Pietro Mascagni
Guglielmo Ratcliff
Tragedia
Libretto von Andrea Maffei
Uraufführung: 16.02.1895, Teatro alla Scala, Mailand
Interlocutori
Mac-Gregor, feudatario scozzese
Maria, figlia di Mac-Gregor
Conte Douglas, fidanzato a Maria
Guglielmo Ratcliff
Lesley, amico di Ratcliff
Margherita, nutrice di Maria
Tom, oste di ladri
Willie, fanciullo e figlio di Tom
Robin,
Dick,
Bell,
John,
Taddie, Ladri e mariuoli
Un Servo
Masnadieri – Servi – Convitati alle nozze
L’azione si svolge nella Scozia settentrionale, verso il 1820.
Quadro primo
Stanza nel Castello Di Mac-Gregor
Scena prima.
Maria, Conte Douglas, Mac-Gregor e Margherita.
Margherita accovacciata e immobile in un angolo.
MAC-GREGOR impalmando Maria e Douglas.
Sposo e sposa voi siete, e come unite
Stan or le vostre mani, i cuori vostri,
Nel dolor, nella gioja, oggi e per sempre
Stiano uniti così. Legati insieme
V’han la Chiesa e l’Amor, due sacramenti
Di gran virtù: due volte i vostri capi
Son per ciò benedetti, ed anche il padre
La sua destra v’impone e benedice.
Mette le mani sul capo di tutt’e due.
DOUGLAS.
Milord! padre chiamarvi oggi m’è vanto.
MAC-GREGOR.
E vanto a me maggior chiamarvi figlio.
Si abbracciano.
MARGHERITA canta, coll’accento interrotto del delirio.
»Perchè rossa di sangue è la tua spada? …
Edvardo, Edvardo?«
DOUGLAS si volge atterrito e guarda Margherita.
Giusto Dio! qual voce
Vitrea, Milord? Quella muta figura
Incomincia a cantar …
MAC-GREGOR con riso forzato.
Nessun pensiero
Ella vi dia. La pazza Margherita
Del castello è colei. Da mesi ed anni
Catalettica ell’è: con occhi immoti
Sta lunghe ore accosciata, e, come un sasso
Faria, se lingua avesse, a quando a quando
Si mette a canticchiar qualche sua vecchia
Canzon.
DOUGLAS.
Perchè tener quello spavento
Nel castel?
MAC-GREGOR piano.
Zitto! zitto! Ogni parola
Ella intende. Cacciata io ne l’avrei
Da lungo tempo … ma non oso …
MARIA.
In pace,
Via! lasciate la povera, la buona
Margherita, e più tosto ci narrate,
Dugla, alcun che di novo. In qual maniera
Vivesi a Londra? A noi, qui nella Scozia,
Nulla ne giunge.
DOUGLAS.
È sempre il vecchio andazzo.
Vi si corre a cavallo ed in calesse,
Un premere, un calcar per ogni via;
Di giorno vi si dorme, e della notte
Vi si fa giorno; e sale all’uso aperte
De‘ lottatori; e quel non mai sospeso
Succedersi di crocchî e di banchetti.
Drurilàn, Coventgarda han sempre folla
Di spettatori, e l’opera vi romba.
Note di banca d’una lira, in cambio
Di note musicali; e: »Dio – vi s’urla –
Salvi il Re!« Nelle mèscite più buje
Stanno politicando i patriotti,
Soscrivono, scommettono, bestemmiano,
Sbadigliano, e fan molle il gorgozzule
Alla prosperità dell’Inghilterra.
Fumano le bistecche ed i bodini,
La birra spuma, il cerretan ti scrive
Il suo recipe, e ghigna: i borsajoli
Ti si stringono a‘ panni; i truffatori
Con loro uggiose cortesie, molesti;
Molesto l’accatton co‘ suoi lamenti,
Col suo misero aspetto; e d’ogni cosa
Molesto più lo stolido costume
Dell’abbigliarsi: quella stretta giubba,
Quel solino stecchito e quel cappello
Che par la torre di Babel.
MAC-GREGOR.
Sia lode
Al mio sajo scozzese e al mio berretto.
Voi ben faceste a scuotervi di dosso
Que‘ vestiti da matto. Un Dugla, o conte,
Esser debbe di fuor come di dentro
Vero scozzese; e l’animo mi gode
Oggi che tutti voi nel caro io veggo
Patrio costume.
MARIA.
Del vïaggio vostro
Diteci.
DOUGLAS.
In carro io giunsi ove la Scozia
Comincia; ma l’andar pareami lento,
Tanto che in Oldiburgo io m’acconciai
Con un cavallo. All’animal gli sproni
Feci sentir, ma pungere lo sprone
D’amor sentìa me pure. Io non avea
Pensiero che di voi. Talchè per selve,
Per monti e per pianure il mio cavallo
Colla prestezza dello stral mi trasse.
Cavalcando così ne‘ miei pensieri
Pel bosco d’Invernè, mancò ben poco
Che mal non m’incogliesse. A un tratto i fischî
D’alcune palle che presso gli orecchî
Mi strisciâr, dal mio sogno uscir mi fêro.
Tre ladroni di strada a me fur sopra.
Appiccossi la zuffa, e come pioggia
Cadean colpi su colpi. Io ben difesi
La pelle mia; ma pure avrei dovuto
Soccombere … Dio buono! impallidisce
Maria! … vacilla … cade!
Margherita balza in piedi e sostiene nelle sue braccia Maria che sviene.
MARGHERITA.
Oh la mia bimba,
Guancia di rosa! è bianca come un lino,
Fredda come una pietra. O Dio!
Parte cantando e parte parlando, mentre accarezza Maria.
Apri, piccina,
Bambola mia,
Gli occhietti cari.
Non vo‘, bambina,
Che fredda al pari
D’un marmo sia …
Rose, amor mio,
Su le tue gote
Pallide, immote
Versar vogl’io …
MAC-GREGOR.
Finisci,
Femmina sciagurata! e non t’avvedi
Come più le scompigli il capo infermo
Con quel tuo vaniloquio?
MARGHERITA minacciandolo col dito.
E tu mi sgridi?
Tu? … Le tue mani lava pria, le rosse
Tue mani, e non lordar la bianca veste
Di sposa alla mia bimba. Io tel consiglio.
Va! dico, va!
MAC-GREGOR in angustia.
Farnetica la vecchia!
MARGHERITA canta.
»Apri, piccina,
Gli occhietti cari …«
MARIA torna in sè e si appoggia a Margherita.
Or ben! come finì? Seguite … ascolto.
DOUGLAS.
Duolmi, che il mio racconto … Udite adunque!
Un altro cavaliero a briglia sciolta
Sopravvenne improvviso, e que‘ ladroni
Alle spalle assalì menando il ferro
Con grande vigorìa. Ripresi allora
Animo io stesso, mi sentii la mano
Più libera alla pugna, e i tre ladroni
Mettemmo in fuga. Al mio soccorritore
Render volli mercè; ma: »Non ho tempo,«
Gridommi, e spronò via.
MARIA sorridendo.
Diam grazie al cielo!
Provai non poca ambascia: or rinfrancata
Mi sento. Rita! guidami. Le amiche
Stanno aspettando nella sala.
MARGHERITA. angosciata a Mac-Gregor.
Oh meco
Corrucciarti non dêi! Non sempre è pazza,
No, la povera Rita.
MAC-GREGOR.
Andate! in breve
Noi pur vi seguiremo.
Maria e Margherita escono.
Scena II.
Mac-Gregor e Douglas.
DOUGLAS.
Io n’ho stupore!
A svenir così facile è Maria?
Molto oppressa è quest’oggi. Imbianca, trema
Al più lieve rumor.
MAC-GREGOR.
Tenervi, o Dugla,
Io non voglio e non posso ancor segreto
Ciò che l’anima tanto alla mia figlia
Oggi commove; e chieggovi perdono
Se vel tacqui finora. Alla follìa
Voi spingete il coraggio; e il grave rischio,
Ch’io prudente stornai dal vostro capo,
Cerco voi stesso avreste, e senza posa
Inseguìto quell’uom che di Maria
Turbò la pace.
DOUGLAS.
E chi turbare osava
La pace di Maria? Milord, parlate!
MAC-GREGOR.
Con animo tranquillo il luttuoso
Racconto udite. – Il sesto anno già corre
Che nel nostro castello uno studente
Pellegrino arrivò. Venía costui
D’Edimburgo, e chiamavasi Guglielmo
Ratcliff. Io conosciuto un tempo avea,
– E ben, ben conosciuto! – il padre suo,
Di nome Edvardo; e quindi accolsi il figlio
Ospitalmente, e di tetto e di mensa
Per un quindici dì gli fui cortese.
Egli vide mia figlia e troppo addentro
Negli occhi la fissò; poi die‘ principio
Ai sospiri, ai languori, alle querele,
Tanto che la fanciulla aperto e netto
Comprendere gli fe‘ che l’era uggioso.
Chiusi fiasco ed amor nella valigia,
Egli se ne partì. Passaro intanto
Anni due da quel giorno, allor che venne
Nel mio castel Filippo Macdonaldo,
Conte d’Aís; mi chiese, e con fortuna,
La mano di Maria. Sei lune appena
Trascorse, in nuzïale abbigliamento
Stava a pie‘ dell’altar la cara sposa.
Ma lo sposo mancava! In ogni dove,
Nelle camere tutte e ne‘ cortili
E nelle stalle e nel giardin richiesta
Dell’assente facemmo … A‘ piè del Negro
Sasso trovammo alfin la morta salma
Di Macdonaldo!
DOUGLAS.
Ucciso! … E da qual mano?
MAC-GREGOR.
Ogni indagine nostra andò delusa!
Finalmente svelò la mia fanciulla
Che l’omicida conoscea: si fece
A raccontarne allor come Guglielmo,
La notte succeduta a quel misfatto,
Nella camera sua precipitoso
Ed improvviso entrasse, e sorridendo
Le mostrasse la man, vermiglia ancora
Del sangue dello sposo, e con gentile
Chinar di capo il nuzïale anello
Del trafitto le desse.
DOUGLAS.
Oh infamia! oh scherno!
E voi … voi che faceste?
MAC-GREGOR.
Al suo castello
Portar feci l’ucciso, e nel sepolcro
De‘ suoi padri deporre; indi una croce,
A ricordo perpetüo, nel loco
Del misfatto piantai; ma cerco ho invano
L’assassino Ratcliff; fu visto in Londra,
L‘ ultima volta, ove, morta la madre,
Sciupò tutto in bagordi il suo retaggio;
Poi di gioco, di presti, e, fin – lo intesi
Da parecchi asserir – di ladroneggi,
Vita infame condusse a mo‘ d’infame
Cavalier di rapina. – Era il secondo
Anno su quel delitto omai trascorso,
E l’ucciso non men che l’uccisore
Quasi posto in oblìo, quando al castello
Lord Duncano arrivò: mi fe‘ dimanda
Della fanciulla; consentii, nè cosa
Difficile mi fu, che consentisse
Ella pure a legarsi ad uom disceso
Da‘ nostri antichi re. Ma … sventurati
Noi! già stava all’altar festosamente
Abbigliata Maria, non senza un vago
Turbamento … e Duncan giacea trafitto
Sul Negro Sasso!
DOUGLAS.
Io raccapriccio!
MAC-GREGOR.
A‘ servi,
»Su – gridai – tutti in sella!« E per tre giorni
Boschi, valli, campagne, antri, foreste,
Noi corremmo, lustrammo, e indarno sempre:
Orma dell’assassino in nessun loco.
Se non che nella stessa infausta notte
Di quel dì sanguinoso, ardìa Guglielmo
Di novo penetrar nella segreta
Camera di mia figlia, e presentarle,
Con un riso beffardo ed un saluto
Gentil, l’anello nuzïal che dato
A Duncano ella avea.
DOUGLAS.
Per Dio, quest’uomo
M’è d’un’audacia singolar! Trovarlo
Vorrei.
MAC-GREGOR.
Fu l’uomo istesso, io l’ho per fermo,
In cui nel bosco d’Invernè vi siete,
Dugla, scontrato. Che nessun de‘ miei
Sagaci esploratori abbia veduto
Colui, stupor mi prende. Io molta cura
Data, o conte, mi son, perchè non debba,
Come gli altri, scolpir sopra una croce
A quel sasso fatale il nome vostro.
Parte.
Scena III.
DOUGLAS solo.
Vecchia volpe è quest’uom! Fin dopo l’ora
Delle nozze mel tacque … e fu prudente!
Nondimeno io vorrei con quel protervo,
Enfiato di rancor, che turba i sonni
Di Maria, misurarmi. Oh no! dal dito
L’anel non mi torrà, perchè la mano
Sta pur col dito mio. Maria non amo,
Nè da lei sono amato, ed ha composto
Mera convenïenza il nostro nodo.
Ma di cor sono amico a questa dolce
Creatura, e da spine il suo cammino
Sgombrar desìo.
Scena IV.
Douglas e Lesley.
LESLEY imbacuccato, guardandosi sospettoso d’attorno, si avanza.
Non siete il conte Dugla
Voi?
DOUGLAS.
Per lo appunto. Che volete?
LESLEY gli porge un foglio.
Il foglio
Gentil dunque è per voi.
DOUGLAS dopo aver letto.
Sì! sì! ch’io vengo
Rapportategli pure. Al Negro Sasso!
Partono tutt’e due.
Fine del Quadro primo.
Quadro secondo
Taverna di Ladri
Nel fondo, uomini sdrajati che dormono. Una imagine sacra pende dalla parete. Batte un oriuolo. Crepuscolo vespertino.
Scena prima.
Guglielmo Ratcliff siede meditando in un canto; l’oste Tom in un altro, tenendosi fra‘ ginocchî il suo fanciullo Willie.
TOM piano.
Willì, sai recitarmi il paternostro?
WILLIE ridendo e forte.
L’ho sulla punta delle dita!
TOM.
A bassa
Voce! o mi svegli quella gente, morta
Di fatica.
WILLIE.
Or disciogliere la lingua
Posso?
TOM.
Di‘ su! ma senza furia.
WILLIE.
Padre
Nostro, che sei nel ciel, santificato
Sia per sempre il tuo nome. Avvenga il regno
Tuo; come in cielo il tuo voler s’adempia
Qui sulla terra; il pan quotidiano
Oggi ne dà; ci libera da‘ nostri
Debiti, come noi ne liberiamo
I nostri debitori, e non lasciarci …
Balbetta.
Lasciarci …
TOM.
O che! balbetti? E non lasciarci
Tentar dal male! Ricomincia!
WILLIE tien gli occhi sempre fissi in Guglielmo Ratcliff, e parla agitato ed incerto.
Padre
Nostro, che sei nel ciel, santificato
Sia per sempre il tuo nome. Avvenga il regno
Tuo; come in cielo il tuo voler s’adempia
Qui sulla terra; il pan quotidiano
Oggi ne dà; ci libera da‘ nostri
Debiti, come noi ne liberiamo
I nostri debitori, e non lasciarci …
Balbetta di nuovo.
Non lasciarci …
TOM aspro.
Tentar! tentar dal male!
WILLIE piange.
Babbo mio! Sempre sempre dalla bocca
Come l’acqua mi scorre … Oh, ma colui
Là …
Accenna Guglielmo Ratcliff.
con occhi sinistri ognor mi guarda!
TOM minaccioso.
Questa sera, Willì, tu non hai pesce:
E se mai dalla cassa un’altra volta,
Bada! men ruberai …
WILLIE piangendo e con tono di recita.
Tentar dal male …
RATCLIFF.
Smetti, e lascialo in pace. Anch’io quel passo:
Non lasciarci tentar!
In aria dolorosa.
Mai, mai nel capo
Ritener non potei.
TOM.
Sarei dolente
Se qual voi siete e quai sono coloro
Mostra quelli che dormono.
Diventasse, un bel giorno, il figlio mio.
Or vattene, Willì!
WILLIE si allontana piangendo e mormorando fra‘ denti.
Tentar dal male
Non lasciarci …
Scena II.
Ratcliff e Tom.
RATCLIFF sorride.
Che intendere voleste?
TOM.
Ch’egli sia buono e cristïano intendo;
Intendo che non sia, com’è suo padre,
Un capestro da forca.
RATCLIFF con ischerno.
Ancor non sei
Tanto birbo.
TOM.
Or non son che un animale
Mansueto, un ostiere, un zaffabirra.
E perchè la mia piccola casetta
Ben tappata è nel bosco, ha l’uscio aperto
Solo a‘ grandi signori e pari vostri,
Che vogliono serbar gelosamente
L’incognito, dormir di giorno chiaro,
E di notte vegliar. Non do col bujo,
Quartier, lo do col sole. Anch’io, già tempo,
Godea di girellare al fioco lume
Della luna,
Fa un moto colle dita.
e frugar nelle altrui case,
Nelle altrui tasche; tuttavia non tanto
All’impazzata come fan coloro.
Addita gli addormentati.
Guardate un tratto quel capo di volpe;
Un genio è il mariuol! nata, incarnata
Per le pezzuole altrui gli s’è la frega.
Ladron quanto una gazza, e … guarda, guarda
Come uncina le dita anche nel sonno!
Fin sognando egli ruba … oh ve‘! sogghigna
Tutto felice … Quel lungo figuro
Laggiù dai magri stinchi di locusta,
Sartor già fu: brandelli in pria raspava;
Presto dopo gheroni, e finalmente
Pezze intere di panno. Al laccio, un giorno,
Per prodigio scappò; sol che le gambe
Da quel dì gli tentennano. Mirate
Come springa co‘ piedi! Io metto pegno
Che sognando egli va, pari a Giacobbe,
Una scala a piuoli. A quel paffuto
Vecchio Robin drizzate ora lo sguardo:
Dorme e russa quieto, ed, oh! già dieci
Omicidî sull’anima gli stanno;
E cattolico almen, qual siamo noi,
Fosse il vecchio Robin, sì che potesse
Venirne assolto; eretico è il ribaldo!
E, pur troppo, bruciar, dopo impiccato,
Nell’inferno dovrà.
RATCLIFF.
Inquieto, passeggia di su, di giù per la stanza, e non cessa di guardar l’oriuolo.
No, Tom! quel vecchio
Robin non brucierà, te lo assicuro.
Ben diverso giurì che in Inghilterra
V’è nel mondo di là. Robino è un uomo;
E la bile s’appicca all’uom che vede
Come le miserabili animelle
Di tanti perdigiorno in abbondanza
Stragrande si diguazzino: di seta,
Di velluto han le vesti, ostriche ghiotte
S’ingojano, ed affogano le gole
Nello Sciampagna, o bando al tedio loro
Dan fra le coltri del dottor Graàmo,
Strepitar fan le vie correndo in carri
Dorati, e burbanzosi abbassan gli occhi
Al povero affamato che si striscia
Lento fra quella furia e sospiroso
Al monte di pietà colla camicia
Ultima sotto il braccio.
Ride amaramente.
Oh li mirate
Questi cauti pasciuti! li mirate
Come schermo si fan d’un baluardo
Di leggi per respingere gl’impronti,
A cui gli strazî del ventre digiuno
Strappano grida disperate! E guai,
Guai, se quel baluardo un ne travarca!
Pronti i giudici son, la scure, il laccio,
Il carnefice … Or ben! si danno audaci,
Cui terror ciò non desta.
TOM.
Un giorno anch’io
Pensava a modo vostro. In due gran classi,
Che si fan guerra con furor selvaggio,
Gli uomini tutti dividea: nell’una
I satolli, e nell’altra gli affamati;
E dacchè coi digiuni io facea parte,
A volte di lottar con quei satolli
D’uopo mi fu; se non che impàri troppo
Questa lotta trovai, per ciò bel bello
Dal mestier mi ritraggo. Io sono stanco
Dell’andar vagabondo e senza tetto,
Del fuggir gli occhi tutti e fin la luce,
Del volgermi tremando ad ogni forca
Che mi appaja per via, quasi io dovessi
Penzolarvi, e d’ergastoli e di bagni,
E del filar continüo la lana
Sognare ognor. Per Dio, che una tal vita,
Una vita è da cane! e poi vedersi
Come fiere per campi e per foreste
Cacciati, e in ogni pianta uno scherano
Temer; tremar, sebben chiusi, appiattati
Nelle proprie pareti, ognor che s’apra
L’uscio …
Scena III.
Lesley entra in fretta. Ratcliff gli corre incontro. Tom dà indietro spaventato col grido di: »Gesù.«
LESLEY.
Egli viene! egli viene!
RATCLIFF.
Vien’egli? …
Sta ben.
TOM in angustia.
Chi mai? … Terror da qualche tempo
Tutto mi dà.
LESLEY a Tom.
Ti calma, ed or ci lascia
Soli.
TOM con aria accorta.
Comprendo io sì! Partir fra voi
Qualche cosa dovete.
Parte.
Scena IV.
Ratcliff e Lesley.
RATCLIFF.
Il Dugla viene?
Dunque me n’esco.
Prende cappello e spada.
LESLEY trattenendolo.
Oibò! ten guarda. È d’uopo
Pria, che meglio s’abbui. Tu da‘ famigli
Di Mac-Gregorio sei spïato; ai bimbi
Noto è il tuo volto, così ben dipinto
T’hanno … Ma dimmi, a che mai questo gioco?
Rischî, che non ti fruttano, qui cerchi.
Torna a Londra con me, là sei sicuro.
Via dal tristo paese, ove san tutti
Che tu sei l’assassin di Macdonaldo
E di Duncano!
RATCLIFF con dignitosa alterezza.
L’assassin? Menzogna!
Duncano e Macdonaldo in un duello
Caddero. Io combattei con tutt’onore,
E con onor combattere disegno
Pure col Dugla.
LESLEY.
Agevolar la cosa
Meglio ti dêi. L’italian conosci …
Fa un gesto da brigante.
Dimmi almen: questo Dugla ove d’intoppo
Ti fu? che mai t’ha fatto? e qual radice
Ha la tua bile, il tuo rancor?
RATCLIFF.
Nè il vidi,
Nè parlato gli ho mai; nessun oltraggio
Mi fece, ed io non l’odio.
LESLEY.
E pur tu vuoi
Dargli lo spaccio? Il senno hai tu perduto?
O perduto l’ho io, dacchè strumento
Mi ti son fatto in così pazza impresa?
RATCLIFF.
Tristo a te, tristo a te, se in tali cose
Penetrar tu potessi! e sciagurata
La fodera del tuo poco cervello!
Scoppiar la ti dovrebbe, e far dal rotto
La follìa capolino. Al par d’un guscio
D’ovo potria quel tuo povero capo
Rompersi, e fosse ancor qual è la vasta
Cupola di San Paolo.
LESLEY si tocca con angoscia beffarda la fronte.
Oh mi spaventi!
Meglio tu taccia.
RATCLIFF.
Un lunatico eroe
Non mi devi suppor, nè un cacciatore
D’ombre, che per la notte e per l’inferno
Aïzzi il suo fantastico segugio:
O un malaticcio, tisico, stremato
Pöetin che cogli astri e colla luna
Amoreggi, e si prenda un mal di ventre
Per troppa emozïon, se il trillo ascolti
Dell’usignuol, se de‘ proprî sospiri
Si fabbrichi una scala, e col capestro
Di rime imbavagliate alla colonna
Della sua gloria alfin sè stesso impicchi.
LESLEY.
Affermar tutto ciò con giuramento
Al bisogno io potrei.
RATCLIFF.
Pur ti confesso –
E ch’io motteggi ti parrà – vi sono
Strane orribili posse, a cui soggiaccio;
Buje virtù, che guida a‘ miei voleri
Si fan, che sprone ad ogni opra mi sono,
Che reggono il mio braccio, e di terrore
M’ingombrâr fin da‘ primi anni la mente. –
Quando, fanciullo ancora, a qualche spasso,
Da me solo, io mi dava, innanzi agli occhi
Talora io mi vedea due nebulosi
Spettri, che l’uno all’altro, in un trasporto
D’amor, come anelassero accostarsi,
Le lunghe si tendeano aeree braccia;
Nè lo potendo, dolorosamente
Si stavano a guardar. Comunque fosse
Nebbia vuota, fugace il loro aspetto,
Nell’uno tuttavia sembianze altere
D’uomo io scorgea, contratte, a chiuso sdegno,
E pia, soave femminil bellezza
Nell’altro. Anche nel sonno i due fantasmi
M’apparvero talvolta e più distinti.
Di dolore atteggiato in me fissava
L’uomo le ciglia, e con amor la donna.
Nel tempo tuttavia che in Edimburgo
M’ebber le scole, mi si fêr più rare
Tali apparenze, e il mio torbido sogno
Nel vortice sparì di quella vita
Scapestrata. Per caso io qui ne venni
In un tempo di ferie, e Mac-Gregorio
Nel suo castello m’ospitò. Maria
Vidi! Un subito lampo al primo sguardo
Di quella giovinetta in cor mi scese.
Era assomiglio dell’aerea donna,
Era il bello, era il muto, era il soave
Volto d’amor che in sogno mi sorrise
Tante fïate; e sol pallida meno
La guancia di Maria, sol meno immota
La pupilla. Sul viso avea le rose,
Il baleno negli occhi. In quella cara
Creatura ogni grazia incantatrice
Parea scesa dal cielo, e bella tanto
Certo non fu la Vergine beata,
Di nome a lei sorella … Io, d’una febbre
Amorosa infiammato, aprii le braccia
Per serrarmela al cor …
Pausa.
Come avvenisse
Non so. La mia persona in uno specchio
Vidi riflessa … Er’io quel nebuloso
Uom che tendea con tal desío le mani
A quella donna nebulosa! Un mero
Sogno fu quello? non più che un inganno
Di calda fantasia? Tenera tanto,
Tanto accesa d’amore a me si volse
In quel punto Maria, che gli occhi nostri
Si confusero insiem coi nostri cuori …
Oh Dio! … soltanto allor l’antico, oscuro
Mistero si svelò della mia vita.
Il canto degli augelli e l’idïoma
De‘ fiori allor compresi, allor degli astri
L’amoroso saluto, il mormorío
Del fonte, l’asolar del venticello,
E del mio petto i segreti sospiri …
Tutto, tutto io compresi! E, quasi allegri
Fanciulli, insieme godevamo, insieme
Giocavam. N’era svago uno dell’altro
Cercar, poi nel giardino alfin trovarci;
Delle rose m’offria, delle mortelle,
M’offria de‘ suoi capelli, e cari baci …
Baci che a cento doppî a lei rendea.
Fin che a‘ piedi io le caddi, e: – Di‘, Maria!
M’ami tu? – supplicai.
Cade in delirio.
LESLEY.
Come veduto
Volentieri io t’avrei di quelle pugna
Nerborute a far croce in atto pio
Di supplicante, a stemperar que‘ fieri
Fulminei sguardi in un molle languore
Sentimentale, a imprimere un affetto
Tenero, dolce al suon di quella voce
Che per le vie maestre orrenda tuona
Nell’orecchio de‘ ricchi!
RATCLIFF prorompe con ferocia.
Ah maladetta
Serpe! Con occhi impauriti, strani,
E quasi repugnante, a me si volse,
E con beffardo inchino e con parola
Di gel: – No! – mi rispose. Ancor lo sento
Quel – No! – dietro di me! Lo sento ancora
Quel – No! No! – derisor sul capo mio …
E così strepitando, a me si chiuse,
Ahi! la porta del cielo.
LESLEY.
Infame beffa
Quella fu!
RATCLIFF.
Dal castel di Mac-Gregorio
Per Londra in via mi posi, ov’io sperava
Stordir nella marea dell’agitata
Metropoli il dolore, ond’era oppresso.
Giacchè, pria che notizia io pur ne avessi,
M’eran morti i parenti. Oh, l’insensato
Proponimento a tristo, a tristo effetto
M’uscì! Nulla di ben, nè il vin di Porto,
Nè lo Sciampagna mi fruttâr; più mesto
Ad ogni libagione io mi sentía.
Non potean brune o bionde il mio cordoglio
Cacciar co‘ vezzi loro. Anche la pace
Nel faraone non trovai! Sul verde
Tappeto errava di Maria lo sguardo;
La bianca mano di Maria piegarmi
I pàroli io scorgea; fin nella dama
Di cuori – in quello sgorbio di figura! –
Le sue care io vedea, le sue celesti
Sembianze; e sottil carta essa non era;
Era Maria, Maria! Del suo respiro
Movea l’aura a ferirmi. Ella accennava
Col capo, ella assentía … – Va‘ banco! – E l’oro
Via portossi il dimon … l’amor rimase!
LESLEY ride.
Ah! ah! così cavato hai dalla stalla
Il tuo picciol ronzino, e il vol prendesti
Come ben si conviene a‘ cavalieri
Scozzesi; e, come gli avi, a tasche vuote
Vissuto sei. L’amor, senz’alcun fallo,
Se n’è andato or da te; però che giova
A rinsavir lo scorrere di notte,
Con vento e pioggia, e tirar via se incontri
Forche, se penzolarvi un caro amico
Vedi che sgambettando ti saluta.
RATCLIFF.
Olio piovve sul foco, e in me la febbre
Per Maria divampò più che mai fiera.
L’Inghilterra talvolta a me parea
Troppo angusto confine, e quella rabbia
D’amor con ferrea non visibil mano
Qui di novo mi trasse, e qui potei,
Sol qui presso a Maria, trovare il sonno.
Or libero io respiro, or tanto oppresso,
Dall’angoscia non sono, e provo un senso
Di bene … Io t’apro il mio segreto. Ascolta!
Per Dio giurai, per le posse del cielo
E dell’inferno, e posi al giuramento
Il suggel d’una orribile bestemmia:
– Cadrà sotto il mio ferro ogni uom che osasse
Fidanzarsi a Maria. – Segreta voce
In me l’ha proferito, e cieco io seguo
Di questa oscura possa il cenno arcano.
Possa che meco pugna allor che al Negro
Sasso apparecchio un talamo di rose
Per gli sponsali di Maria.
LESLEY.
Ti scendo
Ora alfin nel pensier, ma non t’approvo.
RATCLIFF.
Forse io stesso m’approvo? Ah, quella voce,
Quella sola in me scesa, estrania voce,
– Sì – mi dice nel cor! quell’ombre sole
Che veggo in sogno, con cenni del capo
M’approvano …
Manda un grido.
Gran Dio! … Là! là … Non vedi?
Tenebre. Due figure nuvolose attraversano la scena e spariscono. I masnadieri e i mariuoli sdrajati nel fondo, desti a quel grido, balzano in piedi e gridano: »Che v’è? che v’è?«
Là! là! quelle figure?
LESLEY.
O che, Guglielmo?
Qual diavolo ti tocca? Io nulla veggo.
Scena V.
Ratcliff, Lesley, Robin, Dick, John e Taddie.
DICK.
Che mai vede colui? gli sgherri forse?
LESLEY.
Tutt’altro. Spirti!
Tutti ridono.
ROBIN incollerito.
Mi castighi Iddio!
Non un poco di requie anche di giorno.
RATCLIFF.
Fa notte; andar vogl’io.
Esce dalla taverna.
LESLEY.
Mi ti accompagno.
RATCLIFF.
Noi soffro.
LESLEY.
Oh, fino almanco al Negro Sasso!
Guardie forse là stanno.
RATCLIFF.
Or la paura
Ve le dilunga; il loco è pien di spettri
Quando vien notte.
LESLEY.
Addio, signori!
RATCLIFF.
Addio!
TUTTI.
Che il ciel vi benedica.
Ratcliff e Lesley partono.
Scena VI.
I Precedenti, senza Ratcliff e Lesley.
ROBIN.
Essere io possa
Dannato, se brïaco o fuor di senno
Non è.
DICK.
Fu sempre tale. Io lo conosco
Fin da Londra. Veduto io l’ho sovente
Nella taverna di Rascal. Solea
Con ciglia corrugate e senza moto,
Senza voce, stecchito in faccia al lume
Star lungh’ore in un canto; a volte poi
Da costo ci sedea con aria lieta,
Ridente; senonchè non avea modo
Quel riso suo. Fandonie a noi narrava,
Però bieche di troppo; e gajo egli era,
E sghignazzava; ma d’un tratto il labbro
Superïor, contratto a fiero scherno,
Cominciava a tremargli, e fuor del petto
Sfuggiagli un urlo doloroso, e: – Gianni!
– In gran furia chiamava – il mio cavallo! –
E via via, come in groppa a Satanasso;
Nè tornavane a noi che dopo mesi
Molti d’assenza. Che la via di Scozia,
Notte e dì cavalcando, egli prendesse,
Si buccinava.
BELL.
Infermo egli è pur troppo!
DICK.
Che me ne cale? Addio.
Partendo.
Tempo è d’andarne
Al lavor.
Pregando innanzi alla sacra imagine.
Tu soccorrimi ne‘ rischî,
Benedicimi tu!
Egli ed altri parecchî partono.
ROBIN accostando il suo pugno alla faccia.
Tu, tu, mio santo
Tutelar, mi soccorri.
Parte.
Scena VII.
Due mariuoli stanno dormendo. Tom, l’ostiere, entra chiotto chiotto e ruba loro il denaro dalle tasche.
TOM in aria furbesca.
Ardir non hanno
D’accusarmi al Giudizio.
Parte.
Scena VIII.
John e Taddie.
JOHN sbadigliando.
È pure il sonno
Una stupenda invenzïon!
TADDIE sbadigliando anch’egli.
Vien meco
Ad asciolvere, o John,
JOHN.
Perchè? V’han nuove?
TADDIE.
Rissel, l’amico nostro, oggi di certo
Calci al vento darà.
JOHN.
Ben è dannata
Invenzïon la forca!
I due mariuoli partono.
Fine del Quadro secondo.
Quadro terzo
Luogo selvaggio presso il negro sasso.
Notte. A sinistra, roccie fantastiche e tronchi d‘ alberi. A destra un monumento in forma di croce. Sibili di vento. Si veggono due bianche figure di nebbia, che l’una e l’altra si tendono con vivo affetto le braccia senza potersi accostare, e da ultimo spariscono.
Scena prima.
Ratcliff entra in iscena.
RATCLIFF solo.
Oh, come il vento
Fischia! I suoi pifferai mandò l’inferno
Tutti qui; fan la musica costoro.
Nel suo vasto mantel la luna è chiusa,
Ed a pena ne scuote e giù ne invía
Qualche morto baglior. Sì, sì, potrebbe,
Quanto a me, starne chiusa, annuvolarsi
Del tutto. Alcun mestiero alla valanga
Non è d’una lucerna, affinchè vegga
In qual parte scoscendere; la via,
Per accostar la calamita, il ferro
Conosce, e segno milïare al brando
Provato di Ratcliff non abbisogna
Perchè trovi il cammin che lo conduca
Dritto al petto di Dugla. – E quel Contino
Qui poi verranne? o il turbine e il timore
Di tossi, di corizze e infreddature
Terrallo indietro? O forse: »Io vo‘ l’andata
Differire – egli pensa – all’altra notte?«
Ah! ah! di questa notte appunto ho d’uopo.
E se mai qui non vien, cercarlo io stesso
Ben saprò, ben saprò là nel castello
Di Mac-Gregorio.
Batte l’impugnatura della spada.
Accesso ad ogni stanza
Apre a me questa chiave; e queste amiche
Mi difendono il dorso.
Mette le mani sulle pistole della cintura, ne leva una e la contempla.
Oh, come onesta
Ella mi guarda! Volentier vorrei
Raccostar la mia bocca a questa sua,
Poi premere … Qual ben non mi verrebbe
Dal suo bacio di foco! Al mio tormento
Darei fine così.
Pensa.
Ma forse il Dugla
In questo punto, in simil guisa, appressa
La bocca a quella di Maria … sì certo! …
No! non debbo morir, perchè costretto
A sorgere ogni notte allor sarei,
Ombra impossente, dalla fossa; e, pari
Ad un allocco, col muso lascivo
D’un bòtolo annusar, serrando i denti,
Le belle membra di Maria. Non debbo
Morir. N’andassi in cielo, e per gli strappi
Dello stellato padiglion, lo sguardo
Giù, per caso, volgessi al maledetto
Talamo di color, vomiterei
Bestemmie orrende che farieno a‘ buoni
Angeli impallidir le rosee guancie,
E strozzar per angoscia in quelle gole
Le uggiose interminabili alleluje.
Ma poichè son dannato al foco eterno,
Un demone esser voglio, anzi che un frusto
Di miserando peccatore.
Scena II.
Ratcliff e Douglas.
RATCLIFF.
Il passo
D’un uom …
Alza la voce.
Chi si avvicina? … Olà! rispondi!
DOUGLAS.
Non m’è nuova la voce: è di quel prode,
Nobile cavalier, che, non ha guari,
Dall’ugne mi strappò de‘ masnadieri
Nel bosco d’Invernè.
Si fa presso.
Sì, sì, quel desso!
Or voi non mi sfuggite. Io per la vostra
Magnanima difesa obbligo grande
V’ho …
RATCLIFF.
Detti non sciupate a riferirmi
Mercè; per mero e semplice capriccio
V’ajutai. Tre vi stavano di contro;
Eran di troppo: un sol che stato fosse,
Viva Dio! che spronato il mio cavallo,
Muto, innanzi v’avrei.
DOUGLAS.
Non tanta asprezza;
Amistà sia fra noi.
RATCLIFF.
Come vi piace;
Ma per segno di questa, una preghiera
Esauditemi tosto.
DOUGLAS.
Anima e corpo
Vostro son io. Parlate!
RATCLIFF.
A questo loco,
Novello amico mio, senza un istante
Tardar, date le spalle …
Ridendo.
A men che Dugla
Detto non siate.
DOUGLAS stupito.
E tal, per Dio! son detto.
RATCLIFF.
Che? Dugla voi? Voi conte Dugla? Oh male,
Ridendo come sopra.
Male assai! Muore qui la nostra bella
Pur or nata amicizia. Il nome mio,
Signor conte … sappiatelo! il mio nome
È Guglielmo Ratcliff.
DOUGLAS mettendo fieramente mano alla spada.
Tu l’assassino
Di Macdonaldo e di Duncano?
RATCLIFF cava la spada.
Io stesso.
E per amor di compiere il trifoglio
Qui v’ho data la posta.
DOUGLAS gli si avventa.
Il capo tuo
Guarda, infame omicida.
Combattono.
RATCLIFF.
Affè, ne aggiusto
Quant’io più sappia … Ah! ah!
DOUGLAS.
Cessa il tuo riso
Diabolico.
RATCLIFF ridendo.
Non io; ridon que‘ bianchi
Fantasmi, che son là …
DOUGLAS.
Ridi a tuo senno.
Spirti di Macdonaldo e di Duncano,
Assistetemi voi!
RATCLIFF.
Demonio e inferno!
Ora il morto Duncan gli para i colpi …
Oh, con noi non mischiarti, abominato
Fantasma schermidor!
DOUGLAS ride.
Tien‘ questa!
RATCLIFF.
Inferno!
Tradigion! … Nella pugna, ecco, si mesce
Pur Macdonaldo! … È troppo! Uno assalito
Da tre!
Retrocede e intoppa nella base del monumento.
Morte e dimon! Caduto al suolo
Ratcliff! Su via, trafiggimi! Non hai
Maggior nemico sulla terra.
DOUGLAS freddo.
Il brando
Di Dugla oggi provaste. A voi, di fresco,
Debitor forse io fui della mia vita;
Debitor della vostra oggi mi siete;
Pari noi siam. Conoscermi or dovreste,
Penso, e la prova, io credo, esservi scola
Potria per migliorarvi il cor malvagio.
Parte contegnoso e superbo.
Scena III.
Ratcliff giace immobile a‘ piedi del monumento. Continua il vento a fischiare. Le due figure di nebbia si avvicinano con tese braccia, poi si separano e spariscono.
RATCLIFF lento e trasognato si leva.
Fu voce d’uom? fu sibilo di vento?
Mi ronzò negli orecchî una parola
Vuota, errante, fuggevole! … Non altro
Che delirio? che sogno? … Ove mi trovo?
E qual croce è mai questa? e che v’è scritto?
Legge l’inscrizione del monumento.
qui furo uccisi da perversa mano lord Macdonaldo e il conte di Duncano.
Si riscuote.
No! non è sogno! Io sono al Negro Sasso,
Vinto, irriso, sprezzato! Infami venti
Mi ghignano agli orecchî: – È qui l’uom forte,
L’animo invitto, gigantesco! è qui
Lo schernitor del popolo britanno,
Che di leggi si beffa! è qui l’audace
Che combatte col cielo … e non ha possa
D’impedir che si giaccia in questa notte
Dugla colla sua cara, e le racconti
Sorridendo in che modo il verme vile
Di Guglielmo Ratcliff, prosteso a terra,
Si torse e si contorse al Negro Sasso
Miseramente; nè il piede di Dugla,
Per non bruttarsi, lo calcò. –
Irrompe in furore.
Malnate
Malïarde! smettete il vostro riso
Spaventoso, e coll’indice maligno
Non mi schernite; sul lurido capo
Vo‘ le rupi scagliarvi, i pini io voglio
Svellere della Scozia, e i vostri scialbi
Omeri flagellar; vo‘ col mio calcio
Spremer dagli scarnati aridi corpi,
Maledetti dal cielo, il negro tosco.
Borea, scatena le tue furie, e il mondo
Struggi, dissolvi! Squarciati e mi schiaccia,
Immensa eterea vòlta! e tu m’ingoja
Ne‘ tuoi baratri, o terra! …
Tra feroce e commosso, cade in pensieri profondamente misteriosi.
Ombra esecrata,
Nebbia che mi persegui in forma d’uomo,
Non mi guardar con quegli occhi sbarrati!
Mi suggi il sangue con quegli occhi, in pietra
Rigida mi converti, onda gelata
Nelle bollenti viscere mi versi,
E trasformi me pure in un notturno
Spento fantasma … Quel loco m’accenni? …
Col tuo proteso vaporoso braccio
Tu mi accenni quel loco? E debbo io dunque? …
Maria? … Maria, la candida colomba? …
Sangue tu vuoi? … Chi parla? Olà! … Di vento
Soffio non fu. Rapirla io debbo? Inchini
La fronte tu? Sia! sia! Ferrea è la tempra
Del mio volere, e, più di quel divino,
Più di quello infernale, onnipossente.
Parte precipitoso.
Fine del Quadro terzo.
Quadro quarto
Castello di Mac-Gregor.
Camera illuminata. Nel mezzo, un gabinetto coperto da tende. Musica da ballo e risa di fanciulle in qualche distanza.
Scena prima.
Maria abbigliata da sposa e Margherita.
MARIA.
O buon Dio, quale angoscia!
MARGHERITA.
Il giustapetto
N‘ è la cagion. Vien qui, fanciulla mia,
Voglio spogliarti.
MARIA.
Oppresso ho il cor.
MARGHERITA.
Bell’uomo
Gli è pur quel conte Dugla!
MARIA si rasserena e sorride.
È tal; poi gajo,
Affabile … ed un uomo!
MARGHERITA.
Innamorata
Ne saría la mia bimba?
MARIA.
Innamorata?
Innamorata? Scioccheria! Non basta
Sapersi compatir?
MARGHERITA.
Però non sempre
Parlava ella così, quando Guglielmo …
MARIA le chiude la bocca.
Oh ti prego! ti prego! Il tristo nome
Non pronunciarmi. È notte, è tardi …
MARGHERITA.
Allora
N’era, sì! la mia bimba innamorata!
MARIA.
No! no! D’indole dolce e mansueta
Da prima egli parea; parea che noto
Mi fosse il volto suo; soave m’era
Il suon di quella voce, e ne venía
Quasi un senso di ben sulle mie guancie
Dal suo respiro; e gli occhi … oh come cari,
Come buoni, giocondi a me volgea!
Presa da subito raccapriccio.
Ma di colpo mutarmisi lo vidi
In uno spettro: attonito, soffuso
Del pallor d’un estinto, insanguinato,
E così furibondo, e minaccioso
Così, come trafiggermi volesse.
Quasi egual mi sembrava a quel fantasma
In volto d’uom che spesso io veggo in sogno
Tendermi le sue braccia, e tener fissi
Gli occhi in me lungamente, e con tal foga
D’amor, che tutta abbrividir mi sento,
Finch’io medesma, in vana aerea forma
Conversa, a lui le nebulose braccia
Apro e tendo così.
MARGHERITA.
Tu mi somigli
A tua povera madre; un nulla anch’essa
Impermalia, sebben come una micia,
Cotta, impazzita di Ratcliff.
MARIA.
La madre
Mia? …
MARGHERITA.
D’Edvardo Ratcliff, che di Guglielmo
Fu il padre. E bella, bella era tua madre,
E chiamata venía, per la sua grande
Beltà, la Bella-Elisa. Avea capelli
D’oro puro, avea mani d’alabastro,
Occhi … Edvardo il sapea s’erano belli,
Che, quanto è lungo il dì, li vagheggiava,
E i suoi per poco vi struggea. Nel canto
Era un vero usignuolo, e quando al foco
Canta.
»- Perchè rossa di sangue è la tua spada,
Edvardo? Edvardo?« – a cantar si mettea,
Non fiatava la cuoca, e ognor l’arrosto
Le si bruciava … Oh mai, mai non avesse
Imparata da me quella canzone!
Piange.
MARIA.
Narrami, Rita mia.
MARGHERITA.
La Bella-Elisa
Sola nella sua camera sedea,
E cantava:
Canta.
»- Perchè rossa di sangue
È la tua spada, Edvardo? Edvardo?« – In quella,
V’entrò d’un salto Edvardo, e scuro in faccia
Sul tono istesso la canzon riprese:
Canta.
Uccisa ho la mia cara! Oh, la mia cara
Era pur bella! – D’un tal raccapriccio
Fu colta allor la madre tua, che mai,
Mai più quell’infelice e fiero Edvardo
Veder non volle; e, a crescergli dispetto,
Mac-Gregorio sposò. La rabbia trasse
Di senno Edvardo, ed a mostrar che lieve
Eragli abbandonar la Bella-Elisa,
Per gusto disperato in sacro nodo
Si legò con Ginevra, una figliuola
Di lord Campello, e quel Guglielmo è figlio
D’unïon così pazza.
MARIA.
Oh sventurata
Madre mia!
MARGHERITA.
Ma d’un capo era tua madre
Ben caparbio e tenace. Intero un anno
Passò senza che mai d’Edvardo il nome
Sul labbro le suonasse. Allor che venne
L’altro ottobre però, nel giorno appunto
Che d’Edvardo, cred‘ io, portava il nome,
»- Rita! – come per caso ella mi chiese –
Non sai nulla d’Edvardo?« – »Io so che in moglie
Prese la figlia di Campel.« – »Ginevra
Campel? …« la Bella-Elisa allor proruppe,
E pallida in un tempo ed infiammata
Si fece, ed a versar più d’un’amara
Lagrima incominciò. Su‘ miei ginocchî
Teneati in quel momento, ed eri appena
Nel terzo mese, e a piangere tu pure,
Bimba mia, ti mettevi: ed io, che voglia
Mi sentía d’addolcir colle mie ciancie
Il pianto di tua madre, a raccontarle
Mi feci, che oblïar la Bella-Elisa
Edvardo non potea, che giorno e notte
Far la ronda al castel celatamente
Era veduto, e levar con affetto
Doloroso le braccia al suo balcone.
»Oh da tempo io lo so!« la Bella-Elisa
Rispose, ed affacciatasi di volo
Al balcon, verso Edvardo il braccio stese.
Ahi! quanto ella mal fece! In quell’istante
Mac-Gregorio ciò vide, il tuo geloso
Padre …
Interrompe atterrita.
MARIA.
Or ben! Non finisci?
MARGHERITA.
Ho già finito.
MARIA.
Segui, segui!
MARGHERITA angustiata.
Vicino al vecchio muro
Del castello, il mattin dell’altro giorno
Giacea privo di vita il sanguinoso
Corpo d’Edvardo.
MARIA.
E la povera madre?
MARGHERITA.
Morì per lo spavento il terzo giorno
Dopo il misfatto.
MARIA.
Orribile!
MARGHERITA con freddo, ironico vaniloquio.
Veduto,
Bambina, avessi tu cogli occhi proprî
Come Edvardo Ratcliff, là sotto il muro
Del castello, giacea! L’ho qui, qui viva
Sempre quella figura insanguinata!
E perchè consapevole son io
Di colui che l’uccise, e perchè dirlo
Non debbo ad uomo nato, e perchè folle
Sono … dormir non posso, e in ogni loco
Pallido, sanguinoso e con pupille
Sbarrate e acute come dardo, io veggo
Passarmi quell’Edvardo innanzi agli occhi
Taciturno, e coll’indice levato,
Pari a fantasma vagabondo …
Scena II.
I Precedenti, Guglielmo Ratcliff pallido, contraffatto, lordo di sangue, entra in iscena.
MARGHERITA manda un grido acuto.
O santa
Vergine, il morto Edvardo!
Si accoscia in un angolo della camera, e vi rimane irrigidita ed immobile.
MARIA mette anch’essa un grido.
Ah sciagurato!
L’anel di Dugla tu mi porti?
RATCLIFF ride amaramente.
È chiuso
Il torneo; degli anelli omai finita
La corsa. Io due ne vinsi, e non volendo
Lasciarsi il terzo dispiccar, riverso,
Sconfitto io caddi dal caval di legno.
MARIA con subita svolta in tono di fidanza e d’angoscia.
O Guglielmo! Guglielmo! insanguinato
Sei! … Vien‘ qui! Vo‘ bendar la tua ferita …
Lacera il velo bianco nuziale.
Cielo! ove son? … Cattivo tu! … Non sei
Guglielmo! … Edvardo sei! la Bella-Elisa
Son io … son io! … Quel tuo povero capo
È tutto sangue, e il mio tutto confuso!
Che mi faccia non so. Vien‘ qui, se cara
Tu m’hai; piega i ginocchî …
Vuol bendargli il capo ferito.
RATCLIFF cade a‘ suoi piedi, tenero e addolorato.
Un sogno è questo? …
Sono a‘ pie‘ di Maria? … No, voi non siete
Nebbia, piccioli piè, dalla delira
Mente creati, nè sparite al tocco
Della mia man.
MARIA cerca calmarlo e bendargli il capo ferito col velo.
Non moverti! S’aggruma
Il sangue alle tue bionde e belle chiome …
Via, sta tranquillo! Insanguini me pure
Movendoti così. Se cheto stai …
Sì, negli occhi io ti bacio.
Lo bacia.
RATCLIFF.
Oh questo bacio
Dagli occhi miei le tenebre dilegua!
Il sole or posso riveder … Maria! …
MARIA come uscita da un sogno.
Io Maria? Tu Guglielmo?
Si copre gli occhi.
O trista, o trista
Cosa!
Abbrividisce.
Va! fuggi! vola!
RATCLIFF balza in piedi e l’abbraccia.
Io non mi parto!
Maria, tu mi sei cara, a te Guglielmo
Non manco è caro.
Confidente.
In sogno a me sovente
L’hai detto; e noi ci somigliam, lo sai?
Guardati nello specchio!
L’avvicina ad uno specchio, e le fa osservare le due imagini riflesse.
I tuoi sembianti
Son più belli, più nobili, più puri
De‘ miei, ma non diversi. Abbiam sul labbro
L’orgoglio stesso, la stessa baldanza,
Su tutt’e due l’istabile proposto …
Pronuncia un detto, un detto sol!
MARIA cerca sciogliersi da lui.
Mi lascia!
Mi lascia!
RATCLIFF.
O che! non odi? Eguale il suono
Della voce abbiam noi, sol che di molto
È la tua più soave. Il cupo azzurro
Dell’occhio è in noi lo stesso, ancor che splenda
Più vivo il tuo. La man! …
Prende la sua mano e ne fa paragone colla propria.
Non vedi i solchi
Stessi?
Sgomentato.
T’affisa qui! corta è la via
Della vita in entrambi …
MARIA.
O deh, Guglielmo,
Lasciami, e fuggi quanto sai! Tra poco
Vengono …
RATCLIFF.
Sì, la fuga! Oh ben dicesti!
Vieni! fuggiam! Sellato è il mio corsiero,
Il più veloce della Scozia;
Cava la spada.
e n’apre
La mia spada il cammin. Balena, il vedi?
Ma qual voce! …
MARGHERITA canta vaneggiando.
»Perchè rossa di sangue
È la tua spada, Edvardo? Edvardo? … Uccisa
Ho la mia cara. Oh quanto era mai bella!«
Oh!
RATCLIFF.
Chi mai proferì la sanguinosa
Parola? Il gufo, che s’appicca al varco
Della finestra? o il vento che s’ingorga
Nel vuoto del camino? o quella strega
Accosciata nell’angolo? Fu quella,
Sì! di marmo ha le membra; oh ma dal petto
Fioco il canto le strilla! e mi comanda
Nell’eccesso del dolore.
Di svenar la mia cara … e far lo debbo.
MARIA.
Rotan feroci gli occhi tuoi; di fiamma
È il tuo respiro … delirar me pure
Tu fai … Lasciami! Oh lasciami, Guglielmo!
RATCLIFF.
Non opporti, cor mio; così soave
È la morte! Io ti guido a quella bella
Terra, che spesso sognavam. Maria,
Vieni con me!
MARIA sciogliendosi da lui.
Via! via! che non ti coglia
Dugla …
RATCLIFF in furore.
Nome esecrato! è la parola
Della morte! Nessun, fosse pur Dio,
Dee possederti. Tu se‘ mia …
In atto di trafiggerla.
MARIA fugge nel gabinetto coperto.
Guglielmo!
Uccidermi tu vuoi?
RATCLIFF la segue precipitoso nel gabinetto.
Mia, mia tu sei!
Odesi la voce di Maria: »Guglielmo! Soccorso! Guglielmo!«
MARGHERITA canta.
»Uccisa ho la mia cara! era pur bella
La mia cara. »Oh!
Le due nebbie in forma d’uomo appariscono da parti opposte; si arrestano all’ingresso del gabinetto, si tendono a vicenda le braccia, ed all’uscire di Ratcliff spariscono.
RATCLIFF balza fuori colla spada insanguinata.
T’arresta, e non fuggirmi,
Ombra di me medesmo! È tua quest’opra,
Bianco spettro notturno. Il sangue gronda
Dalla vuota tua man. Vieni, combatti
Meco, assassino di Maria! …
Scena III.
I Precedenti, Mac-Gregor entra impetuoso colla spada sguainata.
MAC-GREGOR.
Soccorso!
Udii gridar …
Vede Ratcliff.
Ribaldo! alfin ti trovo;
Tu, sicario aborrito e di mia pace
Turbator.
RATCLIFF con un fiero scoppio di riso.
Quel son io, ma tu non manco
Aborrito mi sei; non ne conosco
La cagion; pur ti aborro, e del tuo sangue
Tutto io mi struggo.
Si avventano l’uno sull’altro e combattono.
MAC-GREGOR.
Scellerato!
RATCLIFF.
Io rido.
Ride ferocemente.
MARGHERITA canta.
»Perchè rossa di sangue è la tua spada,
Edvardo? Edvardo?«
MAC-GREGOR cade a terra.
Maledetto canto!
Muore.
RATCLIFF esausto di forze.
Morta è la serpe velenosa. Un peso
Mi si leva dal cor. Già della pace
Le dolcezze pregusto. Or mia per sempre
È Maria! … Fine ha qui la mia giornata.
O Maria, vengo a te!
Entra nel gabinetto.
Son qui, soave
Maria!
Colpo d’arma da fuoco nel gabinetto.
Appariscono di nuovo i due fantasmi da parti opposte, si gettano in braccio con vivo trasporto l’uno dell’altro, si tengono strettamente allacciati, poi spariscono. Alte grida e voci confuse.
Scena ultima.
I Precedenti, Douglas, Ospiti e Servi entrano atterriti.
UN SERVO.
Dio! Dio! qua giace il signor nostro!
MOLTE VOCI.
Mac-Gregorio!
DOUGLAS.
Quel nobile signore!
Morto, ahi! morto sta qui! Si corra in traccia
Dell’uccisor, si chiudano le porte
Del castello!
MARGHERITA.
Levasi lenta con tutta la persona; si avvicina al cadavere di Mac-Gregor e parla come in delirio.
E così l’ucciso Edvardo,
Pallido insanguinato accanto al muro
Del castello giacea. Ferito a morte
Fu quel misero Edvardo dal geloso
Furor di Mac-Gregorio.
Piange.
Io del misfatto
Colpevole non sono: era a me noto
Soltanto; e qui costui
Addita il cadavere di Mac-Gregorio.
fu da Guglielmo
Tolto di vita: ed or Guglielmo istesso
Riposa e dorme con Maria … Silenzio!
Silenzio! e non turbiamo il lor quïeto
Riposo.
Si appressa in punta di piedi al varco del gabinetto ed alza la cortina. Si veggono i cadaveri di Guglielmo e di Maria.
TUTTI.
Orribil vista!
MARGHERITA lieta e sorridente.
Hanno sembianza,
Quasi, d’Edvardo e de la Bella-Elisa.
Fine.