contadini escono.

GIANNETTO.
O madre, aacor non mi diceste nulla
Del caro zio. Che fa?
LUCIA.
Sempre trafitto
Dalla sua gotta.
GIANNETTO.
Ah voglio
Vederlo ed abbracciarlo.
FABRIZIO.
E ben, possiamo
Or tutti in compagnia
Andar da lui: – che te ne par, Lucia?
LUCIA.
Andiamei pur. – Ninetta,
Tien l’occhio a tutto. – Pippo? –
PIPPO.
Signora –

Uscendo subito.

LUCIA.
Là in cucina
Raccogli la mia gente,
E mangiate e bevete allegramente.
PIPPO.
Oh vi faremo onore!

Rientra in casa.

GIANNETTO.
A rivederci,

Alla Ninetta.

Mia cara!
NINETTA.
Si; ma ritornate presto.
LUCIA.
Povera bestiolina,

Alla gazza.

Vien qua; bacia la mano; addio, carina.

Fabrizio, Lucia e Giannetto escono dalla porta che mette alla strada. Intanto ch’essi dilungansi al basso. Fernando compare sulla collina, e ne discende guardandosi sempre d’intorno in aria di sospetto.

Scena VI.

Ninetta, e subito Fernando.

NINETTA.
Idolo mio! – Contiamo
Queste posate – Oh come,
Come sento ch’io l’amo!
FERNANDO.
No, non m’inganno.

Riconoscendo la casa di Fabrizio

NINETTA.
Il conto è giusto.
FERNANDO.
Oh Dio!
Quella certo è mia figlia! Ahi dì qual colpo
A ferire ti vengo
NINETTA.
Oh ciclo! un uomo:
Par ch’egli pianga –

Se gli accosta timidamente.

Dite, in che poss’io? –
FERNANDO.
Adorata mia figlia!

Scopreudosi e con dolore.

NINOTTA.
Oh padre mio!

Con trasporto, e gettandosl fra le braccia di suo padre.

FERNANDO.
Zitto! non mi scoprir.
NINETTA.
Come! che dite?
FERNANDO.
Ascolta, e trema. – Jeri,
Sul tramontar dal sole,
Giunse a Parigi la mia squdre. Io tosto
Dal capitano imploro
Di vederti il favor. Bieco e crudele
Ei me lo niega. Con ardir, con fuoco,
A‘ detti suoi rispondo. Sciagurato!
Ei grida; e colla spada
Già m’è sopra. Agli occhi
Mi fa un velo il furor; la sciabla impugno,
M’avvento, e i nostri ferri
Gia suonano percossi;
Quand‘ ecco a noi sen viene
Pronto un soldato, e il braccio mio trattiene.
NINETTA.
E allora, padre mio?
FERNANDO.
Barbara sorte!
Fui disarmato, e condannato a morte.
NINETTA.
Misera me!
FERNANDO.
Gli amici
Procuran la mia fuga. Il prode Ernesto
Di questi cenci mi coperse, e scorta
Mi fu sino al primier
Villaggio, dove entrambi
Piangendo ci lasciammo. Amico mio
Ei disse; e dir non mi poteva: Addio!
NINETTA.
Come frenare il pìanto!
Io perdo il mio coraggio! –
E pur di speme un raggio
Ancor vegg’io brillar.
FERNANDO.
Ah no, non v‘ è più speme;
E‘ certo il mio periglio:
Solo un eterno esiglio,
Oh Dio! mi può salvar.
FERNANDO E NINETTA.
Per questo amplesso o padre / figlia, –
(Ah regger non poss’io!
Chi vide mai del mio
Più barbaro dolor!)
FERNANDO.
Deh! m’ascolta.
NINETTA.
Si, parlate.
FERNANDO.
Fra l’orror di tante pene,
Se sapessi –

Si vede in questo momento arrivare dalla collina il Podestà.

NINETTA.
Oh Dio, chi viene!
FERNANDO.
Chi mai dunque?
NINETTA.
Il Podestà.
FERNANDO.
Ah, che dici! Son perduto.
Come far?
NINETTA.
Qui, qui sedete.

Conducendolo verso la mensa.

FERNANDO.
S‘ ei mi scopre –
NINETTA.
Nascondete
Quelle vesti.
FERNANDO.
Ma se mai –
Oh crudel fatalità!
NINETTA.
Ah corraggio, per pietà!
FERNANDO E NINETTA.
Io tremo, pavento!
Che fiero tormento!
Che barbara sorte!
Men cruda è la morte.
Il nembo è vicino!
Tremendo destino,
Mi sento gelar!

Fernando si ravviluppa nel suo gabbarro, e si colloca all‘ angolo piu lontano della tavola. – La Ninetta si occupa a sparecchiar la mensa.

Scena VII.

Il Podesta, Ninetta e Fernando.

Il Podesta avviandosi verso l‘ abitazione, dice quanto segue. – Frattanto la Ninetta versa da bere a suo padre, e lo conforta in segreto.

PODESTÀ.
Il mio piano è preparato,
E fallire non potrà.
Pria di tutto, con destrezza,
Le solletico l’orgoglio.
No, non posso – ohimè! – non voglio, –

Contraffacendo la Ninetta.

Deh partite, o Podestà!
Ciancie solite e ridicole;
Formolario omai smaccato!
Ma frattanto il cor piagato
Un bel sì dicendo va.
Ii mio piano è preparato,
E fallire non potrà.
Si, si, Ninetta.
Sola soletta
Ti troverò.
Quel caro viso
Brillar d’un riso
Io ti farò.
E poi che in estasi
Di dolce amore
Ti vedrò stendere
La mano al core,
Rinvigorito,
Ringiovanito,
Trionferò,
Il mio progetto
Fallir non può.
NINETTA.
Un altro, un altro: questo

Versando a suo padre un altro bicchier di vino.

Vi dara forza a camminar.
PODESTÀ.
Buon giorno;

Avendo udita la voce li Ninetta, e solo accorgendosi di lei in questo punto.

Bella fanciulla.
NINETTA.
Vi son serva.
PODESTÀ.
Ditemi:
Chi è quell’uomo?

A parte alla Ninetta.

NINETTA.
Un povero viandante
Che mi chiedea soccorso –
PODESTÀ.
E voi gli deste
A bere. Oh brava, brava! Anch’io, mia cara,
Ho una gran sete –
NINETTA.
Subito, vi servo.
PODESTÀ trattenendola.
No, no; per la mia sete
Non ci vuole del vino.
NINETTA.
Dunque dell’acqua?
PODESTÀ accarezzandole la mano.
Tu non mi uoi capir.
NINETTA.
Lasciate. – E bene.

A suo padre.

Come lo ritrovaste? –

E poi sotta voee.

Fingete di dormire. – Oh, voi saprete

Ritornando verso il Podesta.

Ch‘ è arrivato Giannetto.
PODESTÀ.
Ed ero appunto
Venuto a salutarlo.
NINETTA.
Mi rincresce
Che sono tutti useiti.
PODESTÀ.
Eh non importa!
Ci siete voi, mi basta. Ma colui

Accenando Fernando, il quale finge di dormire, ma di tempo in tempo alza la tesra per osservare che cosa succede.

Perchè non se ne va?
Cacciatelo.
NINETTA.
Vedete, è tanto stanco
Che già s’è addormentato.
PODESTÀ.
(Can che dorme
Non dà molestia.) – Ah se sapeste o cara,
Da quanto tempc io cerco
Di ritrovarvi sola –
NINETTA.
Andate, andate;
Non vi fate burlare.
PODESTÀ.
Ah, mia Ninetta,
Perchè così ritrosa?
Rispondi, anima mia.

Scena VIII.

Giorgio e detti.

GIORGIO.
Il cancellier Gregorio a voi m’invia.
PODESTÀ.
Un corno.
(Uh! maledetto.)
GIORGIO.
Questo piego pressante è a voi diretto.
PODESTÀ.
Ah ah! – Chi l’ha recato?
GIORGIO.
Un birro.
NINETTA E FERNANDO.
Un birro!

A parte e con ispavento.

PODESTÀ.
Giorgio, dammi una sedia. –
Vediamo che cosè – Vattene pure.

Giorgio parte.

Scena IX.

Il Podestà Ninetta e Fernando.

Potestà, assiso verso il mezzo della scena, si leva di tasca un portafoglio, ne toglie le forbici onde tagliare il sigillo del piego; poi cerca gli occhiali, e, non trovandoli, s’impazientisce di non poter riuscire a leggere. Intanto succede in disparte fra la Ninetta e suo padre il seguente dialogo, che viene a suo tempo interrotto dal Podestà.

NINETTA.
Ah! caro padre, udiste? Io tremo! Intanto
Chei legge, deh! fuggite.
FERNANDO.
E come, o figlia?
Sono senza denari.
NINETTA.
Oh cielo! ed io
Non ho più nulla.
FERNANDO.
E bene,
Prendi questa posata, unico avanzo
Di quanto io possedea! Deh tu procura.
Di venderla dentr’oggi, – ma in segreto! –
La dietro al colle io vidi
Un gran castagno, a cui la lunga etade
Scavato ha il sen.
NINETTA.
Me ne sovvengo.
FERNANDO.
Quivi
Cela il denaro che potrai ritrarne.
Nel folto della selva
Io mi terro nascoso: e come il cielo
Imbruni, fa che in quel castagno io trovi
Almen questo sussidio.
NINETTA.
(Ah! se tornasse
Il vecchio Ebreo; che pur dianzi -) O padre,
Farò di tutto. Andate –
FERNANDO.
Figlia mia,
Abbracciami.
PODESTÀ.
Ninetta?

Alzandosi.

NINETTA.
(Giusto cielo!)
PODESTÀ.
Galantuomo, restate.

A Fernando che vuol uscire.

FERNANDO.
(lo tremo!)
NINETTA.
(Io gelo! -)
Traetevi in disparte.

Piano a suo padre, il quale torna a sedersi e finge ancora di dormire.

PODESTÀ.
Son questi, almen suppongo, i contrassegni

A parte alla Ninetta.

D’un disertor. – Fernando par che dica.
NINETTA.
(Fernando! -)

Volgendo un guardo a suo padre.

FERNANDO.
(Oh rio destino!)
PODESTÀ.
Ma il resto, senza occhiali,
E’imposibile a legere – Mia cara,
Fate mi il piacer, leggete voi.
NINETTA.
(Gran dio!

Prendendo il foglio, trascorrendolo, e tremando.

O m’uccidi, o mi salva il padre mio! -)
»M’affretto di mandarvi i contrassegni
D’un mio soldato – condannato a morte.
E fuggito, pur or dalle ritorte.
Ei chiamasi -«
PODESTÀ.
Su via.
NINETTA.
»Fer – Fer – Fernando -«
(Suggeritemi, o Dei,
Qualche pietoso inganno!)
PODESTÀ.
(Oh come il duolo
La rende ancor più bella!)
NINETTA.
»Ei chiamasi Fernando Vi – Vinella.«

Guardando a suo padre, come per indicargli la bugia ch‘ ella proferisce.

PODESTÀ.
Continuate.
NINETTA.
(Oh Dio! se leggo ancora,
Tutto è perduto. – Età: quarantott‘ anni;
Statura: cinque piedi -)
PODESTÀ.
E ben, che avete?
Non sapete più leggere?
FERNANDO.
(Infelice!)
NINETTA.
È una mano diabolica!
PODESTÀ.
Ah se avessi
Gli occhiali!

In atto di toglierle il foglio, e cercando nelle sue tasche.

NINETTA.
Permettete. –

Ritenendo il foglio.

(Il ciel m’inspira.)
»Età: ventieinq’anni;
Statura: cinque piedi, undici pollici.«
PODESTÀ.
Peccato! – Andate avanti.
NINETTA.
»Capei biondi,
Occhi celesti, ampia fronte, e lungo il viso.«
PODESTÀ.
Cospetto! egli debb’essere un Narciso. –
E lungo il viso! – e poi?
NINETTA.
»Divisa bianca

Guardando di mano in mano a suo padre per nominar de’colori diversi da quelli di esso.

Con mostre rosse;
Se mai costui passasse
Sul vostro territorio, a dirittura
Fatelo imprigionar -«
PODESTÀ.
Sarà mia cura –

Facendo si rendere il foglio dalla Ninetta e riponendolo in tasca.

Vediam se mai per caso – Olà buon uomo?
NINETTA.
(Ohime!)
FERNANDO.
Signore.

Fingendo di risvegliarsi.

PODESTÀ.
Alzatevi: –
Cavatevi il cappello.
NINETTA.
(Io muojo!)
PODESTÀ.
Ah ahà!

Ridendo.

Venticinqu’anni; è vero? –

Alla Ninetta.

capei biondi,
Occhi celesti, ampia fronte, e lungo il viso.
No no, sì vago Adon qui non ravviso.
NINETTA.
(Respiro.)
PODESTÀ.
Mia cara!

Prendendo per mano la Ninetta.

FERNANDO.
Signora –

Alla Ninetta in atto di voler dirle qualche cosa.

PODESTÀ.
Partite

A Fernando con severità.

NINETTA.
Buon uomo!

A Fernando con tenerezza.

PODESTÀ.
Capite?

A Fernando.

Uscite di qua.

Fernando esce, ma sta in agguato dietro ad un pilastro della porta; la Ninetta lo accompagna collo sguardo.

NINETTA E FERNANDO.
(Oh nume benefico
Che il giusto difendi,
Propizio ti rendi;
Soccorso, pietà!)
PODESTÀ.
(L’istante è propizio!
Amore, discendi;
Se il core le accendi,
Che gioja sarà!)
Siamo soli:

Dopo avere veduto uscire Fernando.

Amor seconda.
Le mie fiamme, i voti miei;
Ah! se barbara non sei,
Fammi a parte del tuo cor.
NINETTA.
Benchè sola, vi potrei
Far gelare di spavento:
Traditor! per voi non sento
Che disprezzo e rabbia e orror.
PODESTÀ, NINETTA E FERNANDO.
(Ah mi bolle nello vene

Fernando è rientraro nel cortile.

Il furore e la vendetta!
Freme il nembo! e la saetta
Già comincia a balenar.)
PODESTÀ.
Ma frenarsi qui convine;
Colle huone vo‘ tentar.
NINETTA E FERNANDO.
(Ma frenarsi qui conviene:
Egli / Ella sol mi fa tremar.)

L’uno accennando la figlia, e l’altra il padre.

PODESTÀ.
Via, deponi quel rigore;
Vieni meco, e lascia far.
FERNANDO.
Vituperio! Disonore!

Avanzandosi con impeto.

Abastanza ho tollerato.
Uom maturo, e magistrato,
Vi dovreste vergognar.
PODESTÀ.
Ah per Bacco! –

Contro a Fernando.

FERNANDO.
Rispettate

Al Podestà.

Il pudore e l’innocenza.
NINETTA.
Caro padre, oh Dio! prudenza.

A parte a Fernando.

PODESTÀ.
Temerario!

A Fernando.

FERNANDO.
Nou gridate,

Coa impeto.

NINETTA.
Vi volete rovinar!

A padre a Fernando.

PODESTÀ.
Vieni meco –

Alla Ninetta.

NINETTA.
Sciagurato!

Respingendolo.

FERNANDO.
Rispettate l’innocenza.

Al Podestà.

PODESTÀ.
Cos’è questa impertinenza?

A Fernando.

NINETTA.
Ah partite!

A padre à Fernando.

FERNANDO.
Si, t‘ intendo!

A parte alla Ninetta e poi si ritira lentamente.

PODESTÀ.
Brutto vecchio, se più tardi –
E tu senti.

Alla Ninetta in atto di prendarla per mano.

NINETTA.
Mostro orrendo!

Respingendolo.

PODESTÀ.
Trema ingrata! Presto o tardi
Te la voglio far pagar.
FERNANDO E NINETTA.
(Infelice! tu mi guardi,
E ti debbo, oh Dio lasciar.)
PODESTÀ, FERNANDO E NINETTA.
(Non so quel che farei;
Smanio, deliro e fremo.
A questo passo estremo
Mi sento il cor scoppiar.)

Intanto che esce il Podestà e che la Ninetta stende le braccia a suo padre, il quale si vede salir la collina, la gazza scende sulla tavola, rapisce un cucchiajo, e se ne vola via. In questo momento cala, la tela, e si cambia la scena come segue.

Scena X.

Stanza terrena in casa di Fabrizio; nel fondo una porta con finestre che guardano sulla strada.

Pippo; quindi Ninetta, che viene dal cortile col canestro delle posate; e in fine lsacco.

PIPPO.
Stomaeo mio tu devi
Quest‘ oggi esser contento; e cibi e vino
Io te ne diedi a cosi larga mano
Che un gran Signor sembravo, anzi un sultano.
ISACCO dalla strada.
Stringhe e ferri da calzette, ecc.
PIPPO.
Vattene alla malora.
NINETTA entrando in iscena.
Il merciajuolo!
Come oppurtuno ei viene! – Isaceo, Isacco!

Aprendo la porta che mette alla strada.

ISACCO entra.
Son qua, mia cara signorina.
NINETTA.
Pippo,
Mi par che voglia piovere:

Con imbarazzo.

E però sarà bene
Di ritirare in casa
La gabbia della gazza. –

Pippo esce.

Orsù, vorrei

Ad Isacco.

Vender questa posata.

Togliendosi da una tasca del grembiale la posata datale da suo padre.

ISACCO.
Ed io la compro.
NINETTA.
Quanto mi date?
ISACCO.
È assai leggiera; pure
Vi do due scudi.
NINETTA.
Oh indegnità! nè meno
Un terzo del valore.
ISACCO.
Via, non andate in collera.
Vi do un zecchino, perchè siete voi.
NINETTA.
Non basta.
ISACEO.
E bene, voglio
Fare uno sforzo. Questi son tre scudi:
Siete alfine contenta?
NINETTA.
Eh sì, per forza!
ISACCO.
Uno – due – tre: tenete; ma ci perdo.
(Ne vale più di quattro.)
NINETTA.
Andate, andate;
E non dite o nessun –
ISACCO.
Non dubitate.

Via.

Scena XI.

Ninetta, e Pippo recando la gabbia colla gazza.

NINETTA.
Oh povero mio padre!

Mettendosi il danaro in una tesca del grembiale.

PIPPO.
Ecco la gabbia;
Conquella scellerata
D’un gazza.

Depone la gabbia al suo luogo solito.

LA GAZZA.
Pippo.
NINETTA.
Vedila là che ti canzona.
PIPPO.
Mi voul fare impazzir quella stregona. –
Ma perchè mai, se la domanda è lecita,
Faceste entrar quel sordido Avaraccio.
NINETTA.
Avea bisogno di denaro; e quindi
Gli ho venduto –
PIPPO.
Ah! capisco:
Qualche galanteria –
NINETTA.
Sì, che per ora
Non m’era necessaria.
PIPPO.
Oh che sproposito!
Perchè non dirlo a me? Cara signora
Voi dovete disporre in tutto e sempre
Del mio salvadanajo.
NINETTA.
Ti ringrazio.
Ma lasciami: tu sai
Che ho tante cose a fare –
PIPPO.
Ed io, per Bacco,
Ne ho da fare altrettante, e son già stracco.

Via.

NINETTA.
Andiam tosto a deporre entro il castagno
Questo danaro. Oh sea potessi ancora
Rivederti, o mio padre!

Parte.

Scena XII.

Lucia che riconduce la Ninetta; Fabrizio, il Podestà, il cancellier Gregorio, e Giannetto, in fine Pippo.

LUCIA.
Brutta fraschetta,
In casa, in casa. Se ti colgo ancora –
NINETTA.
(Pazienza! è d’uopo rinunziar per ora.)
LUCIA.
Eccovi, miei signori quel Giannetto

Presentando suo figlio al Podestà.

Che si fe‘ tanto onor.

La Lucia si fa recar dalla Ninetta il panierc delle posate, e si mette a contarle.

PODESTÀ a Giannetto.
Me ne rallegro.
Io lessi ne‘ giornali
Più volte il vostro nome; e ben rammento.
E la bandiera che di man toglieste
All’inimico, e i due cavalli uccisi
Sotto di voi. Sì giovine, e si prode –
GIANNETTO.
Degno ancor non son di tanta lode.
FABRIZIO al Podestà.
Bravo! che ve ne pare?
LUCIA.
E nove, e dieci,
Ed undici. – Stordita! ecco qui manca

Alla Ninetta.

Ora un cucchiajo.
NINETTA.
Come?
LUCIA.
Si, un cucchiajo,
Conta pure tu stessa. –

La Ninetta si pone a contar le posate.

Eh! che nedite?

Rivolgendosi agli altri.

Oggi manca un cucchiajo; l’altro giorno
Si perse una forchetta. Ah questo è troppo!
PODESTÀ.
E‘ giusto il vostro sdegno:
Qui ci sono de‘ ladri. Esaminiamo,
Processiamo. – Gregorio –
FABRIZIO.
Eh, ch’io non voglio
Processi in casa mia. – Ninetta?
NINETTA.
È vero;
Uno adesso ne manca: e pur, credete,
Poc’anzi c’eran tutti.

Piange.

FABRIZIO.
Eh via, non piangere!
Lo troveremo.
GIANNETTO.
Pippo! –

Chiamando verso le quinte, Pippo accorre subito.

Corri a veder se mai
Là sotto al pergolato
Sia caduto un cucchiajo.

Pippo esce.

LUCIA.
Io ci scommetto
Che non si troverà.
PODESTÀ.
Non dubitate;
Lo troveremo noi. (Voglio che almeno
Tremi l’indegna.) – Carta e calamajo.

Alla Lucia.

LUCIA.
Vi servo sul momento.
FABRIZIO al Podestà.
Vi ripeto
Ch’io non voglio processi.
LUCIA.
Eh taci, sciocco!
L’innocente è sicuro; e se v‘ è il reo,
Giova scoprirlo e castigarlo.
GIANNETTO.
Oh cielo!
Per sì piccola cosa –
PODESTÀ.
E pur la legge
In questo è assai severa,
Ed i ladri domestici condanna
Alla morte.
TUTTI.
Alla morte!

Scena XIII.

Pippo e detti.

PIPPO.
E sopra e sotto
Ho cercato e frugato,
Ma nulla ho ritrovato.
NINETTA.
(Oh me infelice!)
PODESTÀ.
Dunque c‘ è furto.
PIPPO.
Io non sò niente.
NINETTA.
Anch’io
Sono innocente.
PODESTÀ.
Or si vedrà.

Il Podestà ed il Cancell. siedono ad ua tavolino.

FABRIZIO.
Ma quale
Esser potrebbe mai
La persona sospetta?
GIANNETTO.
Un ladro in casa! e chi sarà?
LA GAZZA.
Ninetta!
NINETTA.
Crudel tu pur m’accusi?

Volgendosi alla gazza.

GIANNETTO alla Ninetta.
Oh Dio, tu piangi.
NINETTA.
Ma non l’avete udita?

Additando la gazza.

GIANNETTO.
Ah non temere!
Nessun vi bada.
FABRIZIO.
In somma, vi scongiuro

Al Podestà.

Lasciate, desistete.
PODESTÀ.
Non posso.
GIANNETTO.
Ma –

Con risentimento al Podestà.

PODESTÀ.
Silenzio! – E voi scrivete.

Al Cancell.

In casa di Messere
Fabrizio Vingradito
E stato oggi rapito –
GIANNETTO.
Rapito no, smarrito.
PODESTÀ.
Zitto! vuol dir lo stesso. –
Rapito. Avete messo?

Al Cancell.

Un cucchiajo d’argento
Per uso di mangiar.
NINETTA, GIANNETTO E FABRIZIO.
Che bestia! che giumento!

Additando il Podestà.

Mi sento a rosicar.
PIPPO.
(Che testa! che talento!

Idem.

Mi fa trasecolar.)
PODESTÀ.
(La rabbia ancor mi sento;
Mi voglio vendicar.
LUCIA.
Pentita già mi sento:
Colui mi fa tremar.)
PODESTÀ.
Di tuo padre quale è il nome?

Alla Ninetta.

NINETTA.
Fernando Villabella.
PODESTÀ.
Villabella! Come, come?
Ora intendo, furfantella:
Quel briccone era tuo padre.
Ma paventa, le mie squadre
Lo sapranno accalappiar.
GIANNETTO, FABRIZIO, LUCIA E PIPPO.
Quale enigma!
PODESTÀ.
Eh! nulla, nulla,
Questa semplice faneiulla
Ne vuol tutti corbellar.
NINETTA.
Più non resisto, o Dio!

Si leva dal grembiale il fazzoletto per asciugarsi le lagrime, e rovescia in terra il danaro ritivato da Isacco.

LUCIA.
Ma che danaro è questo?

Con meraviglia.

NINETTA.
E mio, signora; è mio.

Raccogliendo affannosamente il danaro.

LUCIA.
Eh tn mentisci.
PODESTÀ.
Presto,
Scrivete.

Al Cancell.

NINETTA.
Ve lo giuro;
È mio, è mio, signora.
PIPPO.
E‘ suo, ve l’assicuro:
Isacco a lei lo diè.
PODESTA, LUCIA, FABRIZIO E GIANNETTO.
Isacco!

Con istupore.

PODESTÀ.
Ed a qual titolo?

A Pippo.

PIPPO.
Per certe cianciafruscole! –
Che a lui pur or vendè.
PODESTÀ.
Per certe cianciafruscole!
Cioè?

Ironicamente alla Ninetta.

NINETTA.
Parlar non posso.
PODESTÀ.
Caduta sei nel fosso.
GIANNETTO.
Tacete.

Con ira al Podestà.

Scopri il vero.

Con possione alla Ninetta.

NINETTA.
Non posso!
GIANNETTO.
Deh rispondi!

Insisistendo con viva passione.

LUCIA.
Tu tremi, ti confondi.
NINETTA.
Io, no; signora; – io spero –
PODESTÀ.
Inutile speranza!

Si alza.

Rimedio più non v‘ è.
NINETTA.
(Io perdo la costanza;
Che ne sarà di me!)
GIANNETTO, FABRIZIO E LUCIA.
(Ah questa circostanza;
Mi porta fuor di me!)
PIPPO.
(Oh fiera circostanza!
Io sono suor di me.)
PODESTÀ.
Omai più non t’avanza
Che di venir con me.

Con visibile gioja.

GIANNETTO.
Si chiami Isacco.

Con impeto.

PIPPO.
Subito.

In atto di partire.

FABRIZIO.
In piazza il troverai.

A Pippo che parte immediatamante.

LUCIA, FABRIZIO A GIANNETTO.
Possano tanti guai
Alfine terminar!

Intanto il Podestà esamina il Processo.

NINETTA.
(Oh padre! tu lo sai
S’io posso favellar.)
PODESTÀ.
Quel danaro a me porgete.

Alla Ninetta.

NINETTA.
(Che prètende? o Numi, ajuto)

Consegna il danaro al Podestà.

PODESTÀ.
All‘ Ussicio è devoluto.

Si pone in tasca il danaro.

NINETTA.
Oh crudel fatalità!

Ninetta, Podestà, Lucia, Gianetto e Fabrizio.

PODESTÀ.
(La superbia e l’ardimento

Additando la Ninetta.

Ti farò ben io passar.
Già vicino è il mio momento
Di godere e trionfar.)
NINETTA.
(Padre mio, per te mi sento)
Questo core a lacerar;
E per mio maggior tormento.
Non ti posso, oh Dio, giovar!
FABRIZIO, LUCIA E GIANNETTO.
(Quel pallor, quel turbamento
Mi fa l’alma in sen tremar:
Ora spero, ed or pavento;
Che mai deggio, oh Dio, pensar!)

Scena XIV.

Pippo con lacco e detti.

ISACCO.
Isacco chiamaste.

Con umilta.

PODESTÀ.
Che cosa compraste

Ad Isacco additandogli la Ninetta.

Da lei poco fa?
ISACCO.
Un solo cucchiajo
Con una forchetta.

Titubando.

GIANNETTO.
Ninetta! Ninetta!

Coll’accento della disperazione.

Du dunque sei rea? –
Ed io la credea
L’istessa onestà!
PODESTÀ, FABRIZIO E LUCIA.
Convinta è la rea;
Più dubbio non v’ha.

Ciascuno con diverso affetto.

PIPPO.
Ah s’io prevedea! –
Ma come si fa?
NINETTA.
Ov‘ è la posata?

Ad Isacco con risolutezza.

Mostrate; – e vedrete.

Agli altri.

ISACCO.
Che mai mi chiedete?
Venduta l’ho già.
NINETTA.
Destin terribile!
PODESTÀ.
Ma fate presto.

Al Cancell, dopo avergli parlato all‘ orecchio. Il Cancell, parte subito.

GIANNETTO.
Quai cifre v’erano?

Con impero ad Isacco.

NINETTA.
(Ancora questo!

Coll’accento della disperazione.

Le stesse lettere! –
Mìscra me!)
ISACCO.
Eravi un‘ F.

Dopo aver alquanto pensato.

Ed un Vinsieme.
TUTTI, FUORCHÈ IL PODESTÀ ED ISACCO.
Mi sento opprimere;
Non v‘ è più speme;
Sorte più barbara,
Oh Dio, non v‘ è!
PODESTÀ.
Bene, benissimo!
Non v‘ è più speme.
(Tu stessa chiedermi
Dovrai mercè.)
GIANNETTO.
Ma qual rumore!
TUTTI, FUORCHÈ IL PODESTÀ.
La forza armata!
GIANNETTO, FABRIZIO, LUCIA E PIPPO.
Ah mio signore,

Al Podestà.

Pietà, pietà!

Scena XV.

I suddetti; Gregorio alla testa della gente d’arme; molti abitatori del villaggio, e tutti i famigli di Fabrizio.

PODESTÀ.
In prigione costei sìa condotta.

Alla gente d’arme, accennando la Ninetta.

GIANNETTO.
Giuro al cielo! fermate; o temete –

Opponendosi alle guardie.

PODESTÀ.
Obbedite.

Alle gente d’arme.

NINETTA.
Gran Dio!
FABRIZIO, LUCIA E PIPPO.
Sospendete!

Al Podestà supplicando.

PODESTÀ.
Non lo posso. – I miei conni adempite.

Alla gente d’arme.

NINETTA, LUCIA, FABRIZIO, ISACCO E CORO.
Oh destin!

Le guardie circondano la Ninetta.

GIANNETTO.
Questo è troppo! – Sentite!

Al Podestà.

PODESTÀ.
Sonon sordo. Ora è mia; son contento.
Ah sei giunto, felice momento!
Lo spavento piegarela farà.
NINETTA.
Mille affetti nel petto mi sento;
Lo spavento gelare mi fa.
GIANETTO, FABRIZIO, LUCIA, PIPPO, ISACCO E CORO.
Mille furie nel petto mi sento:
Lo spavento gelare mi fa.
NINETTA.
Ah Giannetto!
GIANNETTO.
Mio ben –

I due amanti si abbracciano.

PODESTÀ alle gente d’armi.
Separateli.
NINETTA E GIANETTO.
Oh crudeli!
TUTTI GLI ALTRI, FUORCHÈ IL PODESTÀ.
Che orrore!
PODESTÀ.
Tenetela.
GIANETTO, FABRIZIO, LUCIA E PIPPO al Podestà supplicando.
Ah signore! –
PODESTÀ.
Non più – Strascinatela.

Alle gente d’arme.

NINETTA a Gianetto, Fabrizio e Lucia.
Io vi lascio.
GIANETTO, FABRIZIO E LUCIA.
Ninetta!
PODESTÀ.
Finiamola.
TUTTI FUORCHÈ NINETTA E IL PODESTÀ.
Chi gli vibra un pugnale nel seno!

Additando il Podestà.

Vorrei far tutto a brani quel cor.
NINETTA a Gianetto Fabrizio e Lucia.
Ah di me ricordatevi almeno;
Compiangete il mio povero cor!
PODESTÀ additando la Ninetta.
(Ah la gioja mi brilla nel seno!
Più non perdo sì dolce tesor.)

Il Podestà ed il Cancellier escono colle genti d’arme, le quali conducono via la Ninetta: attraversando la folla de‘ contadini. Lucia rimane immobile col viso nascosto nel suo grembiale. Fabrizio trattiene a forza suo figlio che vuol correr dietro alla Ninetta. Pippo e tutti gli altri famigli manifestano la loto costernazione; e su questo quadro cala il sipario.

Fine dell‘ atto primo.

Atto Secondo.

Scena I.

Vestibolo delle prigioni nella Pedesteria.

Antonio, e subito Ninetta, in fine Giannetto di fuori.

ANTONIO.
In quell‘ orrendo carcere rinchiusa

Additando il carcere di Ninetta.

Geme la poveretta? A chi potria
Del misero suo stato
Non sentirc pietà?
Ehi, mia signora –

Antonio dice queste ultime parole aprendo la porta del carcere die Ninetta e chiamandola dalla soglia.

NINETTA di dentro.
Ohimè!
ANTONIO.
Deh! non temete!
Sono Antonio; sorgete –

Entrando nel carceve.

Venite qui, – venite

Uscendo dal carcere colla Ninetta per mano.

A respirare, ed a godere almeno
Un po‘ di luce.
NINETTA.
Ah quanto vi son grata!
Conoscete voi Pippo?
ANTONIO.
Il servo –
NINETTA.
Appunto.
Se poteste, di grazia,
Farlo tosto avvertito
Ch’io gli vorrei parlar?
ANTONIO.
Uhm! non saprei –
Vedrem – procureremo –

S’ode battere alla porta.

Chi va là?
GIANNETTO.
Apritemi.
ANTONIO.
Che volete?

Osservando per lo sportello.

Voi qui, signor Giannetto?
NINETTA.
Qual voce!
GIANNETTO.
Vi scongiuro,
Apritemi.
ANTONIO.
Impossibile.
NINETTA prendendo affettuosamente per mano Antonio.
Ah mio benefattor!
ANTONIO.
(E chi potrebbe
Resister mai? -) Restate. –

Alla Ninetta affettando serietà.

(Infin che male c‘ è?) – Signore, entrate.

Apre a Gianetto.

Scena II.

Giannetto e detti.

ANTONIO riceve da Gianetto una moneta, e si ritira per la porta onde quegli è entrato.
Oh troppo grazie!
GIANNETTO stringendole la mano.
Cara!
NINETTA.
Ed è pur vero?
Ah dunque ancora tù non m’hai del tutto
Abbandonata!
GIANNETTO.
Abbandonarti? Oh ciclo!
Tù si m’abbandonavi allor – Che dico?
Non no, perdona – io non lo credo –
E pure –
Ah, se caro ti sono,
Se veder non mi vuoi morir d’affano,
Ah togli i dubbi miei,
M’apri il tuo cor; dimmi se rea tu sei.
NINETTA con dignità.
Sono innocente.
GIANNETTO.
E perchè dunque, o cara,
Non ti discolpi?
NINETTA.
Perchè nulla io posso
Addurre in mia difesa:
Tacer m’è forza, se tradir non voglio.
Chi già dall‘ empia sorte
E‘ percosso abbastanza.
GIANNETTO.
Ma sperar non poss’io? –
NINETTA.
Vana sparanza!
GIANNETTO.
(Più non so che pensar!) – Ah mia Ninetta,
Tu sei perseguitata:
Il Podestà crudele
La tua sentenza affretta! Tu conosei
Il rigor delle leggi. Ah! se non parli,
Se il tuo fatale arcano
A nasconder ti ostini, – io tremo! forse
In questo giorno istesso – Oh giorno orrendo! –
NINETTA.
Condannata sarò – Non più! t’intendo.
Forse un dì conoscerete
La mia fede, il mio candore:
Piangerete il vostro errore;
Ma quel pianto io non vedrò:
Là frà l’orbre allor sarò!
GIANNETTO.
Taci. taci; tu mi fai
L’alma in sen gelar d‘ orrore.
(No la colpa in si bel core,
No, ricetto aver non può.
Ed io perderla dovrò!)
GIANNETTO E NINETTA.
Nò che la marte istessa
Tanto non fa penar!
Troppo è quest‘ alma oppressa;
Non posso respirar.

Scena III.

Antonio frettoloso, e detti.

ANTONIO.
O mio signor, partite:

A Gianetto.

Il Podestà sen viene.
GIANNETTO.
Idolo mio!

Alla Ninetta.

NINETTA.
Mio bene!

A Gianetto.

ANTONIO.
E voi tornate al carcere.

Alla Ninetta.

NINETTA E GIANNETTO.
Crudel necessità!
GIANNETTO.
Parto; ma per salvarti
Tutto farò, ben mio
Spera frattanto.
NINETTA E GIANNETTO.
Addio!
Che barbaro dolor!
Più non resisto, o Dio!
Sento mancarmi il cor.
GIANNETTO.
Oh cielo, rendini
Il caro ben;
NINETTA.
O cielo, rendimi
Al caro ben;
GIANNETTO E NINETTA.
O scaglia un fulmine
Che m‘ arda il sen.

Gia esce; la Ninetta ritorna nel suo carcere.

Scena IV.

Antonio; subito il Podestà; poscia Ninetta, e in fine alcune guardie.

PODESTÀ.
Antonio! – Conducetemi
La prigioniera. – Nò, non fia mai vero
Che a tollerare io m‘ abbia
Sprezzi e rifiuti. – Andate. –

Ad Antonio che ba. condotta la Ninetta.

(All‘ arte.) – Orsù; mia povera Ninetta,
T‘ accosta. A te mi guida
Tenerezza e pietà. Più non ràmmento
I tuoi torti con me: vorrei salvarti;
Ma come mai, se tutto
Rea ti condanna?
NINETTA.
Io rea!
E creder lo portete?
PODESTÀ.
Ah si, pur troppo!
NINETTA.
Tutto, è vero, congiura a danno mio;
Ma, lo sanno gli Dei, rea non son io.
PODESTÀ.
E bene, io spero ancor. Tutto tu puoi.
Amabile Ninetta,
Aspettarti da me, Si, non temere,
Voglio quest‘ oggi istesso
Toglierti di prigione.
NINETTA.
O mio signore,
Se non mi promettete
Che intero mi sarà reso l‘ onore
E innanzi agli occhi altrui
Seiolta ritornerò d‘ ogni sospetto,
Voglio qui rimaner.
PODESTÀ.
Te lo prometto.
Si, per voi pupille amate,
Tutto tutto far desio:
Ma per me, tu pur, ben mio,
Qualche cosa devi far.
NINETTA.
No giammai.
PODESTÀ.
Paventa, ingrata!
Coro di guardie

Di fuori.

Ah Ninetta sventurata!
PODESTÀ.
Quali accenti! – Un solo amplesso

Con trasporto.

CORO entrando.
Radunato è il gran consesso!

A questi voci, esce fuori Antonio il quale si tiene in di disparte.

Manca solo il Podestà!
PODESTÀ.
(Oh mia sorte maledetta!) –
Ho capito; vengo in fretta –

Alle guardie.

Hai sentito? e ancora adesso –

Alla Ninetta.

NINETTA.
Si, vi replico lo stesso.
PODESTÀ.
Ma la morte?
NINETTA.
Non la temo.
PODESTÀ.
Vanne, indegna; ci vedremo:
Quell‘ orgoglio alfin cadrà.
Udrai la sentenza,
Perdon chiederai;
Ma invan pregherai,
Ma tardi sarà.
CORO ED ANTONIO.
Oh ciel, che fia mai!
Sospetto mi dà.
PODESTÀ.
In odio e furore
Cangiato è l‘ amore;
Pietà nel mìo petto
Più luogo non hà.

In questo punto s‘ ode da lontano il suono de‘ tamburri cui annunzia al popolo che s’apre la sessione del Tribunale.

CORO.
Udiste?
PODESTÀ.
Vi seguo.
CORO.
È questo l’avviso.
PODESTÀ.
E bene?

Alla Ninetta.

NINETTA.
Hò deciso.
PODESTÀ.
Qual sorte l’attenda
L‘ ingrata non sa.

A parte.

CORO ED ANTONIO.
(Quel torbido aspetto
Paura mi fa)

Il Coro parte insieme al Podestà

NINETTA.
Ah! barbaro ogetto.
T‘ invola di quà

Scena V.

Antonio, Ninetta e subito Pippo.

ANTONIO.
Podestà, Podestà! tu me l‘ hai satta.
Le cose questa volta
In regola non vanno. Ah piaccia al cielo! –
PIPPO.
Chiamar voi mi fuceste –

Ad Antonio.

Oh cara amica!

Vedendo la Ninetta, e corvendo verso lei.

NINETTA a Pippo.
Ho bisogno di tè
ANTONIO.
Poche parole,

Alla Ninetta.

Vedete; ia vo frattanto
A far la sentinella.

Via.

PIPPO.
In ciò che‘ posso,
Quel poco ch‘ io possiedo,
Volentieri ve l‘ offro.
NINETTA.
Ah no, mio Pippo;
Abusarmi non voglio
Del tuo buon cor! Solo ti chiedo in presto
Tre scudi, che andrai tosto
A portare là dove
Or ti dirò. Questa mia croce in pegno –
PIPPO.
Adagio, adagio.
Dove portar debbo il danaro?
NINETTA.
Hai tu presente
Quel gran castagno che si trova dietro
Al vicin colle? –
PIPPO.
E che scavato è in modo
Che un uom vi si potrebbe
Quasi quasi appiattar –
NINETTA.
Si, quello appunto,
Là dentro ti scongiuro
Di riporre il danaro innanzi sera.
PIPPO.
Dentro il vechio castagno! –

Maravigliata.

NINETTA.
Si; ma che niun ti vegga.
PIPPO.
Siamo intesi.

In atto di partire.

NINETTA.
Ma Pippo? e questa croce
Che ti scordavi!
PIPPO.
Io non mi scordo nulla.
Tenetela, vi prego.
NINETTA.
Se la ricusi, non accetto anch‘ io
L’offerta tua.
PIPPO.
Vi sfido.
Ora che sè quello che fare io debbo,
Nessun più mi trattiene.
E‘ pure un gran piacere il far del bene!
NINETTA.
Deh pensa che domani,

Trattenendolo.

Oggi fors‘ ancor, non sarà più mio
Quest‘ ornamento!
PIPPO.
Ohìbò! non Io credete:
Esser non può; mel dice il cor: – tenete.
NINETTA.
E ben, per mia memoria
La serberai tu stesso:
Non hai più scuse adesso
Di rifiutarla ancor.
PIPPO.
Pegno adorato, ah sempre
Con Pippo tu starai:

Baciando la croce.

Compagno mi sarai
Fin che mi batte il cor.
PIPPO E NINETTA.
(Mi cadono le lagrime;
M‘ opprime il suo dolor!
Un‘ anima sì tenera
Mi fia presente ognor.)
NINETTA.
A mio nome, deh consegna
Questo anello al mio Giannetto.
PIPPO.
Tanta fede, eguale affetto
Ah veduto mai non hò!
NINETTA.
Digli insieme che lui solo
Fino all‘ ultimo sospiro; –
Ma non dirgli che il mio duolo –
Questo core – Ah ch’io deliro!
Il mio ben più non vedrò
PIPPO.
Per carità, cessate!
Sì sì – non dubitate –
Tutto farò – dirò.

In atto di partire.

NINETTA.
Non t‘ obbliar –
PIPPO.
Che dite!

Vivamente commosso.

Sapete chi son io.
NINETTA.
Povero Pippo, addio.
PIPPO.
Addio! – (Se ancor qui resto,
Mi scoppia in seno il cor.)
NINETTA.
L’ultimo istante è questo
Che ci vediamo ancor.
PIPPO.
(Vedo in quegli occhi il pianto,
Ma ve‘ che piango anch‘ io!)
NINETTA.
Vedo in quegli occhi il pianto
E la cogion son io.
PIPPO E NINETTA.
Dove si trova, oh Dio!
Un più sincero amor?
Addio! – (Se ancor qui resto,
Mi scoppia in seno il cor.)

Ninetta entra nella sua carcere, e Pippo se ne parte.

Scena VI.

Sala del Tribunale nella Podesteria.

Giudici, un Usciere; il Podestà; Giannetto; Fabrizio; Popolo; Guardie alla porta.

I Giudici sono assisi sui loro sedili; in mezzo ad essi è il Pretore, innanzi al quale è collocato un tavolino – Il Podestà presidente alla sessione occupa una sedia a parte – Da un lato si vede il popolo spettatore, fra i quali si distinguono Giannetto e Fabrizio – All‘ alzarsi della tela, si vede l’Usciere che va raccogliendo i voti nell‘ urna. Una musica tetra annunzia questo terribile momento. L’usciere, raccolti i voti, consegna al Podestà il quale, trovato che tutte e palle sone nere, esclama:

PODESTÀ.
A pieni voti è condannata.
GIANNETTO.
Oh cielo.
E tu lo soffri?
PODESTÀ.
Zitto!
FABRIZIO.
Abbi prudenza!
PODESTÀ.
Venga la rea. –

All‘ Usciere, che parte subito.

Stendete la sentenza.

Ad uno de‘ Giudici.

PODESTÀ E GIUDICI.
Tremate, o popoli,
A tale esempio!
Questo è di Temide
L‘ augusto tempio:
Diva terrìbile,
Inesorabile,
Che in lance pondera
L‘ umano oprar:
Il giusto libera,
Protegge e vendica:
Ma sempre il fulmine
Sopra il colpevole
Gingne a scagliar.

Scena VII.

Ninetta e detti.

Ninetta entra accompagnata da alcune guardie che subito si ritirano, e preceduta dall‘ Usciere il quale le indica il luogo ov‘ ella debbe fermarsi.

PODESTÀ.
Infelice doncella,
Omai più non vi resta
Che sperare nel ciel. – Signor, porgete

Facendosi dare la sentenza dal Gindice che l‘ ha stesa.

»Considerando che la nominata
Ninetta Villabella è rea convinta
Di domestico furto; a pieni voti,
Ed a tenor delle vigenti leggi,
Il regio Tribunale
La condanna alla pena capitale.«
TUTTI, FUORCHÈ IL PRETORE ED I GUIDICI.
Ahi qual colpo! – Già d’intorno
Ulular la morte ascolto:
Già dipinto in ogni / nel suo volto
Miro il duolo ed il terror!
GIANNETTO slanciandosi verso i Giudici.
Aspettate sospendete
Voi punite un‘ innocante;
Un arcano, ah non sapete!
La meschina chiude in cor.
TUTTI.
Un arcano!
GIUDICI alla Ninetta.
Eh ben, parlate.
NINETTA.
Rispettate il mio silenzio.
GIANNETTO.
Ah Ninetta! Palesate.
NINETTA.
Non crescete il mio dolor!
PODESTÀ.
(Maledico il mio furor.)
GIANNETTO E FABRIZIO.
Mi si spezza a brani il cor!
IL PRETORE ED I GUIDICI.
Ella tace: e ben, sia tratta
Al supplizio.

Alle guardie.

Scena VIII.

Fernando che entra impetuosamente, e detti.

FERNANDO.
Ah nò! fermate!
NINETTA.
Voi qui, padre?
GIANETTO, FABRIZIO IL PODESTÀ.
Chi vegg’io?
FERNANDO ai Giudici.
Vengo a voi col sangue mio
La mia figlia a liberar.
NINETTA.
(Infelice! Possa il ciclo
I suoi giorni almen serbar!)
FERNANDO.
I miei sforzi ed il mio zelo
Possa il cielo coronar!
GIANETTO E FABRIZIO.
Oh coraggio! Possa il cielo
Tanto zelo secondar!
PODESTÀ alzandosi.
Signori; è quello, è quello
Il disertor che preme:
Ecco gl’indizi – e insieme
Vi troverete l‘ ordine
Di farlo imprigionar.
IL PODESTÀ E I GIUDICI.
Guardie.
NINETTA, GIANETTO E FABRIZIO.
Gran Dio!
GIUDICI.
Fermatelo.

Le guardie circondono Fernando

NINETTA, GIANETTO E FABRIZIO.
Oh cielo! e fia pur vero?
FERNANDO.
Son vostro prigioniero;
Il capo mio troncate.
Ma il sangue risparmiate
D’un‘ innocente vittima
Che non si sa scolpar.
IL PRETORE ET I GIUDICI.
La sentenza è pronunziata:
Più nessun la può cambiar.
FERNANDO.
Ma dunque? –
IL PRETORE ED I GIUDICI.
L‘ uno in carcere,
E l‘ altra sul patibolo.
La legge è inalterabile;
Il reo perir dovrà.
FERNANDO, NINETTA, GIANETTO, FABRIZIO E IL PODESTÀ.
Che abisso di pene!
Mi perdo, deliro.
Più siero martiro
L‘ Averno non ha.
Un padre, una figlia
Tra‘ ceppi, alla scure! –
A tante sciagure
Chi mai reggerà!
IL PRETORE E I GIUDICI.
Guardie, olà.
FABRIZIO E GIANETTO.
Più non posso
Tollerar –
I SUDD. FERNANDO ED IL PODESTÀ.
Son fuor di me!
NINETTA.
Che faceste, padre mio!
Per voi solo io vado a morte;
E voi stesso alle ritorte
Volontario offrite il piè.
FERNANDO.
Che dicesti?
FERNANDO, GIANETTO E FABRIZIO.
Parla; spiegati.
IL PRETORE E I GIUDICI.
Via, si tronchi ogni dimora;
Alla carcere, al supplizio.
NINETTA.
Ah mio padre, in pria ch’io mora!

In atto di volere da lui un amplesso.

FERNANDO ai satelliti che lo trattengono.
Figlia! – Barbari, lasciatemi.
IL PRETORE E I GIUDICI ai satelliti, i quali fann subito per istrascinar via Ninetta e Fernando.
Eseguite.
FERNANDO E NINETTA.
Oh Dio, soccorso!
GIANETTO E FABRIZIO.
Ah Ninetta!
PODESTÀ.
Qual rimorso!
NINETTA.
Mio Giannetto! mio Fabrizio!
IL PRETORE ED I GIUDICI ai satelliti.
Alla carcere; al supplizio.
TUTTI, FUORCHÈ IL PRETORE ED I GIUDICI.
Ah neppur l‘ estremo amplesso!
Questa è troppa crudeltà.
Sino il pianto è negato al mio ciglio;
Entro il seno s‘ arresta il sospir.
Dio possente, mercede, consiglio!
Tu m’aita il mio fato a sosrir.
IL PRETORE, I GIUDICI E IL PODESTÀ.
(Ah già il pianto mi spunta sul ciglio!
Tanto strazio mi fa impietosir.)
Ma la legge non ode consiglio:
Noi dobbiamo alla legge ubbidir.

Le guardie dall‘ una parte conducono Fer, alla carcere; dall‘ altra la Ninetta al luogo del supplizio. Il Pretore, i Giudiei ed il Podestà si ritirano. Tutti gli altri partono costernati.

Scena IX.

Piazza del villaggio. Alla sinistra dello spettatore si vede il campanile ed una parte della chiesa. Alla destra è collocata la porta maggiore della Podesteria. Parimente alla destra, si vede una piccola porta, che è quella dell‘ orto della casa di Fabrizio.

Pippo; quindi Giorgio; e in fine Antonio.

PIPPO.
Ora che nel castagno
Ho riposto il danaro, veder bramo
Quanto mi avanza ancor –

Siede sovra una panehina di sasso presso l’orto di Fabrizio e conta il suo danaro.

Sono più ricco
Di quel che mi credeva – A questa lira,
Nuova di zecca, me la diè Ninetta
Un certo giorno; – dunque a parte: insieme.
Tu starai colla croce.

Mette a parte la lira, e in questo momento compare la gazza sulla porta dell‘ orto.

Ah brutta diavola,
Che fai lì? se ti colgo –
GIORGIO.
Con chi l’hai?
PIPPO.
Con quella gazza infame –

Alzandosi, e raccogliendo il danaro.

Oh! ecco Antonio.
E ben, che nuove abbiamo?

Ad Antonio.

E la Ninetta? –
ANTONIO piangendo.
Ahimè! tutto è finito.

Qui, la gazza discende sutta panchina, rapisce la lira messa in disparte, e s‘ invola sul campanile.

GIORGIO additandogli la gazza.
Oh guarda, guarda.
PIPPO.
Briccona! Ingiustamente
Rubarmi la moneta.
Che tanto mi premeva. – Ah birba,
Eccola la sul ponte. Oh se potessi
Arrampicarmi, forse
Troverei la mia lira. Vo‘ provarmi.
ANTONIO.
Va cerca pure.
PIPPO.
Gazzaccia maledetta!

Pippo e Antonio corrono via.

Scena X.

Ninetta in mezzo alla gente d‘ arme; Contadini, e Giorgio chè s’è rittrato in un angolo e ch’esprime il suo dolore.

Alcuni satelliri fanno riparo alla calca d’Contadini nel fondo; Ninetta in mezzo ad altre genti d’arme discende dalla gradinata della Podesteria, e s’avvia lentamente verso la contrada che gira dietro alla chiesa: essa é preceduta e seguita dagli abitatori del villaggio.

CORO.
Infelice sventurata,
Ti rassegna alla tua sorte:
Nò, crudel non è la morte
Quando è termine al martir.
NINETTA.
Deh tu reggi in tal momento

Saffermandosi davanti alla chiesa.

Il mio cor, pietoso Iddio!
Deh proteggi il padre mio,
E ti basti il mio morir! –
Or guidatemi alla morte.

Ai satelliti.

Si finisca di soffrir.
CORO.
Ah farebbe la sua sorte
Anche un sasso intenerir!

La Ninetta prosegue il suo cammino, seguitata dal popolo, e ben tosto si toglie egli sguardi degli spettatori – Terminata la funebre marcia, Gior. attraversa la scena lentamente e costernato.

Scena XI.

Giorgio; Antonio. Pippo nel campanile; e poscia Giannetto, Fabrizio, Lucia e diversi famigli.

PIPPO.
Giorgio, Antonio! oh me felice!

Tirando a se qualche cosa da un buco in cui egli aveva intruso il braccio.

GIORGIO.
E così, che cosa è stato?
PIPPO.
Tutto, tutto ho ritrovato:
Guarda, guarda; avvisa, grida!

Mostrandogli la posata.

ANTONIO.
Non lasciamola ammazzar!
GIORGIO.
Sei tu pazzo?
ANTONIO E PIPPO.
Olà, fermate:

Vedendo da lungi il convoglio, e gridando a tutta voce.

Dove andate? cosa fate?
Non mi vogliono ascoltar.
PIPPO.
Inumani, andrò ben io –

Pippo rientra nel campanile.

GIORGIO.
Ti compiango, amico mio:
Il cervello se n’è andato.

Pippo suona una campana a tutta forza.

Che fracasso indiavolato!
Oh che pazzo da legar!
GIANNETTO.
Che vuol dir?

Uscendo precipitosamente dall’orto.

FABRIZIO E LUCIA.
Che cosa avvenne?

Idem, e dietro loro alcuni famigli.

ANTONIO E PIPPO.
Innocente è la Ninetta.

Ricomparendo nel campanile.

TUTTI, FUORCHÈ PIPPO, ANTONIO.
Innocente!
ANTONIO E PIPPO.
Innocentissima.
PIPPO.
Il cucchiajo, la forchetta,
La mia lira, è tutto qua.
ANTONIO.
Quella gazza maledetta
Fu la ladra.
GIANETTO, FABRIZIO, LUCIA E GIORGIO.
Giusto cielo!
Gli stessi col Coro.
Caso eguale non si dà!
PIPPO.
Padrona, spiegate
Il vostro grembiale.

Pippo getta giù la posata nel grembiale della Lucia.

FABRIZIO E GIANNETTO.
È desso / dessa mirate:

L’uno prende subitamente la forchetta, e l’altro il cucchiajo, che mostrano alla Lucia

I SUDETTI E CORO.
Il colpo fatale
Corriamo a impedir.
LUCIA, GIORGIO, PIPPO E ANTONIO.
Il colpo fatale
Correte a impedir.

Fabrizio e Gianetto colla posata, corrono via, e dietro ad essi i famigli. – Pip rientro nel campanile, e suona di nuovo a martello.

Scena XII.

Il Podestà e suddetti, fuorchè Giannetto e Fabrizio.

PODESTÀ.
Che scampanare è questo!
Che cosa è mai successo?
LUCIA.
Del mio piacer l’eccesso

Correndogli incontro.

Non vi saprei spiegar.
PODESTÀ.
Io non capisco niente.
LUCIA.
La povera Ninetta
Pur troppo era innocente. –

A Giorgio ed al Podestà.

Andiamola a incontrar.
GIORGIO.
Andiamola a incontrar.
PODESTÀ.
Mi sembra di sognar.

Mentre le Lucia insieme con Gior. fa per incamminarsi, s’ode di lontano una scarica di fucili. – Pippo sul campanile sta osservando attentamente verso la compagna.

LUCIA.
Ah! qual rimbambo! Oh Dei!
E‘ morta, è morta!

S’abbandona sventurata fra le braccia di Gior.

PODESTÀ.
Oh cielo!
Qual fremito! qual gelo
Mi piomba sovra il cor!
ANTONIO E PIPPO.
Io la vedo. Viene, viene.
Qual trionfo! Oh benedetta!
CORO.
Viva, viva la Ninetta,

Di dentro.

La sua fede, il suo candor!
PODESTÀ E GIORGIO.
Oh che sento! son confuso.
Alcuni famiglì entrando.
ANTONIO E PIPPO.
Viene, viene; non temete:

A Lucia.

LUCIA.
Dite il vero?
I SUDETTI FAM.
La vedrete.
PODESTÀ.
Ma lo sparo?
I SUDETTI FAM.
Fu allegria,
Ecco, ecco!

Scena ultima.

I sudetti, Ninetta, Fabrizio, Giannetto, Abitanti, Genti d’arme; e poscia Fernando.

LUCIA.
Figlia mia!

Correndo incontro alla Ninetta.

GIANNETTO.
Si rilasci la Ninetta.

Leggendo cio che sta scritto in una carta ch’egli consegna al Podestà.

Questa è mano del Pretor.
FABRIZIO, GIANETTO E LUCIA.
Quando meno il cor l‘ aspetta,
Sembra il giubilo maggior.
PODESTÀ.
(Quanto costa una vendetta!
Di rimorsi ho pieno il cor.)
PIPPO, ANTONIO E CORRO.
Viva, viva la Ninetta,
La sua fedc, il suo candor!

Pippo discende dal campanile.

NINETTA.
Queste grida di letizia.
Danno tregua al mio tormento:
Ma il mio cor non è contento;
Ma con voi, miei fidi amici,
No, gioir non posso ancor!
FABRIZIO, GIANETTO E LUCIA.
Mia Ninetta, che mai dici?
E‘ svanìto ogni timor.
NINETTA.
No no! – Dov‘ è mio padre? –
Nessun risponde: oh Dio!
Vive? che fa?
FERNANDO comparendo improvvis.
Cor mio,
Sì vive, e a te sen vola;
Sempre con te sarà.

Abbraccia la figlia.

NINETTA.
Ah padre! Or sì che obblio
Tutti i passati guai;
Ah che persetta è omai
La mia felicità!
TUTTI GLI ALTRI, FUORCHÈ IL PODESTÀ.
A chi provato ha mai
Egual felicità!
PODESTÀ accennando Ferd.
Ma in che modo fu costui
Dal suo carcer liberato?
FERNANDO.
Per un ordine firmato
Dal monarca mio signor.
TUTTI GLI ALTRI, FUORCHÈ IL CORO E IL PODESTÀ.
Viva il Principe adorato
Cho sol regna col‘ amor!
PODESTÀ.
(Son confuso strabiliato,
Di me stesso sento orror.)
CORO additando il Podestà.
È confuso, strabiliato,
E già cambia di color.
NINETTA.
E il buon Pippo? non lo vedo.
PIPPO.
Cara amica, sono qua.

Accorrendo verso la Ninetta la quale gli fa grande accoglienza; dietro ad esso viene Antonio

LUCIA unendo la mano di Ninetta con quella di Gianetto.
Mia Ninetta, ecco il tuo sposo.
FERNANDO, GIANETTO E NINETTA.
Oh momento avventuroso!
LUCIA Ninetta e Gianetto l‘ abbrace.
Ma perdena alla Lucia!
FABRIZIO.
Brava, brava moglie mia!
GIANETTO E NINETTA.
Ah mio ben, fra tanto giubilo
Sento il cor dal sen balzar.
TUTTI GLI ALTRI, FUORCHÈ IL PODESTÀ.
(Una scena così tenera
Fa di gioja lagrimar.)
PODESTÀ.
Una scena così tenera
Mi costrìnge a lagrimar.
GIANETTO, NINETTA E PIPPO.
Ecco cessato il vento,
Placato il mare infido:
Salvi siam giunti al lido;
Alfin respira il cor.
PODESTÀ.
(Sordo susurra il vento.
Minaccia il mare infido:
Tutti son giunti al lido;
Io son fra l’onde ancor.)
TUTTI, FUORCHÈ IL PODESTÀ.
In gioja ed in contento
Cangiato è il mio timor.
PODESTÀ.
(D’un tardo pentimento
Pavento, oh Dio, l‘ orror!)

Fine.