Giacomo Puccini

La Bohème

Opera in quattro quadri

Libretto von Giuseppe Giacosa und Luigi Illica

Uraufführung: 01.02.1896, Teatro Regio, Turin

Personaggi

Rodolfo, Poeta (Tenore)

Marcello, Pittore (Baritono)

Schaunard, Musicista (Baritono)

Colline, Filosofo (Basso)

Benoît, Pardone di casa (Basso)

Alcindoro, Consigliere di stato (Basso)

Mimì (Soprano)

Musetta (Soprano)

Parpignol (Tenore)

Sergente dei doganieri (Basso)

Studenti – Sartine – Borghesi – Bottegai e Bottegaie – Venditori Ambulanti – Soldati – Camerieri da Caffè – Ragazzi – Ragazze, Ecc. Ecc.

Epoca: 1830 circa, a Parigi.

…pioggia o polvere, freddo o solleone, nulla arresta questi arditi avventurieri …
La loro esistenza è un’opera di genio di ogni giorno, un problema quotidiano, che essi pervengono sempre a risolvere con l’aiuto di audaci matematiche …
Quando il bisogno ve li costringe, astinenti come anacoreti; ma se nelle loro mani cade un po‘ di fortuna, eccoli cavalcare in groppa alle più fantasiose matterie, amando le più belle donne e le più giovani, bevendo i vini migliori ed i più vecchi e non trovando mai abbastanza aperte le finestre onde gittar quattrini; poi – l’ultimo scudo morto e sepolto – eccoli ancora desinare alla tavola rotonda del caso, ove la loro posata è sempre pronta; contrabbandieri di tutte le industrie che derivano dall’arte, a caccia da mattina a sera di quell’animale feroce che si chiama: lo scudo.
La Bohème ha un parlare suo speciale, un gergo … Il suo vocabolario è l’inferno de la retorica e il paradiso del neologismo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vita gaia e terribile! …

(H. Murger, prefazione alla »Vie de Bohème«)

Gli autori del presente libretto, meglio che seguire a passo a passo il libro di Murger – (anche per ragioni di opportunità teatrali e soprattutto musicali) – hanno voluto ispirarsi alla sua essenza racchiusa in questa mirabile prefazione.
Se stettero fedeli ai caratteri dei personaggi, se furono a volte quasi meticulosi nel riprodurre certi particolari di ambiente, se nello svolgimento scenico si attennero al fare del Murger suddividendo il libretto in »quadri ben distinti«, negli episodi dramatici e comici, essi vollero procedere con quell’ampia libertà che – a torto o a ragione – stimarono necessaria alla interpretazione scenica del libro più libero forse della moderna letteratura.
Chi può non confondere nel delicato profilo di una sola donna quelli di Mimì e di Francine? Chi, quando legge delle »manine« di Mimiì più »bianche di quelle della dea dell’ozio«, non pensa al manicotto di Francine?
Gli autori stimarono di dover rilevare una tale identità di caratteri. Parve ad essi che quelle due gaie, delicate ed infelici creature rappresentassero nella commedia della Bohème un solo personaggio cui si potrebbe benissimo, in luogo dei nomi di Mimì e Francine, dare quello di: Ideale.
G. G. – L. I.
Quadro primo
In Soffitta

»…Mimì era una graziosa ragazza che doveva particolarmente simpatizzare e combinare con gli ideali plastici e poetici di Rodolfo. Ventidue anni; piccola, delicata … Il suo volto pareva un abbozzo di figura aristocratica; i suoi lineamenti erano d’una finezza mirabile …
Il sangue della gioventù scorreva caldo e vivace nelle sue vene e coloriva di tinte rosse la sua pelle trasparente dal candore vellutato della camelia …
Questa beltà malaticcia sedusse Rodolfo … Ma quello che più lo resero innamorato pazzo di madamigella Mimì furono le sue manine che essa sapeva, anche fra le faccende domestiche, serbare più bianche di quelle della dea dell’ozio«.

Ampia finestra dalla quale si scorge una distesa di tetti coperti di neve. A destra, un camino. Una tavola, un letto, un armadio, quattro sedie, un cavalletto da pittore con una tela sbozzata ed uno sgabello: libri sparsi, molti fasci di carte, due candelieri. Uscio nel mezzo, altro a sinistra.

Rodolfo, Marcello.

Rodolfo guarda meditabondo fuori della finestra. Marcello lavora al suo quadro: Il passaggio del Mar Rosso, con le mani intirizzite dal freddo e che egli riscalda alitandovi su di quando in quando, mutando, pel gran gelo, spesso posizione.

MARCELLO.
Questo Mar Rosso – mi ammollisce e assidera
come se addosso – mi piovesse in stille.

Si allontana dal cavalletto per guardare il suo quadro.

Per vendicarmi, affogo un Faraone.

Torna al lavoro. A Rodolfo:

Che fai?
RODOLFO.
Nei cieli bigi
guardo fumar dai mille
comignoli Parigi,

Additando il camino senza fuoco.

e penso a quel poltrone
di un vecchio caminetto ingannatore
che vive in ozio come un gran signore.
MARCELLO.
Le sue rendite oneste
da un pezzo non riceve.
RODOLFO.
Quelle sciocche foreste
che fan sotto la neve?
MARCELLO.
Rodolfo, io voglio dirti un mio pensier profondo:
ho un freddo cane.
RODOLFO avvicinandosi a Marcello.
Ed io, Marcel, non ti nascondo
che non credo al sudore della fronte.
MARCELLO.
Ho diacciate
le dita quasi ancora le tenessi immollate
giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta..

Lascia sfuggire un lungo sospirone, e tralascia di dipingere, deponendo tavolozza e pennelli.

RODOLFO.
L’amore è un caminetto che sciupa troppo …
MARCELLO.
…e in fretta!
RODOLFO.
…dove l’uomo è fascina …
MARCELLO.
… e la donna è l’alare …
RODOLFO.
… l’una brucia in un soffio ….
MARCELLO.
… e l’altro sta a guardare.
RODOLFO.
Ma intanto qui si gela …
MARCELLO.
…e si muore d’inedia! …
RODOLFO.
Fuoco ci vuole …
MARCELLO afferrando una sedia e facendo l’atto di spezzarla.
Aspetta … sacrifichiam la sedia!

Rodolfo impedisce con energia l’atto di Marcello.

Ad un tratto Rodolfo esce in un grido di gioia ad un’idea che gli è balenata.

RODOLFO.
Eureka!

Corre alla tavola e ne leva un voluminoso scartafaccio.

MARCELLO.
Trovasti?
RODOLFO.
Sì. Aguzza
l’ingegno. L’idea vampi in fiamma.
MARCELLO additando il suo quadro.
Bruciamo il Mar Rosso?
RODOLFO.
No. Puzza
la tela dipinta. Il mio dramma,
l’ardente mio dramma ci scaldi.
MARCELLO con comico spavento.
Vuol leggerlo forse? Mi geli.
RODOLFO.
No, in cener la carta si sfaldi
e l’estro rivoli ai suoi cieli.

Con enfasi tragica.

Al secol gran danno minaccia …
Ma Roma è in periglio …
MARCELLO.
Gran cor!
RODOLFO Dà a Marcello una parte dello scartafaccio.
A te l’atto primo.
MARCELLO.
Qua.
RODOLFO.
Straccia.
MARCELLO.
Accendi.

Rodolfo batte un acciarino, accende una candela e va al camino con Marcello: insieme dànno fuoco a quella parte dello scartafaccio buttato sul focolare, poi entrambi prendono delle sedie e seggono, riscaldandosi voluttuosamente.

RODOLFO E MARCELLO.
Che lieto baglior!

Si apre con fracasso la porta in fondo ed entra Colline gelato, intirizzito, battendo i piedi, gettando con ira sulla tavola un pacco di libri legato con un fazzoletto.

Rodolfo, Marcello e Colline.

COLLINE.
Già dell’Apocalisse appariscono i segni.
In giorno di vigilia non si accettano pegni! …

Si interrompe sorpreso.

Una fiammata!
RODOLFO.

A Colline.

Zitto, si dà il mio dramma.
MARCELLO.
…al fuoco.
COLLINE.
Lo trovo scintillante.
RODOLFO.
Vivo.

Il fuoco diminuisce.

MARCELLO.
Ma dura poco.
RODOLFO.
La brevità, gran pregio.
COLLINE levandogli la sedia.
Autore, a me la sedia.
MARCELLO.
Presto. Questi intermezzi fan morire d’inedia.
RODOLFO Prende un’altra parte dello scartafaccio.
Atto secondo.
MARCELLO.

A Colline.

Non far sussurro.

Rodolfo straccia parte dello scartafaccio e lo getta sul camino: il fuoco si ravviva. Colline avvicina ancora più la sedia e si riscalda le mani: Rodolfo è in piedi presso ai due, col rimanente dello scartafaccio.

COLLINE con intenzione di critico teatrale.
Pensier profondo!
MARCELLO.
Giusto color!
RODOLFO.
In quell’azzurro – guizzo languente
Sfuma un’ardente – scena d’amor.
COLLINE.
Scoppietta un foglio.
MARCELLO.
Là c’eran baci!
RODOLFO.
Tre atti or voglio – d’un colpo udir.

Getta al fuoco il rimanente dello scartafaccio.

COLLINE.
Tal degli audaci – l’idea s’integra.
TUTTI.
Bello in allegra – vampa svanir.

Applaudono entusiasticamente: la fiamma dopo un momento diminuisce.

MARCELLO.
Oh! Dio … già s’abbassa la fiamma.
COLLINE.
Che vano, che fragile dramma!
MARCELLO.
Già scricchiola, increspasi, muore.
COLLINE E MARCELLO.
Abbasso, sì, abbasso l’autore.

Dalla porta di mezzo entrano due garzoni, portando l’uno provviste di cibi, bottiglie di vino, sigari, e l’altro un fascio di legna. Al rumore, i tre innanzi al camino si volgono e con grida di meraviglia si slanciano sulle provviste portate dal garzone e le depongono sulla tavola: Colline prende la legna e la porta presso il caminetto: comincia a far sera.

COLLINE.
Legna!
MARCELLO.
Sigari!
RODOLFO.
Bordò!
TUTTI.
Le dovizie d’una fiera
il destin ci destinò.

I garzoni partono.

Rodolfo, Colline, Marcello e Schaunard.

SCHAUNARD Entra dalla porta di mezzo con aria di trionfo, gettando a terra alcuni scudi.
La Banca di Francia
per voi si sbilancia.
COLLINE raccattando gli scudi insieme a Rodolfo e Marcello.
Raccatta, raccatta!
MARCELLO incredulo.
Son pezzi di latta! …
SCHAUNARD mostrandogli uno scudo.
Sei sordo? … Sei lippo?
Quest’uomo chi è?
RODOLFO inchinandosi.
Luigi Filippo!
M’inchino al mio Re!
TUTTI.
Sta Luigi Filippo ai nostri pie‘!

Schaunard vorrebbe raccontare la sua fortuna: ma gli altri non lo ascoltano: dispongono ogni cosa sulla tavola e la legna nel caminetto.

SCHAUNARD.
Or vi dirò: quest’oro, o meglio argento,
ha la sua brava storia …
RODOLFO.
Riscaldiamo
il camino!
COLLINE.
Sofferto ha tanto freddo!
SCHAUNARD.
Un inglese … un signor … lord o milord
che sia, cercava un musicista …
MARCELLO gettando via il pacco di libri di Colline dalla tavola.
Via!
Prepariamo la tavola!
SCHAUNARD.
Io? volo!
RODOLFO.
L’esca dov’è?
COLLINE.
Là.
MARCELLO.
Prendi.
SCHAUNARD.
E mi presento.
M’accetta; gli domando …
COLLINE mettendo a posto le vivande.
Arrosto freddo!
SCHAUNARD.
A quando le lezioni? …
MARCELLO Accende le candele e le mette sulla tavola.
Or le candele!
SCHAUNARD.
Risponde: »Incominciam! …«
COLLINE.
Pasticcio dolce!
SCHAUNARD. »Guardare!« (e un papagallo a un primo piano m’addita), poi soggiunge: »Voi suonare finché quello morire!«.
RODOLFO.
Fulgida folgori la sala splendida.
MARCELLO.
Mangiar senza tovaglia?
RODOLFO leva un giornale di tasca.
No; un’idea! …
COLLINE E MARCELLO.
Il Costituzionale!
RODOLFO spiegandolo.
Ottima carta …
Si mangia e si divora un’appendice!
SCHAUNARD.
E fu così:
Suonai tre lunghi dì …
Allora usai l’incanto
di mia presenza bella …
Affascinai l’ancella …
Gli propinai prezzemolo! …
Lorito allargò l’ali,
Lorito il becco aprì,
da Socrate morì!

Vedendo che nessuno gli bada, afferra Colline che gli passa vicino con un piatto.

COLLINE.
Chi?! …
SCHAUNARD urlando indispettito.
Il diavolo vi porti tutti quanti!

Poi, vedendoli in atto di mettersi a mangiare il pasticcio freddo.

Ed or che fate?

Con gesto solenne stende la mano sul pasticcio.

No! Queste cibarie
sono la salmeria
pei dì futuri
tenebrosi, oscuri.

E nel parlare, sgombra la tavola.

Come?..Pranzare in casa?
Oggi ch’è la vigilia di Natale!
Mentre il Quartier Latino le sue vie
addobba di salsicce e leccornie?
Mentre un olezzo di frittelle imbalsama
le vecchie strade? È il dì della vigilia!
Là le ragazze cantano contente
ed han per eco ognuna uno studente!
Un po‘ di religione, o miei signori:
si beva in casa, ma si pranzi fuori.

Rodolfo chiude la porta a chiave, poi tutti vanno intorno alla tavola e versano il vino: bussano alla porta: s’arresta no stupefatti.

Rodolfo, Marcello, Colline, Schaunard e poi Benoît.

BENOÎT di fuori.
Si può?
MARCELLO.
Chi e là?
BENOÎT.
Benoît.
MARCELLO.
Il padrone di casa!
SCHAUNARD.
Uscio sul muso.
COLLINE grida.
Non c’è nessuno.
SCHAUNARD.
È chiuso.
BENOÎT.
Una parola.
SCHAUNARD Dopo essersi consultato cogli altri, va ad aprire.
Sola!
BENOÎT Entra sorridente: vede Marcello e mostrandogli una carta dice.
Affitto!
MARCELLO con esagerata premura.
Olà!
Date una sedia.
RODOLFO.
Presto.
BENOÎT schermendosi.
Non occorre. Vorrei …
SCHAUNARD insistendo con dolce violenza, lo fa sedere.
Segga.
MARCELLO.
Vuol bere?

Gli versa del vino.

BENOÎT.
Grazie.
RODOLFO E COLLINE.
Tocchiamo.

Tutti bevono. Benoît depone il bicchiere e si rivolge a Marcello mostrandogli la carta.

BENOÎT.
Questo
è l’ultimo trimestre …
MARCELLO con ingenuità.
Ne ho piacere.
BENOÎT.
E quindi …
SCHAUNARD interrompendolo.
Ancora un sorso.

Riempie i bicchieri.

BENOÎT.
Grazie.
I QUATTRO toccando con Benoît.
Alla sua salute!
BENOÎT riprendendo con Marcello.
A lei ne vengo
perché il trimestre scorso
mi promise …
MARCELLO.
Promisi ed or mantengo.

Mostrando a Benoît gli scudi che sono sulla tavola.

Guardi.
RODOLFO piano a Marcello.
Che fai? …
SCHAUNARD come sopra.
Sei pazzo?
MARCELLO a Benoît, senza badare ai due.
Ha visto? Or via,
resti un momento in nostra compagnia.
Dica: quant’anni ha,
caro signor Benoît?
BENOÎT.
Gli anni? … Per carità!
RODOLFO.
Su e giù la nostra età.
BENOÎT protestando.
Di più, molto di più.

Mentre fanno chiacchierare Benoît, gli riempiono il bicchiere appena egli l’ha vuotato.

COLLINE.
Ha detto su e giù.
MARCELLO abbassando la voce e con tono di furberia.
L’altra sera al Mabil …
BENOÎT inquieto.
Eh?!
MARCELLO.
L’hanno colto
in peccato d’amore.
BENOÎT.
Io?
MARCELLO.
Neghi.
BENOÎT.
Un caso.
MARCELLO lusingandolo.
Bella donna!
BENOÎT mezzo brillo, con subito moto.
Ah! molto.
SCHAUNARD gli batte una mano sulla spalla.
Briccone!
COLLINE.
Seduttore!

Fa lo stesso sull’altra spalla.

MARCELLO magnificando.
Una quercia! … un cannone! il crin ricciuto,
fulvo.
RODOLFO.
L’uomo ha buon gusto.
MARCELLO.
Ei gongolava arzillo e pettoruto.
BENOÎT ringalluzzito.
Son vecchio, ma robusto.
MARCELLO.
A lui cedea, punta dal dolce assillo,
la femminil virtù.
MARCELLO, SCHAUNARD E RODOLFO con gravità ironica.
Ei gongolava arzuto e pettorillo.
BENOÎT in piena confidenza.
Timido in gioventù,
ora me ne ripago … È dolce svago
qualche donnetta vispa … allegra … e … un po‘ …

Accenna a forme accentuate.

Non dico una balena,
o un mappamondo,
o un viso tondo
da luna piena,
ma magra, proprio magra, no e poi no!
Le donne magre sono grattacapi
e spesso … sopracapi …
e son piene di doglie,
per esempio mia moglie …

Marcello dà un pugno sulla tavola e si alza: gli altri lo imitano: Benoît li guarda sbalordito.

MARCELLO terribile.
Quest’uomo ha moglie
e sconce voglie
nutrisce!
GLI ALTRI.
Orror!
RODOLFO.
E ammorba, e appesta
la nostra onesta
dimora.
GLI ALTRI.
Fuor!
SCHAUNARD maestoso.
È la morale offesa che vi scaccia!
MARCELLO.
Si abbruci dello zucchero.
COLLINE.
Si discacci il reprobo.
BENOÎT allibito, tenta inutilmente di parlare.
Io di …
SCHAUNARD.
Faccia silenzio!
TUTTI circondando Benoît e spingendolo verso la porta.
Via. signore!
BENOÎT.
Discacciarmi!? …
COLLINE.
Silenzio! …
TUTTI.
Via di qua!
BENOÎT sbuffando.
Tale oltraggio! … Un momento …
TUTTI.
Vada via
e buona sera a vostra signoria.

Benoît è cacciato fuori.

Rodolfo, Marcello, Colline e Schaunard.

MARCELLO chiudendo l’uscio.
Ho pagato il trimestre.
TUTTI ridono.
Ah! Ah! Ah! Ah!
SCHAUNARD.
Momus ci attende. Al Quartiere Latino.
MARCELLO.
Viva chi spende!
SCHAUNARD.
Spartiamo il bottino.

Si dividono gli scudi rimasti sulla tavola.

MARCELLO presentando uno specchio rotto a Colline.
Là ci sono beltà scese dal cielo.
Or che sei ricco, bada alla decenza!
Orso, ravviati il pelo.
COLLINE.
Farò la conoscenza
la prima volta d’un barbitonsore.
Guidatemi al ridicolo
oltraggio d’un rasoio.
SCHAUNARD.
Andiamo.
RODOLFO.
Io resto
per terminar l’articolo
del mio giornale: Il Castoro.
MARCELLO.
Fa presto.
RODOLFO.
Cinque minuti. Conosco il mestiere.
COLLINE.
Ti aspetterem dabbasso dal portiere.
MARCELLO.
Se tardi, udrai che coro!
SCHAUNARD.
Taglia corta la coda al tuo Castoro.

Rodolfo prende un lume ed apre l’uscio: Marcello, Schaunard, Colline escono e scendono la scala.

MARCELLO di fuori.
Occhio alla scala. Tienti
alla ringhiera.
RODOLFO sempre sull’uscio, alzando il lume.
Adagio.
COLLINE.
È buio pesto.
SCHAUNARD.
Maledetto portier!
MARCELLO.
Bada.

Rumore d’uno che ruzzola.

COLLINE.
Accidenti!
RODOLFO sull’uscio.
Colline, sei morto?
COLLINE dal basso.
Non ancor.
MARCELLO dal basso.
Vien presto.

Rodolfo, poi Mimì.

Rodolfo chiude l’uscio, depone il lume, sgombra un po‘ la tavola, prende calamaio e carta, poi siede e si mette a scrivere dopo avere spento l’altro lume rimasto acceso: ma non trovando alcuna idea, s’inquieta, straccia il foglio e getta via la penna.

Bussano timidamente all’uscio.

RODOLFO.
Chi è là?
MIMÌ di fuori.
Scusi.
RODOLFO.
Una donna!
MIMÌ.
Di grazia, mi si è spento
il lume.
RODOLFO Corre ad aprire.
Ecco.
MIMÌ sull’uscio, con un lume spento in mano ed una chiave.
Vorrebbe …?
RODOLFO.
S’accomodi un momento.
MIMÌ.
Non occorre.
RODOLFO insistendo.
La prego, entri.
MIMÌ Entra: è presa da soffocazione.
Ah!
RODOLFO premuroso.
Si sente male?
MIMÌ
No … nulla.
RODOLFO.
Impallidisce!
MIMÌ presa da tosse.
È il respir … Quelle scale …

Sviene, e Rodolfo è appena a tempo di sorreggerla ed adagiarla su di una sedia, mentre dalle mani di Mimì cadono e candeliere e chiave.

RODOLFO imbarazzato.
Ed ora come faccio? … come faccio? …

Va a prendere dell’acqua e ne spruzza il viso di Mimì.

Così!

Guardandola con grande interesse.

Che viso da malata!

Mimì rinviene.

Si sente meglio?
MIMÌ con un filo di voce.
Sì.
RODOLFO.
Ma qui c’è tanto freddo. Segga vicino al fuoco.

Fa alzare Mimì e la conduce a sedere presso al camino.

Aspetti … un po‘ di vino.

Corre alla tavola e vi prende bottiglia e bicchiere.

MIMÌ.
Grazie.

Le dà il bicchiere e le versa da bere.

RODOLFO.
A lei.
MIMÌ.
Poco, poco.
RODOLFO.
Cosi?
MIMÌ.
Grazie.

Beve.

RODOLFO ammirandola.
(Che bella bambina!)
MIMÌ Levandosi, cerca il suo candeliere.
Ora permetta
che accenda il lume. È tutto passato.
RODOLFO.
Tanta fretta?
MIMÌ.
Sì.

Rodolfo accende il lume di Mimì e glie lo consegna senza far parola.

Grazie. Buona sera.
RODOLFO L’accompagna fino sull’uscio, poi ritorna subito al lavoro.
MIMÌ.
Buona sera.

Esce, poi riappare sull’uscio.

Oh! sventata!
La chiave della stanza
RODOLFO.
Eh? …
MIMÌ.
Dove l’ho lasciata?
RODOLFO.
Non stia sull’uscio; il lume, vede, vacilla al vento.

Il lume di Mimì si spegne.

MIMÌ
Oh Dio! Torni ad accenderlo.
RODOLFO Accorre colla sua candela per riaccendere quella di Mimì, ma avvicinandosi alla porta anche il suo lume si spegne e la camera rimane buia.
Ecco … anche il mio s’è spento.
Buio pesto!
MIMÌ
Ah! disgraziata!
E la chiave?

Avanzandosi a tentoni incontra la tavola e vi depone il suo candeliere.

RODOLFO.
Ove sarà?

Si trova presso la porta e la chiude.

MIMÌ.
Cerchi.

Cerca la chiave sul pavimento strisciando i piedi: Rodolfo fa lo stesso e trovata la tavola vi depone egli pure il candeliere, poi torna a cercare la chiave tastando con le mani il pavimento.

RODOLFO.
Cerco. Ah! …

La trova e la intasca.

MIMÌ.
L’ha trovata?
RODOLFO.
No …
MIMÌ.
Mi parve …
RODOLFO.
…in verità!
MIMÌ.

Confusa.

Importuna è la vicina …
RODOLFO.
Cosa dice, ma le par!

Guidato dalla voce di Mimì, Rodolfo finge di cercare mentre si avvicina ad essa: Mimì si china a terra e cerca a tastoni: Rodolfo con la sua mano incontra quella di Mimì, e l’afferra.

MIMÌ sorpresa, rizzandosi.
Ah!
RODOLFO tenendo la mano di Mimì.
Che gelida manina!
Se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? – Al buio non si trova.
Ma per fortuna – è una notte di luna,
e qui la luna l’abbiamo vicina.
Aspetti, signorina,
e intanto le dirò con due parole
chi son, che faccio e come vivo. Vuole?

Mimì tace.

Chi son? Sono un poeta.
Che cosa faccio? Scrivo.
E come vivo? Vivo.
In poverta mia lieta
scialo da gran signore
rime ed inni d’amore.
Per sogni, per chimere
e per castelli in aria
l’anima ho milionaria.
Talor dal mio forziere
ruban tutti i gioielli
due ladri: gli occhi belli.
V’entrâr con voi pur ora,
ed i miei sogni usati
tosto son dileguati.
Ma il furto non m’accora,
poiché vi ha preso stanza
una dolce speranza.
Or che mi conoscete,
parlate voi. Chi siete?
Vi piace dirlo?
MIMÌ.
Sì.
Mi chiamo Mimì,
ma il mio nome è Lucia.
La storia mia
è breve. A tela o a seta
ricamo in casa e fuori,
in bianco ed a colori.
Lavoro d’ago,
sono tranquilla e lieta
ed è mio svago
far gigli e rose.
Mi piaccion quelle cose
che han sì dolce malìa,
che parlano d’amor, di primavere,
di sogni e di chimere,
quelle cose che han nome poesia …
Lei m’intende?
RODOLFO.
Sì, sì.
MIMÌ.
Mi chiamo Mimì
ed il perché non so.
Sola, mi fo
il pranzo da me stessa.
Non vado sempre a messa,
ma assai prego il Signore.
Vivo sola, soletta
nella mia cameretta
che guarda i tetti e il cielo;
ma quando vien lo sgelo
il primo sole è mio. Col nuovo aprile
una rosa germoglia
sul davanzal; ne aspiro a foglia a foglia
l’olezzo … È sì gentile
il profumo d’un fiore!
Ma i fior ch’io faccio, ahimè! non hanno odore.
Altro di me non le saprei narrare.
Sono la sua vicina
che la vien fuori d’ora a importunare.
SCHAUNARD dal cortile.
Ehi! Rodolfo!
COLLINE.
Rodolfo!
MARCELLO.
Olà. Non senti?

Alle grida degli amici, Rodolfo s’impazienta.

Lumaca!
COLLINE.
Poetucolo!
SCHAUNARD.
Accidenti
al pigro!

Sempre più impaziente, Rodolfo a tentoni si avvia alla finestra e l’apre spingendosi un poco fuori per rispondere agli amici che sono giù nel cortile: dalla finestra aperta entrano i raggi lunari, rischiarando così la camera.

RODOLFO alla finestra.
Scrivo ancor tre righe a volo.
MIMÌ avvicinandosi un poco alla finestra.
Chi sono?
RODOLFO.
Amici.
SCHAUNARD.
Sentirai le tue.
MARCELLO.
Che te ne fai lì solo?
RODOLFO.
Non son solo. Siam due.
Andate da Momus, tenete il posto,
ci sarem tosto.

Rimane alla finestra, onde assicurarsi che gli amici se ne vanno.

MARCELLO, SCHAUNARD E COLLINE allontanandosi.
Momus, Momus, Momus,
zitti e discreti andiamocene via.
Momus, Momus, Momus,
il poeta trovò la poesia.

Mimì è ancora avvicinata alla finestra per modo che i raggi lunari la illuminano: Rodolfo, volgendosi, scorge Mimì avvolta come da un nimbo di luce, e la contempla, quasi estatico.

RODOLFO.
O soave fanciulla, o dolce viso
di mite circonfuso alba lunar,
in te, vivo ravviso
il sogno ch’io vorrei sempre sognar!
Fremono dentro l’anima
già le ebbrezze supreme;
amor, nel bacio freme!
MIMÌ.
(Oh! come dolci scendono
le sue lusinghe al core …
tu sol comandi, amore! …)

Rodolfo la bacia.

MIMÌ svincolandosi.
No, per pietà!
RODOLFO.
Sei mia!
MIMÌ.
Gli amici aspettan …
RODOLFO.
Già mi mandi via?
MIMÌ.
Vorrei dir … ma non oso …
RODOLFO.
Di‘.
MIMÌ con graziosa furberia.
Se venissi con voi?
RODOLFO.
Che? … Mimì!

Con intenzione tentatrice.

Sarebbe così dolce restar qui.
C’è freddo fuori.
MIMÌ.
Vi starò vicina! …
RODOLFO.
E al ritorno?
MIMÌ maliziosa.
Curioso!
RODOLFO.
Andiamo. Dammi il braccio, o mia piccina.
MIMÌ Dà il braccio a Rodolfo.
Obbedisco, signor!

S’avviano.

RODOLFO.
Dimmi che m’ami …
MIMÌ con abbandono.
T’amo!
RODOLFO.
Amore!
MIMÌ.
Amor!

Fine del primo quadro

Quadro secondo

Al Quartiere Latino

»…Gustavo Colline, il grande filosofo; Marcello, il grande pittore; Rodolfo, il grande poeta; e Schaunard, il grande musicista – come essi si chiamavano a vicenda – frequentavano regolarmente il Caffè Momus dove erano soprannominati: I quattro Moschettieri, perché indivisibili.
Essi giungevano infatti e giuocavano e se ne andavano sempre insieme e spesso senza pagare il conto e sempre con un ‚accordo‘ degno dell’orchestra del Conservatorio«.
»Madamigella Musetta era una bella ragazza di venti anni …
Molta civetteria, un pochino di ambizione e nessuna ortografia …
Delizia delle cene del Quartiere Latino …

Una perpetua alternativa di brougham bleu e di omnibus, di via Breda e di Quartiere Latino.
– O che volete? – Di tanto in tanto ho bisogno di respirare l’aria di questa vita. La mia folle esistenza è come una canzone; ciascuno de‘ miei amori è una strofa, – ma Marcello ne è il ritornello«.

La vigilia di Natale

Un crocicchio di vie che al largo prende forma di piazzale; botteghe, venditori di ogni genere; da un lato, il Caffè Momus.

Gran folla e diversa: Borghesi, Soldati, Fantesche, Ragazzi, Bambine, Studenti, Sartine, Gendarmi, ecc.
Nella folla si aggirano Rodolfo e Mimì, Colline presso alla bottega di una rappezzatrice, Schaunard a una bottega di ferravecchi sta comperando una pipa e un corno. Marcello è spinto qua e là dal capriccio della gente.
È sera. Le botteghe sono adorne di lampioncini e fanali accesi; un grande fanale illumina l’ingresso del Caffè Momus. Il Caffè è affollatissimo, così che alcuni Borghesi sono costretti a sedere ad una tavola fuori all’aperto.

I Venditori

Sul limitare delle loro botteghe.

– Aranci, datteri!
– Caldi i marroni.
– Spillette, ninnoli, croci.
– Torroni
e caramelle.
– Fiori alle belle.
– Oh! la crostata.
– Panna montata.
– Fringuelli, passeri.
– Datteri!
– Trote!
– Latte di cocco!
– Giubbe!
– Carote!

La Folla

BORGHESI.
Quanta folla!
DONNE.
Che chiasso!
STUDENTI E SARTINE.
Stringiti a me, corriamo.
UNA MAMMA chiama le sue figliuole.
Lisa! Emma! …
BORGHESI.
Date il passo.
LA MAMMA.
Emma, quando ti chiamo!
SARTINE.
Ancora un altro giro …

STUDENTI.
Pigliam via Mazzarino.
DONNE.
Qui mi manca il respiro! …
BORGHESI.
Vedi? Il Caffè è vicino.
SARTINE ammirando una bacheca.
Oh! stupendi gioielli!
STUDENTI abbracciandole.
Son gli occhi assai più belli!
BORGHESI scandolezzati.
Pericolosi esempi
la folla oggi ci dà!
ALTRI BORGHESI.
Era meglio ai miei tempi!
MONELLI.
Viva la libertà!

Al Caffè

– Andiam, qua, camerier!
– Presto!
– Corri!
– Vien qua!
– A me!
– Birra!
– Un bicchier!
– Vaniglia! …
– Ratafià!
– Dunque? Presto! …
– Da ber!
– Un caffè! …
– Presto, olà! …

Gli Amici

SCHAUNARD soffia nel corno e ne cava fuori note strane.
Re! Re! Re! … Falso questo re!

Tratta col ferravecchi.

Pipa e corno quant’è? …
COLLINE alla bottega della rappezzatrice che gli sta cucendo la falda di uno zimarrone che egli ha appena comperato.
È un poco usato,
ma è serio e a buon mercato …

Paga e distribuisce con giusto equilibrio i libri dei quali è carico nelle molte tasche dello zimarrone.

MARCELLO tutto solo in mezzo alla folla, con un involto sotto braccio, occhieggiando le donnine che la calca gli getta quasi fra le braccia.
Io pur mi sento in vena di gridare:
Chi vuol, donnine allegre, un po‘ d’amore?
Facciamo insieme a vendere e comprare.
Io do a un soldo il vergine mio cuore.

Rodolfo e Mimì, a braccio, attraversano la folla avviati al negozio della modista.

RODOLFO.
Andiam.
MIMÌ.
Per la cuffietta?
RODOLFO.
Tienti al mio braccio stretta …

Entrano dalla modista.

La folla si espande per le vie adiacenti. Le botteghe sono piene di compratori che vanno e vengono. Nel Caffè pure sempre movimento di persone che entrano, escono e si avviano chi per una strada, chi per un’altra. Passato il primo momento di confusione, il crocicchio diventa luogo di passaggio animatissimo sempre.

Rodolfo e Mimì escono dalla bottega.

RODOLFO a Mimì.
Vieni, gli amici aspettano.
MIMÌ
È da un pezzo
che mi struggevo d’una
cuffietta rosa. Mi sta ben?
RODOLFO.
Sei bruna
e quel color ti dona.
MIMÌ guardando con rimpianto verso la bottega della modista.
O che bel vezzo
di corallo!
RODOLFO.
Ho un zio
quasi nonagenario – e milionario.
Se fa senno il buon Dio,
voglio comprarti un vezzo assai più bello.

Ad un tratto, vedendo Mimì guardare, si volge egli pure sospettoso.

Che, guardi?
MIMÌ.
Sei geloso?
RODOLFO.
Un vice Otello.
All’uom felice sta il sospetto accanto.
MIMÌ.
Sei felice?
RODOLFO stringendola sotto braccio.
Sì, tanto. E tu?
MIMÌ.
Sì, tanto.

Mimì e Rodolfo raggiungono gli amici.

SCHAUNARD Viene a gironzolare avanti al Caffè Momus aspettandovi gli amici; intanto armato della enorme pipa e del corno da caccia guarda curiosamente la folla.
Fra spintoni e pestate ansando affretta
la folla e si diletta
nel provar voglie matte – insoddisfatte.
Se la spassa così con poche spese
il buon ceto borghese.
COLLINE Se ne viene al ritrovo avvolto nello zimarrone troppo lungo per lui e che gli fa intorno delle pieghe da toga romana, agitando trionfalmente un vecchio libro.
Copia rara, anzi unica:
la grammatica Runica!
SCHAUNARD Giunge in quella alle spalle di Colline, compassionandolo.
Che uomo onesto! …
MARCELLO Arriva al Caffè Momus e vi trova Schaunard e Colline.
A cena, presto.
SCHAUNARD E COLLINE.
E Rodolfo?
MARCELLO.
Pur ora, nella trista
compagnia di quel tirchio creditore
che si chiama: l’amore,
entrò da una modista.

Marcello, Schaunard e Colline entrano nel Caffè Momus, ma ne escono quasi subito, sdegnati di quella gran folla che dentro si stipa chiassosa. Essi portano fuori una tavola e li segue un cameriere per nulla meravigliato di quella loro stramberia di voler cenare fuori: i borghesi alla tavola vicina, infastiditi del baccano che fanno i tre amici, dopo un po‘ di tempo s’alzano e se ne vanno.

COLLINE.
Odio il profano volgo al par d’Orazio.
SCHAUNARD.
Ed io, quando mi sazio,
vo‘ abbondanza di spazio.
MARCELLO al cameriere.
Lesto.
SCHAUNARD.
Per molti.
MARCELLO.
E subito!
Vuol essere una cena prelibata.
RODOLFO giunge con Mimì.
Due posti.
COLLINE.
Finalmente!
RODOLFO.
Eccoci qui.

Presenta.

Questa è Mimì
che a me s’appaia,
gaia – fioraia.
Il suo venir completa
la bella compagnia,
perch’io sono il poeta,
essa la poesia.
Dal mio cervel sbocciano i canti,
dalle sue dita sbocciano i fior;
dall’anime esultanti
sboccia l’amor.

Nel fondo, da via Vecchia Commedia, attraverso il crocicchio, passa un venditore di frutta secca, urlando a tutta gola.

UN VENDITORE.
Vere ed autentiche – prugne di Tours.
UNA VOCE da lontano, avvicinandosi.
Ecco i giocattoli di Parpignol!
RAGAZZI E BAMBINE.
– Parpignol!
– Parpignol!

Da via Delfino sbocca un carretto tutto a fronzoli e fiori, illuminato a palloncini; chi lo spinge è Parpignol.

PARPIGNOL gridando.
Ecco i giocattoli di Parpignol!
RAGAZZI E BAMBINE Circondano il carretto, saltellando.
– Parpignol! Parpignol!
Che bel carretto, tutto lumi e fior!

Ammirando i giocattoli.

– Voglio la tromba, il cavallin! …
– Dei soldati il drappel! …
– Voglio il cannon, voglio il frustin!
– Tamburo e tamburel!

Alle grida dei fanciulli accorrono le mamme che tentano inutilmente allontanarli da Parpignol e sgridano stizzite:

MAMME.
Ah! razza di furfanti indemoniati,
che ci venite a fare in questo loco?
Gli scappellotti vi parranno poco! …
A casa! A letto! Via, brutti sguaiati.

I fanciulli non vogliono andarsene: uno di essi scoppia in pianto: la mamma lo prende per un orecchio ed esso si mette a gridare che vuole i giocattoli di Parpignol: le mamme, intenerite, comprano. Parpignol prende giù per via Vecchia Commedia, seguìto dai ragazzi che fanno gran baccano con tamburi, tamburelli e trombette.

PARPIGNOL da lontano.
Ecco i giocattoli di Parpignol!
MARCELLO ironico.
Dio, che concetti rari!
COLLINE.
Digna est intrari.
SCHAUNARD.
Ingrediat si necessit.
COLLINE.
Io non do che un: accessit.

Rodolfo fa sedere Mimì; seggono tutti: il cameriere ritorna presentando la lista delle vivande.

Con enfasi romantica al cameriere.

Salame …

Il cameriere presenta ai quattro amici la carta: questa passa girando nelle mani di tutti guardata con una specie di ammirazione ed analizzata profondamente.

SCHAUNARD.
Cervo arrosto.
MARCELLO.
No. Un tacchino.
RODOLFO piano a Mimì.
E tu, Mimì, che vuoi?
MIMÌ
Voglio la crema.
MARCELLO con galanteria a Mimì.
Signorina Mimì, che dono raro
le ha fatto il suo Rodolfo?
MIMÌ
Una cuffietta
a pizzi, tutta rosa, ricamata;
coi miei capelli bruni ben si fonde.
Da tanto tempo tal cuffietta è cosa desiata! …
Ed egli ha letto quel che il core asconde..
Ora colui che legge dentro a un cuore
sa l’amore ed è … lettore.
SCHAUNARD.
Ed esperto professore …
COLLINE seguitando l’idea di Schaunard.
…che ha già diplomi e non son armi prime
le sue rime …
SCHAUNARD interrompendo.
…tanto che sembra ver ciò ch’egli esprime!
MARCELLO guardando Mimì.
O bella età d’inganni e d’utopie!
Si crede, spera, e tutto bello appare!
RODOLFO.
La più divina delle poesie
è quella, amico, che c’insegna amare!
MIMÌ
Amare è dolce ancora più del miele …
MARCELLO stizzito.
…e secondo il palato è miele, o fiele! …
MIMÌ sorpresa, a Rodolfo.
O Dio! … l’ho offeso!
RODOLFO.
È in lutto, mia Mimì …
SCHAUNARD E COLLINE per cambiare discorso.
Allegri, o un toast! …
MIMÌ, RODOLFO E MARCELLO mentre si alzano tutti.
E via i pensier!
Alti i bicchier!
TUTTI.
Beviam! … beviam! …
LE MAMME BOTTEGAIE nel ritirarsi a un tratto si soffermano dalla parte delle loro botteghe a riguardare una bella signora: meravigliate nel riconoscere in lei Musetta, sussurrano fra di loro additandosela.
– To‘, è Musetta!
– Lei!
– Tornata.
– Proprio lei!
– Sì.
– Sì.
– È Musetta!
– Siamo in auge!
– Che toeletta!

Entrano nelle loro botteghe.

STUDENTI E SARTINE attraverso la scena.
– Guarda, guarda chi si vede!
– Con quel vecchio che sgambetta!
– Proprio lei!
– Proprio!
– È Musetta!

All’angolo di via Mazzarino appare una bellissima signora dal fare civettuolo e allegro, dal sorriso provocante. Le vien dietro un vecchio pomposo e lezioso. La signora, alla vista della tavolata degli amici, frena la corsa; si direbbe che ella sia arrivata alla meta del suo viaggio.

MARCELLO che da lontano ha veduto Musetta, interrompe gridando.
E ch’io beva del tossico!

Si lascia cadere sulla sedia.

COLLINE, SCHAUNARD E RODOLFO alla esclamazione di Marcello si volgono ed esclamano.
Oh! Musetta.

Gli amici guardano con gli occhi pieni di compassione Marcello che si è fatto pallido. Il cameriere comincia a servire; Schaunard e Colline guardano sempre di sott’occhi dalla parte di Musetta e parlano di lei; Marcello finge la massima indifferenza. Rodolfo solo non ha occhi e pensieri che per Mimì.

MARCELLO.
Essa!
ALCINDORO DE MITONNEAUX, raggiunge trafelato Musetta.
Come un facchino
correr di qua … di là …
di su … di giù
pel Quartiere Latino …
no! Non ci sta …
Ragazza benedetta,
io non ne posso più!
Tal foga – m’affoga!
Mi sloga – e sgarretta
tal furia scorretta.

La bella signora, senza curarsi di lui, si avvia verso il Caffè Momus e prende posto alla tavola lasciata libera.

Qui fuori!? Qui!?
MUSETTA senza punto curarsi delle proteste di Alcindoro, atterrito di stare fuori al freddo.
Siedi, Lulù.

Alcindoro siede irritato, rialzando il bavero del pastrano.

ALCINDORO.
Tali nomignoli,
prego, serbateli
al tu per tu.
La convenienza …
…il grado
…la virtù.

Un cameriere s’è avvicinato premuroso e prepara la tavola.

SCHAUNARD alla vista del vecchio signore decorato.
Quel brutto coso
che ai fianchi le si affanna …
COLLINE esaminando il vecchio.
È il vizio contegnoso …
MARCELLO con disprezzo.
Colla casta Susanna.
COLLINE.
Mi sembra un troglodita.
SCHAUNARD.
Guarda! … Mi par che sudi!
MIMÌ a Rodolfo.
Essa è pur ben vestita.
RODOLFO.
Gli angeli vanno nudi.
MIMÌ si rivolge curiosa a Rodolfo.
La conosci? Chi è?
MARCELLO.
Domandatelo a me.
È di nome: Musetta;
cognome: Tentazione!
Per sua vocazione
fa la Rosa dei venti;
gira e muta soventi
e d’amanti e d’amore.
Al par della civetta
è uccello sanguinario;
il suo cibo ordinario
è il cuore … Mangia il cuore! …
Per questo io non ne ho più …

MUSETTA colpita nel vedere che gli amici non la guardano.
(Marcello è là … mi vede …
e non mi guarda, il vile!

Passa attraverso il crocicchio, sboccando dalla via della Vecchia Commedia, un picchetto di militi della Guardia Nazionale. Sono bottegai di servizio che rincasano.

Sull’angolo di via Delfino il Venditore »Cocco fre« fa ottimi affari; i suoi bicchieri di ottone passano di mano in mano rapidamente a rinfrescare ugole asciutte dal troppo vociare.

La Rappezzatrice esce fuori dal guscio della sua botte e, infilate le nere bretelle, se ne va colla sua botte a spalle giù per la via Vecchia Commedia.

e quel Schaunard che ride!
Mi fan tutti una bile!

Inquietandosi.

Se potessi picchiare,
se potessi graffiare!
Ma non ho sotto mano
che questo pellicano.
Aspetta!)

Chiama il cameriere che si è allontanato.

Ehi! Camerier!

MARCELLO, agli amici, nascondendo la commozione che lo vince.
Passatemi il ragù!

Il cameriere accorre: Musetta prende un piatto e lo fiuta.

MUSETTA.
Cameriere! Questo piatto
ha una puzza di rifritto!

Getta il piatto a terra; il cameriere si affretta a raccogliere i cocci.

ALCINDORO Cerca acquetarla.
No. Musetta … zitto, zitto!
MUSETTA rabbiosa, sempre guardando Marcello.
(Non si volta. Ora lo batto!)
ALCINDORO.
A chi parli? …
MUSETTA.
Al cameriere!
ALCINDORO.
Modi, garbo!

Prende la nota dal cameriere e si mette ad ordinare la cena.

MUSETTA stizzita.
Non seccar!
Voglio fare il mio piacere,
voglio dir quel che mi par!

SCHAUNARD a Colline.
La commedia è stupenda!
Essa all’un parla perché l’altro intenda.
COLLINE a Schaunard.
E l’altro, invan crudele,
finge di non capir, ma sugge miele.
RODOLFO a Mimì.
Sappi per tuo governo
ch’io non darei perdono in sempiterno.
MIMÌ a Rodolfo.
Io t’amo, io t’amo, io sono
tutta tua! … Chè mi parli di perdono.

Mangiano.

COLLINE.
Questo pollo è un poema!
SCHAUNARD.
Il vino è prelibato.
RODOLFO a Mimì.
Ancor di questo intingolo?
MIMÌ a Rodolfo.
Sì, non ne ho mai gustato.
Io ben vedo che quella poveretta
è di Marcello tuo tutta invaghita!
RODOLFO.
Marcello un dì l’amò, ma la fraschetta
l’abbandonò per correr miglior vita.
MIMÌ.
L’amore ingeneroso è tristo amore!
Quell’infelice mi muove a pietà.
RODOLFO.
Spento amor non risorge. È fiacco amore
quel che le offese vendicar non sa.

MUSETTA guardando Marcello, a voce alta.
Tu non mi guardi!
ALCINDORO credendo rivolte a lui queste parole.
Vedi bene che ordino!
MUSETTA come sopra.
Ma il tuo cuore martella!
ALCINDORO.
Parla piano.
MUSETTA fra sè.
(Ma che sia proprio geloso di questa
mummia? … di questo rudere?
Vediam se mi resta
tanto poter su lui da farlo cedere.)

Civettuola, volgendosi con intenzione a Marcello, il quale comincia ad agitarsi.

Quando men vo soletta per la via,
la gente sosta e mira,
e la bellezza mia – ricerca in me
tutta da capo a pie‘.
Ed assaporo allor la bramosia
sottil, che dai vogliosi occhi traspira
e dai vezzi palesi intender sa
alle occulte beltà.
Così l’effluvio del desìo m’aggira
e delirar mi fa.
E tu che sai, che memori e ti struggi
com’io d’amor, da me tanto rifuggi?
So ben: le angoscie tue non le vuoi dir,
ma ti senti morir.
ALCINDORO.
(Quel canto scurrile
mi muove alla bile!)
MARCELLO.
Legatemi alla seggiola.

SCHAUNARD.
(Quel Marcel che fa il bravaccio
a momenti cederà;
trovan dolce al pari il laccio
chi lo tende e chi ci dà.

A Colline.

Se una tal vaga persona
ti trattasse a tu per tu,
manderesti a Belzebù
la tua scienza brontolona.)

COLLINE.
(Essa è bella, [non son cieco],
chissà mai quel che avverrà!
Santi numi, in simil briga
mai Colline intopperà.
Essa è bella, [non son cieco],
e di calda gioventù;
ma mi piaccion assai più
una pipa e un testo greco.)
MARCELLO grandemente commosso.
(La giovinezza mia non è ancor morta,
né di te morto è il sovvenir …
se tu battessi alla mia porta
t’andrebbe il mio core ad aprir!)
MUSETTA.
(Marcello smania. È vinto. Ora conviene
liberarsi del vecchio.)

Fingendo provare un vivo dolore.

Ahi!
ALCINDORO.
Che c’è?
MUSETTA.
Qual dolore, qual bruciore!
ALCINDORO.
Dove?
MUSETTA.
Al pie‘.
Sciogli, slaccia, rompi, straccia,
te ne imploro, Alcindoro!
ALCINDORO abbassandosi per slacciare la scarpa a Musetta.
Zitta, zitta …
MUSETTA.
Dio, che fitta!
ALCINDORO tastando il piede a Musetta.
Qui?
MUSETTA.
Più in giù …
ALCINDORO.
Qui?
MUSETTA.
Più in su …
maledetta scarpa stretta.
ALCINDORO scandalizzato.
Quella gente che dirà?
MUSETTA.
Or la levo – per sollievo.
ALCINDORO cercando trattenere Musetta.
Imprudente!
MUSETTA Si leva la scarpa e la mette sulla tavola.
Eccola qua.
Laggiù c’è un calzolaio;
comprane un altro paio.
ALCINDORO Disperato, prende la scarpa e rapidamente se la caccia nel panciotto, e si abbottona maestoso l’abito.
Come? Vuoi che io comprometta
il mio grado? …
MUSETTA.
Perché no?
Via!
ALCINDORO.
Mio Dio!
MUSETTA impazientandosi.
Corri!
ALCINDORO.
Musetta!
MUSETTA.
Presto!
ALCINDORO.
Aspetta! …
MUSETTA.
Strillo! …
ALCINDORO.
Vo.

Per timore di maggior scandalo, Alcindoro corre frettolosamente verso la bottega del calzolaio.

Appena partito Alcindoro, Musetta si alza e si getta nelle braccia di Marcello, che non sa più resistere.

MUSETTA.
Oh Marcello!
MARCELLO.
Sirena!
SCHAUNARD.
Siamo all’ultima scena!

Un cameriere porta il conto.

TUTTI meno Marcello.
Il conto!
SCHAUNARD.
Così presto?
Vediamo.

Si fa dare il conto, che fa il giro degli amici.

COLLINE.
Chi l’ha chiesto?
RODOLFO E COLLINE.
Caro!
COLLINE, SCHAUNARD E RODOLFO.
Fuori il danaro!
SCHAUNARD.
Colline, Rodolfo e tu
Marcel?
MARCELLO.
Sono all’asciutto!
RODOLFO.
Ho trenta soldi in tutto!
COLLINE, SCHAUNARD E RODOLFO.
Come? Non ce n’è più?
SCHAUNARD terribile.
Ma il mio tesoro ov’è?

Portano le mani alle tasche: sono vuote: nessuno sa spiegarsi la rapida scomparsa degli scudi di Schaunard: sorpresi si guardano l’un l’altro.

Lontanissima si ode la ritirata militare che a poco a poco va avvicinandosi: la gente accorre da ogni parte, guardando e correndo di qua, di là onde vedere da quale parte giunge.

BORGHESI.
La ritirata. Vien la ritirata.
Oh, largo, largo, abbasso!
MONELLI.
Come sarà arrivata,
la seguiremo al passo.
BORGHESI.
In quel rullìo tu senti
la patria maestà.
MONELLI.
S’avvicinano attenti,
in fila. Eccoli qua.

Mamme e fanciulle alle finestre ed ai balconi, guardano la ritirata che arriva.

FANCIULLE.
Mammà, voglio vedere.
FANCIULLI.
Papà, voglio sentire.
MAMME.
Lisetta, vuoi tacere?
Tonio, la vuoi finire?
FANCIULLI.
Prendimi in braccio.
MAMME.

FANCIULLE.
Vedere!
TUTTI.
Eccoli qui!

La ritirata militare attraversa la scena.

MUSETTA al cameriere.
Date il mio conto. – È pronto?

Al cameriere che lo consegna.

Bene! Sommate presto
quello con questo …
Paga il signor che stava qui con me!

Ponendo i due conti riuniti al posto di Alcindoro.

E dove s’è seduto
ritrovi il mio saluto!
SCHAUNARD, COLLINE, MARCELLO E RODOLFO.
Giunge la ritirata;
il vecchio non ci veda
fuggir con la sua preda.
Quella folla serrata
il nascondiglio appresti! …
Via lesti, lesti, lesti! …

LA FOLLA.
Ecco il tamburo maggior, più fiero
d’un antico guerriero!
– Al gesto trïonfale
somiglia un generale.
La canna è tutta d’ôr!
E lui tutto splendor!
Di Francia è il più bell’uom
il bel tambur maggior! …

Musetta, non potendo camminare perché ha un solo piede calzato, è alzata a braccia da Marcello e Colline; la folla, vedendo Musetta portata trionfalmente, ne prende pretesto per farle clamorose ovazioni: Marcello e Colline con Musetta si mettono in coda alla ritirata: li seguono Rodolfo e Mimì a braccetto e Schaunard col suo corno imboccato; poi studenti e sartine allegramente, poi ragazzi, borghesi, donne che prendono il passo di marcia: tutta questa folla si allontana dal fondo seguendo e cantando la ritirata militare. Alcindoro, con un paio di scarpe bene incartocciate, ritorna verso il Caffè Momus, cerca inutilmente Musetta e s’avvicina alla tavola: il cameriere che è lì presso, prende i conti lasciati da Musetta e cerimoniosamente li presenta ad Alcindoro, il quale, vedendo la somma, non trovando più alcuno, cade su di una sedia, stupefatto, allibito.

Fine del secondo quadro

Quadro terzo

La barriera d’enfer

»La voce di Mimì aveva una sonorità che penetrava nel cuore di Rodolfo come i rintocchi di un’agonia …
Egli però aveva per lei un amore geloso, fantastico, bizzarro, isterico …
Venti volte furono sul punto di dividersi.
Convien confessare che la loro esistenza era un vero inferno.
Nondimeno, in mezzo alle tempeste delle loro liti, di comune accordo si soffermavano a riprender lena nella fresca oasi di una notte d’amore … ma all’alba del domani una improvvisa battaglia faceva fuggire spaventato l’amore.
Così – se fu vita – vissero giorni lieti alternati a molti pessimi nella continua attesa del divorzio …«.
»Musetta, per originaria malattia di famiglia e per materiale istinto, possedeva il genio dell’eleganza«.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»Questa curiosa creatura dovette, appena nata, domandare uno specchio«.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»Intelligente ed arguta, ribelle soprattutto a quanto sapesse di tirannia, non aveva che una regola: il capriccio«.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»Certo il solo uomo da lei veramente amato era Marcello – forse perché egli solo sapeva farla soffrire, – ma il lusso era per lei una condizione di salute«.

Al di là della barriera, il boulevard esterno e, nell’estremo fondo, la strada d’Orléans che si perde lontana fra le alte case e la nebbia del febbraio; al di qua, a sinistra, un Cabaret ed il piccolo largo della barriera; a destra il boulevard d’Enfer; a sinistra quello di Saint Jacques.

A destra, pure la imboccatura della via d’Enfer, che mette in pieno quartiere Latino.

Il Cabaret ha per insegna il quadro di Marcello »Il passaggio del Mar Rosso«, ma sotto invece, a larghi caratteri, vi è dipinto »Al porto di Marsiglia«. Ai lati della porta sono pure dipinti a fresco un turco e uno zuavo con una enorme corona d’alloro intorno al fez. Alla parete del Cabaret, che guarda verso la barriera, una finestra a pian terreno donde esce un chiarore rossiccio.

I platani che costeggiano il largo della barriera, grigi, alti e in lunghi filari, dal largo si ripartono diagonalmente verso i due boulevards. Fra platano e platano sedili di marmo. È il febbraio: la neve è dappertutto.

All’alzarsi della tela c’è nel cielo e sulle case il biancheggiare incerto della primissima alba. Seduti avanti ad un braciere stanno sonnecchiando i Doganieri. Dal Cabaret, ad intervalli, grida, cozzi di bicchieri, risate. Un doganiere esce dal Cabaret con vino. La cancellata della barriera è chiusa.

Dietro la cancellata chiusa, battendo i piedi dal freddo e soffiandosi su le mani intirizzite, stanno alcuni Spazzini.

SPAZZINI.
Ohè, là, le guardie! … Aprite! … Siamo noi!
Quelli di Gentilly! … Siam gli spazzini! …

I Doganieri rimangono immobili; gli Spazzini picchiano colle loro scope e badili sulla cancellata urlando.

Fiocca la neve! … Qui s’agghiaccia!

I Doganieri si scuotono.

UN DOGANIERE sbadigliando e stirandosi le braccia, brontola.
Vengo!

Va ad aprire; gli Spazzini entrano e si allontanano per la via d’Enfer. Il Doganiere richiude la cancellata.

Dal Cabaret voci allegre e tintinnii di bicchieri che accompagnano il lieto cantare.

VOCI INTERNE.
Chi trovò forte piacer – nel suo bicchier,
di due labbra sul bel fior – trovò l’amor.
Trallerallè.
Eva e Noè.
MUSETTA.
Ai vegliardi il bicchier!
La giovin bocca è fatta per l’amor.

Suoni di campanelli dallo stradale d’Orléans; sono carri tirati da muli. Schioccare di fruste e grida di carrettieri: hanno fra le ruote lanterne accese ricoperte di tela. Passano e si allontanano pel boulevard d’Enfer.

VOCI dal boulevard esterno; dal fondo.
Hopp-là! Hopp-là!
DOGANIERI.
Son già le lattivendole!

Dal Corpo di Guardia esce il Sergente dei Doganieri, il quale ordina d’aprire la barriera.

LE LATTIVENDOLE Passano per la barriera a dorso di asinelli e si allontanano per diverse strade dicendo ai Doganieri.
Buon giorno!
CONTADINE con ceste a braccio.
– Burro e cacio!
– Polli ed uova!

Pagano e i Doganieri le lasciano passare.

Giunte al crocicchio.

– Voi da che parte andate?
– A San Michele!
– Ci troverem più tardi?
– A mezzodì!

Si allontanano per diverse strade.

I Doganieri ritirano le panche e il braciere.

Mimì, dalla via d’Enfer, entra guardando attentamente intorno cercando di riconoscere i luoghi, ma giunta al primo platano la coglie un violento accesso di tosse: riavutasi e veduto il Sergente, gli si avvicina.

MIMÌ al Sergente.
Sa dirmi, scusi, qual è l’osteria …

Non ricordando il nome.

dove un pittor lavora?
SERGENTE indicando il Cabaret.
Eccola.
MIMÌ.
Grazie.

Esce una fantesca dal Cabaret; Mimì le si avvicina.

O buona donna, mi fate il favore
di cercarmi il pittore
Marcello? Ho da parlargli. Ho tanta fretta.
Ditegli, piano, che Mimì lo aspetta.

La fantesca rientra nel Cabaret.

SERGENTE ad uno che passa.
Ehi, quel panier!
DOGANIERI.
Vuoto!
SERGENTE.
Passi.

Dalla barriera entra altra gente, e chi da una parte, chi dall’altra tutti si allontanano. Le campane dell’ospizio Maria Teresa suonano mattutino. È giorno fatto, giorno d’inverno, triste e caliginoso. Dal Cabaret escono alcune coppie che rincasano.

Marcello, Mimì.

MARCELLO Esce dal Cabaret e con sorpresa vede Mimì.
Mimì?!
MIMÌ.
Son io. Speravo di trovarvi qui.
MARCELLO.
È ver. Siam qui da un mese
di quell’oste alle spese.
Musetta insegna il canto ai passeggeri;
io pingo quei guerrieri
sulla facciata.

Mimì tossisce.

È freddo. Entrate.
MIMÌ.
C’è
Rodolfo?
MARCELLO.
Sì.
MIMÌ.
Non posso entrar.
MARCELLO sorpreso.
Perché?
MIMÌ Scoppia in pianto.
O buon Marcello, aiuto!
MARCELLO.
Cos’è avvenuto?
MIMÌ.
Rodolfo m’ama. Rodolfo si strugge
di gelosia e mi fugge.
Un passo, un detto,
un vezzo, un fior lo mettono in sospetto …
Onde corrucci ed ire.
Talor la notte fingo di dormire
e in me lo sento fiso
spiarmi i sogni in viso.
Mi grida ad ogni istante:
Non fai per me, prenditi un altro amante.
In lui parla il rovello;
lo so, ma che rispondergli, Marcello?
MARCELLO.
Quando s’è come voi, l’amor si beve
a sorsi e non si vive in compagnia.
Io son lieve a Musetta ed ella è lieve
a me, perché ci amiamo in allegria …
Canti e risa, ecco il fiore
di un giovanile amore.
MIMÌ.
Dite bene. Dividerci conviene.
Aiutateci voi; noi s’è provato
più volte invan. Quando tutto è deciso,
se ci guardiamo in viso,
ogni savio pensiero è fiaccato.
Da sera a giorno e d’oggi alla dimane
s’indugia la partenza e si rimane.
Fate voi per il meglio.
MARCELLO.
Sta bene, ora lo sveglio.
MIMÌ.
Dorme?
MARCELLO.
È piombato qui
senza dir che si fosse
un’ora avanti l’alba e si assopì
sopra una panca.
Guardate.

Mimì tossisce.

Che tosse!
MIMÌ.
Da ieri ho l’ossa rotte.
Fuggì da me stanotte
dicendomi: È finita.
A giorno sono uscita
e me ne corsi a questa
volta.
MARCELLO osservando Rodolfo nell’interno del Cabaret.
Si desta …
s’alza, mi cerca … viene.
MIMÌ.
Ch’ei non mi veda.
MARCELLO.
Ebbene,
meglio è che rincasiate …
Mimì … per carità,
non fate scene qua!

Spinge dolcemente Mimì verso l’angolo del Cabaret di dove però quasi subito sporge curiosa la testa. Marcello corre incontro a Rodolfo.

Rodolfo, Marcello, Mimì in disparte.

RODOLFO accorrendo verso Marcello.
Marcello. Finalmente!
Qui niun ci sente.
Io voglio separarmi da Mimì.
MARCELLO.
Sei volubil così?
RODOLFO.
Già un’altra volta credetti che morto
fosse il mio cuor,
ma di quegli occhi azzurri allo splendor
esso è risorto.
Ora tedio l’assale …
MARCELLO.
E gli vuoi rinnovare il funerale?

Mimì non potendo udire le parole, colto il momento opportuno, riesce a ripararsi dietro a un platano, avvicinandosi così ai due amici.

RODOLFO con dolore.
Per sempre!
MARCELLO.
Cambia metro.
Dei pazzi è l’amor tetro
che lacrime distilla.
Se non ride e sfavilla
l’amore è fiacco e roco.
Tu sei geloso.
RODOLFO.
Un poco.
MARCELLO.
Collerico, lunatico, imbevuto
di pregiudizi, noioso, cocciuto!
MIMÌ che ode, fra sè, inquieta.
(Or lo fa incollerir! Me poveretta!)
RODOLFO.
E Mimì è una civetta
che frascheggia con tutti. Un moscardino
di Viscontino
le fa l’occhio di triglia.
Ella sgonnella e scopre la caviglia
con un far promettente e lusinghiero.
MARCELLO.
Lo devo dir? Non mi sembri sincero.
RODOLFO.
Ebben, no, non lo sono. Invan nascondo
la mia vera tortura.
Amo Mimì sovra ogni cosa al mondo,
ma ho paura, ho paura.
RODOLFO.
Mimi è tanto malata!
Ogni dì più declina.
La povera piccina
è condannata.
MARCELLO sorpreso.
Mimì?
MIMÌ, sorpresa, si avvicina ancora più, sempre nascosta dietro gli alberi.
Che vuol dire?
RODOLFO.
Una terribil tosse
l’esil petto le scuote
e già le smunte gote
di sangue ha rosse …
MIMÌ
Ahimè, morire!
RODOLFO.
La mia stanza è una tana
squallida …
il fuoco ho spento.
MARCELLO commesso.
Povera Mimì!
RODOLFO.
V’entra e l’aggira il vento
di tramontana.
Essa canta e sorride
e me il rimorso assale.
Me cagion del fatale
mal che l’uccide.
Mimì di serra è fiore.
Povertà l’ha sfiorita;
per ritornarla in vita
non basta amore.
MIMÌ
È finita! …
MARCELLO
Che far dunque?
MIMÌ angosciata.
O mia vita!

La tosse e i singhiozzi violenti rivelano la presenza di Mimì.

RODOLFO vedendola e accorrendo a lei.
Che? Mimì! Tu sei qui?
M’udisti? Vaneggiai. Ti rassicura:
facile alla paura
per nulla io m’arrovello.
Vieni là nel tepore.

Vuol farla entrare nel Cabaret.

MIMÌ.
No, quel tanto mi soffoca.

Rodolfo stringe amorosamente fra le sue braccia Mimì.

Dal Cabaret si ode ridere sfacciatamente Musetta.

MARCELLO.
È Musetta
che ride.

Corre alla finestra del Cabaret.

Con chi ride? Ah, la civetta!
Imparerai.

Entra furiosamente nel Cabaret..

MIMÌ svincolandosi da Rodolfo.
Addio.
RODOLFO sorpreso, dolorosamente.
Che! Vai?
MIMÌ.
D’onde lieta al tuo grido
d’amore uscì,
torna sola Mimì
al solitario nido.
Ritorna un’altra volta
a intesser finti fior.
Addio, senza rancor.
– Ascolta, ascolta.
Le poche robe aduna che lasciai
sparse. Nel mio cassetto
stan chiusi quel cerchietto
d’oro, i nastrini e il libro di preghiere.
Involgi tutto quanto in un grembiale
e manderò il portiere …
– Bada, sotto il guanciale
c’è la cuffietta rosa.
Se … vuoi … serbarla a ricordo d’amore …
– Addio, senza rancore.
RODOLFO.
Dunque, è proprio finita?
Te ne vai, te ne vai, la mia piccina?!
Addio, sognante vita!
MIMÌ.
Addio, dolce svegliare alla mattina!

Sorridendo.

Addio, rabbuffi!
RODOLFO.
Con sùbite paci!
MIMÌ.
Sospetti!
RODOLFO.
Baci!
MIMÌ.
E gelosie!
RODOLFO.
Che un tuo sorriso acqueta.
MIMÌ.
E pungenti amarezze.
RODOLFO.
Che io da vero poeta
rimavo con: carezze.
MIMÌ.
Soli l’inverno è cosa da morire.
RODOLFO.
Mentre al primo fiorire
di primavera ci è compagno il sole.
MIMÌ.
Niuno è solo l’aprile.
RODOLFO.
Si discorre coi gigli e le vïole.
MIMÌ.
Esce dai nidi un cinguettio gentile.
RODOLFO.
Chiacchieran le fontane.
MIMÌ.
La brezza della sera
balsami stende sulle doglie umane.
RODOLFO.
Vuoi che aspettiam ancor la primavera?
MIMÌ.
Sempre tua … per la vita.
RODOLFO.
Ci lascieremo alla stagion fiorita!

S’avviano.

MIMÌ.
Vorrei che eterno
durasse il verno!

Dal Cabaret fracasso di piatti e bicchieri rotti: si odono le voci concitate di Musetta e Marcello.

MARCELLO.
Che facevi? Che dicevi
presso il foco a quel signore?
MUSETTA.
Che vuoi dire?

Musetta esce stizzita; Marcello la segue fermandosi sulla porta.

MARCELLO.
Al mio venire
hai mutato di colore.
MUSETTA.
Quel signore mi diceva:
Ama il ballo, signorina?
Arrossendo io rispondeva:
Ballerei sera e mattina.
MARCELLO.
Quel discorso asconde mire
licenziose e disoneste;
se ti colgo a incivettire
io t’acconcio per le feste!

Quasi avventandosi contro Musetta.

MARCELLO.
Bada, sotto il mio cappello
non ci stan certi ornamenti.
Io non faccio da zimbello
ai novizi intraprendenti.
Vana, frivola, civetta,
senza cuor né dignità.
MUSETTA.
Ché mi gridi? Ché mi canti?
All’altar non siamo uniti.
Io detesto quegli amanti
che la fanno da mariti.
Fo all’amor con chi mi piace,
voglio piena libertà.
MARCELLO.
Il tuo nome di Musetta
si traduce: infedeltà.
Ve ne andate? Economia.
Or son ricco divenuto.
Vi ringrazio; vi saluto.
Servo a vostra signoria.
MUSETTA.
Non ti garba? Ebbene, pace,
ma Musetta se ne va.
Lunghe al gel notti serene,
magri pranzi e magre cene,
vi saluto. Signor mio,
con piacer vi dico: addio.
MUSETTA Si allontana furiosa: ma poi ad un tratto si sofferma e gli grida ancora velenosa.
Pittore da bottega!
MARCELLO.
Vipera!
MUSETTA.
Rospo!

Parte.

MARCELLO.
Strega!

Rientra nel Cabaret.

Fine del terzo quadro

Quadro quarto

In Soffitta

» …In quell’epoca già da tempo gli amici erano vedovi.
Musetta era diventata un personaggio quasi ufficiale; – da tre o quattro mesi Marcello non l’aveva incontrata.
Così pure Mimì; – Rodolfo non ne aveva più sentito parlare che da se medesimo quando era solo.
Un dì che Marcello di nascosto baciava un nastro dimenticato da Musetta, vide Rodolfo che nascondeva una cuffietta – la cuffietta rosa – dimenticata da Mimì:
Va bene! mormorò Marcello, egli è vile come me!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vita gaia e terribile! …«.

La stessa scena del Quadro I.

Marcello, Rodolfo.

Marcello sta ancora dinanzi al suo cavalletto, come Rodolfo sta seduto al suo tavolo: vorrebbero persuadersi l’un l’altro che lavorano indefessamente, mentre invece non fanno che chiacchierare.

MARCELLO continuando il discorso.
In un coupé?
RODOLFO.
Con pariglia e livree.
Mi salutò ridendo. To‘, Musetta!
Le dissi: – e il cuor? – »Non batte o non lo sento,
grazie al velluto che il copre«.
MARCELLO.
Ci ho gusto
davver.
RODOLFO fra sè.
(Loiola, va. Ti rodi e ridi.)
MARCELLO ruminando.
Non batte? Bene! Io pur vidi …
RODOLFO.
Musetta?
MARCELLO.
Mimì.
RODOLFO Trasalisce.
L’hai vista?

Si ricompone.

Oh, guarda!
MARCELLO.
Era in carrozza
vestita come una regina.
RODOLFO.
Evviva!
Ne son contento.
MARCELLO fra sè.
(Bugiardo, si strugge
d’ira e d’amor.)
RODOLFO.
Lavoriam.
MARCELLO.
Lavorìam.

Si mettono al lavoro.

RODOLFO Getta la penna.
Che penna infame!
MARCELLO Getta il pennello.
Che infame pennello!
RODOLFO.
(Mimì, ne andasti e più non torni. O giorni
lontani – e belli,
piccole mani, – odorosi capelli,
collo di neve! O gioventù mia breve!
Sto poche morte cose – a riguardare.
Foglie di rose
già poste a segno di pagine care.
Questa piccola fiala
che olezzi un giorno ed or veleno esala.
E tu, cuffietta lieve,
ch’ella sotto il guancial partendo ascose
e tutta sai la breve
nostra felicità, vien sul mio cuore!
Sul mio cuor morto, poich’è morto amore.
MARCELLO.
(Io non so come sia
che il mio pennel per suo conto lavori
e segni forme ed impasti colori
contro ogni voglia mia.
Se pingere mi piace
o cieli o terre o inverni o primavere,
egli mi traccia due pupille nere
e una bocca procace,
e n’esce di Musetta
il viso tutto vezzi e tutto frode.
Musetta intanto gode.
E il mio cuor vile la chiama ed aspetta.
RODOLFO.
Che ora sia?
MARCELLO.
L’ora del pranzo … di ieri.
RODOLFO.
E Schaunard che non torna?

Schaunard, Colline, Rodolfo e Marcello.

SCHAUNARD.
Eccoci.

Depone quattro pagnotte sulla tavola.

Ebbene?
MARCELLO con sprezzo.
Del pane?
COLLINE.
E un piatto degno di Demostene:
un’aringa …
SCHAUNARD.
…salata.
COLLINE.
Il pranzo è in tavola.

Siedono attorno alla tavola, fingendo d’essere ad un lauto pranzo.

MARCELLO.
Questa è cuccagna
da Berlingaccio.
SCHAUNARD Pone il cappello di Colline sulla tavola e vi colloca dentro una bottiglia d’acqua.
Or lo sciampagna
mettiamo in ghiaccio.
RODOLFO a Marcello.
Scelga, o barone;
trota o salmone?
MARCELLO a Schaunard.
Duca, una lingua
di pappagallo?
SCHAUNARD.
Grazie, m’impingua.
Stassera ho un ballo.

Colline ha mangiato e si alza.

RODOLFO.
Già sazio?
COLLINE solenne.
Ho fretta.
Il Re m’aspetta.
MARCELLO.
C’è qualche trama?
RODOLFO.
Qualche mistero?
COLLINE.
Il Re mi chiama
al ministero.
SCHAUNARD a Marcello.
Bene!
COLLINE.
Però
vedrò … Guizot!
SCHAUNARD a Marcello.
Porgimi il nappo.
MARCELLO Gli dà l’unico bicchiere.
Sì, bevi, io pappo.
SCHAUNARD solenne.
Mi sia permesso – al nobile consesso..
RODOLFO interrompendolo.
Basta.
MARCELLO.
Fiacco!
COLLINE.
Che decotto!
MARCELLO.
Leva il tacco.
COLLINE.
Dammi il gotto.
SCHAUNARD ispirato.
M’ispira irresistibile
l’estro della romanza …
GLI ALTRI urlando.
No!
SCHAUNARD arrendevole.
Azione coreografica
allora? …
GLI ALTRI applaudendo.
Sì! …
SCHAUNARD.
La danza
con musica vocale!
COLLINE.
Si sgombrino le sale …

Portano da un lato la tavola e le sedie e si dispongono a ballare.

Gavotta.
MARCELLO.
Minuetto.
SCHAUNARD.
Fandango.
RODOLFO.
Pavanella.
COLLINE.
Propongo la quadriglia.
RODOLFO.
Mano alle dame.
COLLINE.
Io detto.
RODOLFO galante a Marcello.
Vezzosa damigella,
a Venere sei figlia!
MARCELLO.
Rispetti la modestia,
la prego.
COLLINE dettando le figure
Balancez.
SCHAUNARD.
Prima c’è il Rond.
COLLINE.
No, bestia!!
SCHAUNARD.
Che modi da lacchè!
COLLINE.
Se non erro,
lei m’oltraggia.
Snudi il ferro.

Prende le molle.

SCHAUNARD Prende la paletta.
Pronti.

Tira un colpo.

Assaggia.
COLLINE battendosi.
Un di noi qui si sbudella.
SCHAUNARD.
Il tuo sangue io voglio ber.
COLLINE.
Apprestate una barella.
SCHAUNARD.
Apprestate un cimiter.

Mentre si battono, Marcello e Rodolfo ballano loro intorno cantando.

RODOLFO E MARCELLO.
Mentre incalza
la tenzone,
gira e balza
Rigodone.
Qual licore
traditore
la bolletta
c’impazzì.
Chi è più forte
della sorte
può …

Si spalanca l’uscio ed entra Musetta in grande agitazione.

Rodolfo, Marcello, Schaunard, Colline, Musetta, poi Mimì.

MARCELLO colpito.
Musetta!

Tutti rimangono attoniti.

MUSETTA ansimante.
C’è Mimì …

Con viva ansietà attorniano Musetta.

C’è Mimì che mi segue e che sta male.
RODOLFO atterrito.
Ov’è?
MUSETTA.
Nel far le scale
più non si resse.

Si vede, per l’uscio aperto, Mimì seduta sul più alto gradino della scala.

RODOLFO.
Ah!

Si precipita verso Mimì; Marcello accorre anche lui.

SCHAUNARD a Colline.
Noi
accostiam questo lettuccio.
RODOLFO Coll’aiuto di Marcello porta Mimì fino al letto, sul quale la mette distesa.
Là.

Agli amici, piano.

Da bere.

Musetta accorre col bicchiere dell’acqua e ne dà un sorso a Mimì.

MIMÌ riavutasi e vedendo Rodolfo presso di sè.
Rodolfo!
RODOLFO.
Zitta, riposa.
MIMÌ.
Mi vuoi
qui con te?
MARCELLO Amorosamente fa cenno a Mimì di tacere, rimanendo ad essa vicino.
Sempre!
MUSETTA a Marcello, Schaunard e Colline, piano.
Ora son poche sere
intesi dire che Mimì, fuggita
dal Viscontino, era in fine di vita.
Dove stia? Cerca, cerca … Or or la veggo
passar per via
trascinandosi a stento.
Mi dice: »Più non reggo …
Muoio, muoio, lo sento …
Voglio morir con lui. Forse m’aspetta …
M’accompagni, Musetta? …«
MARCELLO Fa cenno di parlar piano.
Sst.
MIMÌ.
Mi sento assai meglio …
lascia ch’io mi guardi intorno.
MUSETTA.
Se ci fosse
qualche cordiale! …

Ai tre.

Dite, che ci avete
in casa?
MARCELLO.
Nulla!
MUSETTA.
Non caffè? Non vino?
MARCELLO.
Nulla! Ah! miseria!
SCHAUNARD Tristemente a Colline, traendolo in disparte.
Fra mezz’ora è morta!
MIMÌ.
Ah! come si sta bene
qui … Si rinasce … mi torna la vita!
Qui vivo ed amo!
RODOLFO.
O benedetta bocca,
tu ancor mi parli! …
MIMÌ
Ho tanto, tanto freddo …
Se avessi un manicotto! Queste mani
non si potranno dunque riscaldare
mai più, mai più? …

Tossisce.

RODOLFO Le prende le mani nelle sue riscaldandogliele.
Qui, nelle mie, ma taci!
Il parlare ti stanca.
MIMÌ
Ho un po‘ di tosse!
Ci sono avvezza.

Vedendo gli amici di Rodolfo, li chiama per nome: essi accorrono premurosi presso Mimì.

Buon giorno, Marcello,
Schaunard, Colline … buon giorno.
Tutti qui, tutti qui
sorridenti a Mimì.
RODOLFO.
Non parlar, non parlare.
MIMÌ.
Parlo piano,
non temere. Marcello, date retta:
è assai buona Musetta.
MARCELLO.
Lo so, lo so.

Porge la mano a Musetta.

RODOLFO.
Riposa.
MIMÌ.
Tu non mi lasci?
RODOLFO.
No.
MUSETTA Si leva gli orecchini e li porge a Marcello.
A te, vendi, riporta
qualche cordial, manda un dottore! …

Marcello si precipita.

Ascolta!
Forse è l’ultima volta
che espresso ha un desiderio, poveretta!
Pel manicotto io vo. Con te verrò.
MARCELLO commosso.
Sei buona, o mia Musetta.

Musetta e Marcello partono frettolosi.

COLLINE Mentre Musetta e Marcello parlavano, si è levato il pastrano.
Vecchia zimarra, senti,
io resto al pian, tu ascendere
il sacro monte or devi.
Le mie grazie ricevi.
Mai non curvasti il logoro
dorso ai ricchi, ai potenti,
né cercasti le frasche
dei dorati gingilli.
Passâr nelle tue tasche
come in antri tranquilli
filosofi e poeti.
Ora che i giorni lieti
fuggîr, ti dico: addio,
fedele amico mio.

Colline, fattone un involto, se lo pone sotto il braccio, ma vedendo Schaunard, gli dice sottovoce:

Schaunard, ciascuno per diversa via
mettiamo insiem due atti di pietà;
io … questo!

Gli mostra la zimarra che tiene sotto il braccio.

E tu …

Accennandogli Rodolfo chino su Mimì addormentata.

lasciali soli là! …
SCHAUNARD commosso.
Filosofo, ragioni!
È ver! … Vo via!

Si guarda intorno, e per giustificare la sua partenza prende la bottiglia dell’acqua e scende dietro Colline chiudendo con precauzione l’uscio.

Mimì, Rodolfo

MIMÌ.
Sono andati? Fingevo di dormire
perché volli con te sola restare.
Ho tante cose che ti voglio dire,
o una sola, ma grande come il mare,
come il mare profonda ed infinita …
Sei il mio amore e tutta la mia vita.
RODOLFO.
O mia bella Mimì!
MIMÌ.
Son bella ancora?
RODOLFO.
Bella come un’aurora.
MIMÌ.
Hai sbagliato il raffronto.
Volevi dir: bella come un tramonto.
»Mi chiamano Mimì
ed il perché non so«.
RODOLFO intenerito e carezzevole.
Tornò al nido la rondine e cinguetta.

Si leva di dove l’aveva riposta in sul cuore, la cuffietta di Mimì e gliela porge.

MIMÌ Raggiante.
La mia cuffietta.

Tende a Rodolfo la testa, questi le mette la cuffietta. Mimì rimane colla testa appoggiata sul petto di lui.

Te lo rammenti quando sono entrata
la prima volta, là?
RODOLFO.
Se lo rammento!
MIMÌ.
Il lume si era spento …
RODOLFO.
Eri tanto turbata!
MIMÌ.
E tu cortese e grave …
RODOLFO
Poi smarristi la chiave …
MIMÌ.
O mio bel signorino,
posso ben dirlo adesso:
lei la trovò assai presto
e a intascarla fu lesto.
RODOLFO.
Aiutavo il destino.
MIMÌ ricordando l’incontro suo con Rodolfo la sera della vigilia di Natale.
Era buio; il rossor non si vedeva …
tu la man mi prendevi …

Sussurra le parole di Rodolfo.

»Ah, che gelida manina …
Se la lasci riscaldar! …«

Mimì è presa da una spasimo di soffocazione; lascia ricadere il capo, sfinita.

RODOLFO spaventato.
Oh Dio! Mimì!

In questo momento Schaunard ritorna: al grido di Rodolfo occorre presso Mimì.

SCHAUNARD.
Che avviene?
MIMÌ Apre gli occhi e sorride per rassicurare Rodolfo e Schaunard.
Non è nulla. Sto bene.
RODOLFO.
Zitta, per carità.
MIMÌ.
Sì, sì, perdona,
Or sarò buona.

Musetta, Marcello, poi Colline.

Musetta porta un manicotto e Marcello una boccetta.

MUSETTA a Rodolfo.
Dorme?
RODOLFO.
Riposa.
MARCELLO.
Ho veduto il dottore!
Verrà; gli ho fatto fretta.
Ecco il cordiale.

Prende una lampada a spirito, la pone sulla tavola e l’accende.

MIMÌ.
Chi parla?
MUSETTA si avvicina a Mimì e le porge il manicotto.
Io, Musetta.
MIMÌ.
Oh, come è bello e morbido! Non più
le mani allividite ora. Il tepore
le abbellirà.

A Rodolfo.

Sei tu che me lo doni?
MUSETTA pronta.
Sì.
MIMÌ.
Tu! Spensierato!
Grazie. Ma costerà. Piangi? Sto bene …
Pianger così perché? …

Assopendosi a poco a poco.

Qui …. amor … sempre con te!
Le mani … al caldo … e … dormire.

Silenzio.

RODOLFO a Marcello.
Che ha detto
il medico?
MARCELLO.
Verrà.
MUSETTA Fa scaldare la boccetta alla lampada a spirito, e quasi inconsciamente mormora una preghiera.
Dio benedetto,
Madonna benedetta,
Gesù bambino caro,
fate la grazia a questa poveretta
che non debba morire.

Interrompendosi, a Marcello.

Qui ci vuole un riparo
perché la fiamma sventola.

Marcello mette un libro ritto sulla tavola formando paravento alla lampada.

Così.

Ripiglia la preghiera.

E che possa guarire.
Madonna santa, io sono
indegna di perdono,
mentre invece Mimì
è un angelo del cielo.

Mentre Musetta prega, Rodolfo le si è avvicinato.

RODOLFO.
Io spero ancora. Vi pare che sia
grave?
MUSETTA.
Non credo.
SCHAUNARD Si è avvicinato al lettuccio, poi è corso senza farsi scorgere fino a Marcello: piano a Marcello.
Marcello, è spirata …

Intanto Rodolfo si è avveduto che il sole della finestra della soffitta sta per battere sul volto a Mimì e cerca intorno come porvi riparo; Musetta se ne avvede e gli indica la sua mantiglia, sale su di una sedia e studia il modo di distenderla sulla finestra.

Marcello si avvicina a sua volta al letto e se ne scosta atterrito; intanto entra Colline che depone del danaro sulla tavola presso a Musetta.

COLLINE a Musetta.
Prendete.
Poi visto Rodolfo che solo non riesce a collocare la mantiglia attraverso alla finestra corre ad aiutarlo chiedendogli di Mimì.
Come va? …
RODOLFO.
Vedi? … È tranquilla.

Si volge verso Mimì: in quel mentre Musetta gli fa cenno che la medicina è pronta. Nell’accorrere presso Musetta si accorge dello strano contegno di Marcello e Schaunard che, pieni di sgomento, lo guardano con profonda pietà.

Ebbene … che vuol dire
quell’andare e venire,
quel guardarmi così …
MARCELLO Non regge più, corre a Rodolfo e abbracciandolo stretto a sè con voce strozzata gli mormora.
Coraggio!
RODOLFO.
Che?!
Mimì! … Mimì! … Mimì! …

Fine