Karl Heinrich Graun
Fetonte
Dramma per Musica
Libretto von Leopoldo De Villati
Uraufführung: 29.03.1750, Königliches Opernhaus, Berlin
ARGOMENTO.
Ècelebre nelle Favole la caduta di Fetonte. Costui che i Poeti finsero Figlio del Sole, e di Climène Ninfa del Mare, essendo stato insultato da Epafo Figlio di Giove, e d‘ Iside, quasi a torto vantasse la nobiltà di sua Nascita; per consiglio della Madre, andò a rirrovare il Sole suo Genitore, che, riconosciutolo per Figlio, giurò di accordarli qualunque grazia ei gli avrebbe domandato. Chiese il temerario Giovine di guidar per un giorno il Carro Solare; il che, non senza dispiacere, del Padre gli fu concesso. Egli salito sul Carro non potè reggere gl‘ infuocati Destrieri, che uscendo dall‘ usata loro strada, troppo s‘ avvicinarono alla Terra, che insieme col Cielo stesso incominciò ad ardere. E sarebbe quello stato l’ultimo giorno del Mondo; se Giove, alle preghiere della Terra, non avesse ucciso Fetonte con un fulmine, che sbalzatolo dal Carro, il fe‘ precipitare nel Fiume Po in Italia. Questa è la Favola vagamente descritta da Ovidio nel Libro II. delle Metamorfosi. Qui molti ornamenti sono stati aggiunti, adattati al Dramma, e per la stessa ragione il Luogo della caduta di Fetonte è stato cangiato.
La Poesia tratta dall‘ Originale Francese è del fu Sig. Leopoldo de Villati già Poeta die S. M. (Vi sono stati fatti diversi cangiamenti.)
La Musica è del fu Sig. Carlo Enrico Graun, già Maestro die Capella di S. M.
Le Decoracioni sono del Sign. Carlo Fechhelm, Decoratore die S. M.
I Balli sono del Sign. Francesco Sallamon, do die Vienna Maestro de‘ Balli S. M.
Personaggi
Libia Figlia di Meròpe Re d‘ Egitto
Epafo, Figlio di Giove e d‘ Iside
Teone, Figlia di Proteo Dio del Mare
Fetonte, Figlio del Sole e di Climène
Meròpe, Re d‘ Egitto
Climène, Regina d‘ Egitto, Figlia dell‘ Oceano
Il Sole
Proteo, Dio del Mare, Fratello di Climène
La Dea della Terra
Coro di Seguaci del Sole
Coro di Abitanti della Terra
Grandi d‘ Egitto
Guardie del Re d‘ Egitto
Sacerdoti d‘ Iside
Seguito d‘ Epafo
Seguito di Fetonte
Seguito di Climène
Tritoni
Furie
Mutazioni di Scena.
NELL‘ ATTO PRIMO.
Giardino che termina al lido del Mare, con Grottesche.
NELL‘ ATTO SECONDO.
Atrio magnifico nella Regia d‘ Egitto.
Bosco sacro ad Iside, con Tempio in mezzo, entrovi il Simulacro della Dea.
NELL‘ ATTO TERZO.
Regia del Sole.
Campagna amena, che va a terminare in un luogo dirupato.
La Scena si rappresenta in Egitto.
Atto Primo.
Scena I.
Giardino che termina al Lido del Mare con Grottesche.
Libia, e Fetonte.
Ella è fissa in grave pensiero: Fetonte è alquanto indietro in disparte osservandola.
FETONTE.
Quella (io pur non m’inganno)
E‘ dell‘ Egizìo Re la vaga Figlia,
Di cui bramo la destra. Jo posso alfme
Svelarle i voti miei.
M’assistere all‘ impresa, amici Dei.
Si avanza lentamente.
LIBIA senza vederlo.
O d‘ alma indifferente,
Che non conosce amor, placido stato!
Ah! da quello io cadei,
E la tranquilla pace, oimè! perdei.
FETONTE.
Mia Principessa, e qual pensier t‘ ingom bra?
LIBIA.
Ah Fetonte …. e qual genio
Ti guida in questo luogo?
FETONTE.
I miei pensieri
Quà mi trasser quest‘ oggi. Il giorno è questo
Che la tua man del ricco Egitto al Trono
Deve inalzar Colui che fia tuo Sposo.
Felice chi ‚l sarà!
LIBIA.
Del Padre io pendo
Da‘ cenni augusti, e ‚l suo voler m‘ è legge.
Da se.
(Ah pur troppo il mio cor Epafo elegge.)
FETONTE.
Potrebbe mai Fetonte, (ah tu perdona)
Di tant‘ onore lusingarsi? Sai
Che del Sole che tutto inostra, e avviva.
Jo Figlio son.
LIBIA.
Il so: ma di Teone
So ancor che vivi amante.
FETONTE.
E‘ ver …. ma pure ….
Chi sa ….
LIBIA.
Principe vanne,
Un cor, che tuo non è, darmi non puoi.
Lasciami al mio pensier.
FETONTE.
Jo parto, o Bella;
Ma lo Sposo chi fia vedrem dappoi.
Parte.
Scena II.
Libia, poi Teone.
LIBIA.
Tenta Costui scoprir l’arcano amore
Che m‘ arde pel mio Ben. Avvinto il seno
All‘ amabil Teone, invan si sforza
Ingannarmi con arte. Eccola appunto.
TEONE.
Fra quest‘ ermi recessi
Te, Principessa, io trovo
Sola co‘ tuoi pensier?
LIBIA.
E pur gli stessi
Solitarj recessi
Tu cerchi, Amica.
TEONE.
E‘ ver: erme contrade
Cerca ognora chi è amante; e amante io sono.
LIBIA.
Ed io Sposa esser debbo, e i miei pensieri
Occupa, ed a ragion, cura si grave.
TEONE.
Perchè dunque cercar quest‘ erme spiagge,
E non piutosto i fidi
Tenerissimi amanti
Al tuo piè sospiranti, e desiosi
Del tuo Regio Imeneo? Forse per tutti
Indifferente hai l‘ alma? Eh no, cotanto
Non t‘ infingere, Amica. A me è ben noto
Che del gran Giove il Figlio
Arde al fulgor di quel tuo vago ciglio.
LIBIA.
Teone, io tel confesso, ei m’ama, io l’amo.
Ma ché sarà, se fiero il Genitore
Scelta oggi fa diversa dal mio core?
Felice te che di Fetonte avvampi,
E che d’Amor nel Mare in piena calma
Tè dato il posseder cosi bell‘ alma!
Disciolta da pene
Vagheggi il tuo Bene.
Contenta tu l‘ ami.
Cò gli occhj to chiami
Lo brami col cor.
Ben presto vedrai
Ne‘ dolci suoi rai
D’amante fedele,
Costante l’ardor.
Parte.
Scena III.
Teone, e Fetonte.
Fetonte esce, e vede Teone. Egli vuol partire, ma ella se n’accorge.
TEONE.
Mio Fetonte, ove vai?
Me dunque vedi, e parti? Si nojosa
T‘ è la presenza mia?
FETONTE avanzandosi.
T’amo, mia Vita,
Ed il sospetto tuo troppo mi offende.
TEONE.
La mia vista ti turba. Jo me n’avveggo.
Scorgo sul ciglio tuo quelle che in petto
Ti stan tacite cure.
Ma …. tua soave cura, oimè! non sono.
FETONTE.
Frena i vani sospetti,
Volgo a Teone ancor fidi gli affetti.
TEONE.
Come crederlo, ingrato?
Quand‘ i’era ‚l tuo amore
Mi cercavi non tardo,
E col mio favellava ogni tuo sguardo.
FETONTE.
Vien la Regina.
TEONE.
E ben, siegui i suoi passi,
Ne più meco restar malgrado il core.
Da se.
Quanto è mai sventurato un fido amore!
Parte.
Scena IV.
Climene col suo Seguito, e Fetonte.
CLIMENE.
Che ti turba, o mio Figlio?
Leggo il tuo duol nel fosco del tuo ciglio.
FETONTE.
Oggi a Libia uno Sposo
Il Re destina, e fia
Il suo Sposo Real un dì regnante.
Epafo aspira altiero a quest‘ onore.
Ah! vederlo dovrò dal Regio Soglio
A noi leggi dettar?
CLIMENE.
T’accheta, o Figlio.
So che il Re ti destina e Figlia e Trono.
So che Teone adori,
Ed è appunto il tuo amor ch’oggi pavento.
Vinci, o Figlio, l‘ amor. Chi aspira al Soglio
Con un nobile orgoglio
Prima apprenda a regnar sovra se stesso.
FETONTE.
Già sieguo il mio destino
Che mi chiama a regnar. Già m‘ empie il petto
Il desìo di salir al Soglio eccelso.
Si; se a Teone il core amante i‘ dono,
Amo, più che il suo volto, ancora il Trono:
Mi piace l‘ altero
Suo vago sembiante,
Ma pensa all‘ Impero
Quest‘ alma più ancor.
In quel suo bel volto
Gran vezzo sta accolto,
Ma più scintillante
E il Regio splendor.
Parte.
Scena V.
Climene.
CLIMENE
Quanto di Madre è grande mai l’affetto!
Pel Figlio a me diletto
Sospiro ognor, e sua grandezza cerco.
Ma Rivale possente
Epafo a lui s’oppone. Oh potess‘ io
Proteo Nume German, cui null‘ ascosto
Serba il Destin, del Figlio mio la Sorte
Da Te scoprir! Quando il Meriggiofiede
La terra, ei vien per uso
In quella Grotta opaca. A lui vogl‘ io
Chieder quale a Fetonte
Apparecchj la Sorte
O glorïosa vita, o presta morte.
Parte.
Scena VI.
Libia, ed Epafo.
Escono da due lati diversi l’una d‘ ‚incontro all‘ altro.
EPAFO.
Qual pena, Idolo mio! Già per la Regia
Il grido corre a questo cor fatale
Che Te voglia a Fetonte
Sposa oggi destinar il Re tuo Padre.
Ah cara, non credei
Ch‘ altro Rival potesse la tua mano
Al Figlio contrastar del Re de‘ Dei.
LIBIA.
Mio Ben, di rado Amore
Di Vergine Real le faci accende.
Le Vittime son esse
Del publico Interesse, e della cruda
Ragion di stato; onde pavento anch‘ io
Che voglia il Genitore
Sacrificarmi ancora
A quell‘ Idol crudele. E quest‘ o caro.
Rende il mio gran timore,
Rende il mio gran dolor sempre più amaro.
EPAFO.
Che giova fedeltà, se così poi
Dì fortuna crudel scherzo siam noi?
Ma che farai mia Vita?
Pierade avrai del mio crudel martire?
LIBIA.
Se viver non poss‘ io
Con te mio Ben, saprò per te morire.
Innocente è quell‘ affetto
Che potè destàrmi ’n petto
Uno sguardo tuo seren.
E portar sino alla Tomba
Voglio chiara, intatta, e bella
La facella – del mio sen.
Parte.
Scena VII.
Epafo.
EPAFO.
Chi vide mai più bella fe‘ di questa?
Jo temea che ‚l suo core
Potesse dal timore
D’autorità Paterna esser sorpreso.
Ma tutto vince un vero amor. O Dei!
Già son meno infelice
Nel più fiero timor de‘ mali miei.
Per me qual Zeffiretto
Fu quella bocca bella,
Che colla sua favella
Venne a calmar il cor.
Più non ho duol nel petto,
Più non rammento pene,
Poichè il mio caro Bene
Fedele m’è in amor.
Parte.
Scena VIII.
Proteo.
Egli esce dal Mare, accompagnato da una Truppa di Tritoni.
PROTEO.
Felice chi dal lido
Agitati da i Venti
Puote i flutti mirar del Mare infido!
Felice chi dal Porto
Può veder gl’infelici in braccio all‘ onde!
Naufraganti nel Mar del fiero Amore
Si compiangan gli Amanti.
Ma si fugga l’orror del Mar crudele.
Quanto, oh quanto è più dolce
Di queste Piante all‘ ombra
Star sua pace godendo! Or colà appunto
Volgo il piede a gioir d’un bel riposo.
Sul più riposto lido
A i Tritoni.
Voi di Nettuno il gregge custodite.
I Tritoni si ritirano. Egli va nella Grotta, ove si addormenta.
Scena IX.
Climene senza seguito.
CLIMENE.
Ecco il tempo opportuno. In quella Grotta
Dorme il German. A lui scoperti sono
Dell‘ avvenir gli arcani:
Ma sol forzato ei palesarli suole.
Dunque forzarlo è d’uopo. Or tu Tri tone,
Sorgi dal Mar co‘ tuoi compagni, e vieni
A costringer Costui ch‘ ei rompa alfine
L’ostinato silenzio, e per mia pace
Il decreto de‘ Cieli
Sopra il Figlio Fetonte a me disveli.
Scena X.
Al suono di lieta Sinfonia riedono i Tritoni preceduti da un Tritone principale.
CLIMENE appressandosi a Proteo che dorme.
Proteo, destati omai. Vieni a godere
I concenti del Mar. Vieni, o del Fato
Saggio conoscitore
A consolar di tua Germana il core.
PROTEO senza alzarsi.
Regina, e che domandi?
CLIMENE.
Ah! di Fetonte
Mi disvela il Destin.
PROTEO.
E che mi chiedi?
Folle! cerchi ‚l tuo mal, e tu nol vedi.
Si trasmuta in varie, e maravigliose forme; ma vien sempre seguitato, e circondato da i Tritoni: onde alla fine ei riprende la sua forma naturale.
CLIMENE.
Tenti fuggirmi invan: invan tu prendi
Or quella forma, or questa.
Parla, che ‚l mio poter omai t’arresta.
I Tritoni si ritirano.
PROTEO.
Qual nuova in Ciel Cometa
Talor spuntar si vede,
Del Sol tuo Figlio erede
Sarà uel Ciel così.
Ma come quella ingombra
Di rio timore i petti,
Così a‘ Materni affetti
Sarà di duolo un dì.
CLIMENE.
Nell‘ oscuro parlar io nulla intendo.
Deh per l’Oceano a noi Padre, e Signore,
Se il Fato a te gli arcani suoi non niega,
Diletto a me German, chiaro ti spiega.
PROTEO.
Il vuoi? dunque si faccia.
La sorte di Fetonte a me si svela
Eterni Dei: che veggio? Inorridisco.
Trema pel Figlio tuo, Madre orgogliosa.
Giovine temerario, ove ten vai?
La morte troverai
Nell‘ arringo fatal a cui ten corri.
Invano il Sol tuo Padre si dichiara.
Ei stesso fia stromento
A troncare i tuoi dì. Cadrai, superbo.
Fremer già sento il folgore
Per punir l’alma tua, ch’osa cotanto.
Trema pel Figlio tuo, Madre orgogliosa
Parte.
Scena XI.
Climene.
CLIMENE.
Qual‘ Oracolo! oimè! gelo d’orrore.
Misero Figlio! invan t’è Padre il Sole?
Ei stesso fia stromento
A troncare i tuoi dì. Cadrai, superbo.
E ‚l potè dir? ed io
Intenderlo potei? Numi clementi
In che peccò l’amato Figlio? Questa
Cruda sorte funesta
Ah dal suo capo allontanate, o Cieli.
Vadasi, ed il suo rischio a lui si sveli.
Al dolce amato Figlio
Dipingerò il periglio.
Farò ch‘ egli si pieghi
A‘ miei materni prieghi,
Che plachi Giove ancor.
Fo gli dirò che siegua
Il corso d‘ alta Fama,
Ove il desìo lo chiama;
Ma con piè cauto ognor.
Fine del Primo Atto.
Atto Secondo.
Scena I.
Atrio magnifico nella Regia d‘ Egitto.
Climene, e Fetonte.
CLIMENE.
Temi il tuo rischio, o Figlio.
Con troppo chiari detti
Proteo me l’annunziò.
FETONTE.
Ma la risposta
Gli dettò l’interesse.
Astringer ei mi vuole all‘ Imeneo
Della sua Figlia.
CLIMENE.
Ah caro,
Non lusingarti. A troppo grave impegno
Per te m’accinsi.
FETONTE.
E che? la mia grandezza
Non è de‘ tuoi desiri il sol‘ oggetto?
CLIMENE.
Non compro a sì gran prezzo un vano onore,
FETONTE.
Di gloria per l’acquisto
Con intrepido ciglio
Ogni rischio s’incontra.
CLIMENE.
Ma ti minaccia il Ciel mortal periglio.
FETONTE..
S‘ anco il Cielo irato freme,
L’alma mia però non teme;
Tutto incontra, e tutto sprezza
Per l‘ onor di sua grandezza,
Con Real, e forte cor.
Così ancora il buon Guerriero
Sa acquistar con ciglio altero
Là fra l‘ armi il chiaro Allor,
Partono.
Scena II.
Teone, quindi Libia.
TEONE vedendo partir Fetonte.
L’infedele mi vede, e pur mi fugge?
Che orribile incostanza!
E‘ perduta, mio cor, ogni speranza.
LIBIA.
La mia compiangi, Amica,
Sorte crudel. In breve
Mi sceglierà lo Sposo il Genitore.
Ma se quelli fia ‚l caro
Amante mio, nol sa l’afflitto core.
TEONE.
Ah perchè non è incerta
La mia sciagura ancor? Sperar tu puoi.
Ma che sperar poss‘ io ne‘ mali miei?
Amo un ingrato Amante
Che mi tradisce, e infido anche l’adoro.
LIBIA.
Barbaro Amor, la libertà c’involi,
E poscia ci abbandoni
Al crudele martir di mille pene.
Teone, ah qual dolore
E‘ il timore di perder il suo bene!
TEONE.
Ah pur troppo m’è noto,
M’al par di me infelice, no, non sei.
In atto di partire.
LIBIA.
Mi lasci in tal cordoglio?
TEONE.
Al mio dolor perdona.
Da se.
Vado altrove a celar i pianti miei.
Parte.
Scena III.
Libia, poi Epafo.
LIBIA.
Ah! m‘ abbandona ognun. Pur troppo io vedo
Nel novello rigor del mio destino
Il periglio crudel a me vicino.
EPAFO affannoso.
Oimè Libia mia vita,
Qual orribil sciagura!
LIBIA.
Oh Dio! che rechi,
Idolo mio, col lagrimoso ciglio?
EPAFO.
Il colpo ch’io previdi
E‘ vibrato pur troppo. Oh sommi Dei!
Amata Principessa, io ti perdei.
LIBIA.
Che intendo, o Ciel!
EPAFO.
E‘ pronunciato omai
Quel Decreto fatale,
Che toglie a me la fortunata sorte,
E foriero si fa della mia morte.
LIBIA.
Dunque scelto è lo Sposo?
EPAFO.
Egli è Fetonte.
LIBIA.
Ah chiunque si sia,
Infelice pur troppo io sarò sempre,
Quando più tua non son, bell‘ Alma mia.
EPAFO.
Ah dimmi, ed il tuo core
Seguir potrà si fiera legge, e cruda?
LIBIA.
Se obbedir io non posso
Alle Paterne leggi, almen da forte
Per te saprò morire.
EPAFO.
Questo è il giorno fatal! questo è il martire!
Compiangimi: non sai
Quale tormento è il mio.
Scoppiar mi sento, oh Dio!
Nel seno amante il cor.
Era il mio sol desio
Viver per te, mio Bene.
Tu puoi pensar quai pene
Soffre un afflitto amor.
Parte.
Scena IV.
Merope, Libia, Climene, Fetonte ciascuno col Suo Seguito Grandi di Egitto.
MEROPE.
Miei fedeli Vassalli, ecco il bel giorno
In cui dichiaro a voi
L’Erede del mio Regno,
Il glorioso, e degno
Sposo della mia Figlia. Egli è Fetonte
Il gran Figlio del Sol. Egli in mia mano
Aiti a sostener omai lo Scettro,
E sia poscia di voi l’alto Sovrano.
FETONTE.
Per sì bel don che non ti deggio, o Sire?
CLIMENE.
Quali grazie non deve
A te, Signor, per dono tal Climene?
LIBIA.
Padre, permetti all‘ umile tua Figlia
Di pronunciar sommessi, e pochi accenti.
Epafo tu m’avevi
Già destinato, ed io
L’amai per legge tua. Vorrai che un fuoco,
Ch’accendesti pur Tu, casto, e leale,
S’estingua ora per te? Non sai che ‚l core
Disamare non può, quando gli piace.
Deh Padre non voler che i cenni tuoi
Sieno alla Figlia dura cagione
D’una morte funesta.
MEROPE.
Taci: dicesti assai.
Di Figlia umil l‘ obbedienza è questa?
All‘ onor tuo rifletti:
Modera i vani affetti:
Pensa di chi sei Figlia:
Che son tuo Padre, e Re.
Col tuo dover consiglia
Il core troppo altero,
Ed il paterno impero
Si veneri da te.
Partono tutti, e resta Libia.
Scena V.
Libia.
LIBIA.
D’ingiusto Genitor legge erudele!
Dunque lasciar dovrò l‘ Idolo mio
Che tanto adoro? Oh Dio!
Quanto sei più felice
Nelle selve native, o vaga Ninfa!
Tu ognor ten vai contenta
Dal bosco al prato, e poi dal prato al monte,
Col tuo Compagno amato.
Quindi assisa con lui presso a un ruscello
Mille cose d’amor vai ragionando
Fra teneri sospiri, e dolci canti;
Poscia ridite a voi
Di vostra bella fede i chiari vanti.
D’un scambievole amor quindi contenti
Ritornate tranquilli al fido albergo,
E vi pascete ognor l‘ anima amante
Nel reciproco ardor de‘ vostri sguardi.
M‘ a me fiero destino, e rio comando
Toglie la libertà, turba i contenti,
E ‚l mio dolce m’invola amor fedele.
D’ingiusto Genitor legge crudele!
Con isdegno, ed impazienza.
Folle che son! perchè mi perdo in vani
Inutili lamenti? Ah si risolva.
Si nieghi al Padre, al Regno
D‘ acconsentir all‘ odïato nodo.
E se …. Ma …. lo poss‘ io?
Pensa.
Qual‘ incertezza! e qual affanno è il mio!
Con molta agitazione.
Qual nube da‘ Venti
Irati, e frementi
Sospinto, agitato
E questo mio cor.
L’abatte il timore:
L’inalza la spene:
Ma uguali ha le pene
La spene, e ‚l timor.
Parte.
Scena VI.
Teone, poi Fetonte.
TEONE.
Ed è ver ciò che intesi? Il mio Fetonte,
Quei che fede giurommi, e che mi avvinse
Del più tenero amore
Il troppo facil core,
Scelto di Libia è Sposo? E si spietato
Dovrò creder ch‘ ei possa …. Ecco l’ingrato.
FETONTE osservandola.
Quella è Teone. Oimè! si parta.
TEONE.
Ferma.
Ferma crudel. Tu dunque ognor mi fuggi?
Dunque creder io debbo
Che tu mi voglia abbandonar? che d‘ altra
Arda colui che tante volte e tante
Giurommi fè? Tutto m’afferma questa
Orribile sventura. E lo poss‘ io
Posso crederlo pur, Idolo mio?
FETONTE.
Teone, il Ciel comprende
Tutto il mio dispiacer. Ma che far posso?
Per regger vasto Impero
Mi fe‘ nascere il Fato,
E Consorte Regina io voglio allato.
TEONE.
Perfido! e si ti muove
Ambizion, ch’a Libia sol rivolgi
Tutti gli affetti tuoi?
FETONTE.
Non amo in quella
Che la grandezza mia. Tutto (tel giuro)
Tutto è pe te l’amor, Ma ‚l mio destino
Che Re mi vuol, i nodi tuoi tenaci
Mi sforza a disunir.
TEONE.
Barbaro, taci.
O Tu di mia costanza
E di sua infedeltade
Testimonio fedel, o giusto Giove,
Giove che miri lo spietato oltraggio
Che mi fa l’empio Amante,
Vendica i torti miei,
Punisci, io te ne prego, l’incostante.
Imploro tua vendetta.
Scenda ardente saetta
Rapida dal tuo Ciel, Altitonante,
Che in cenere riduca il cor crudele,
Che me lo getti estinto a queste piante.
Ahi! che dissi, infelice?
Jo l‘ adorai fedele,
E l’amo anche infedel. O Giove; o Cielo,
Che mal cauta implorai,
Non m’esaudir: sospendi il fiero telo,
O lo vibra più tosto in questo seno.
FETONTE da se.
(Che dirò, giusto Ciel!) Ingrato io
Deh se posso il perdono ….
Da se.
(Ma che? rinunzierò dunque lo Scettro?
Ah non sia ver …. E pure ….
Faci del primo amor ancor vi sento,
E d‘ esser infedel quasi mi pento.)
Ti sono ancor fedele.
TEONE.
No fosti ognor, crudele.
FETONTE.
Dolce mio Bene amato,
A ciò m‘ astrinse il Fato.
TEONE.
Un infedel tu sei.
Non accusar gli Dei.
FETONTE.
M‘ affanna il tuo dolore.
TEONE.
Ah taci, o traditore.
FETONTE. TEONE.
Oimè! quest‘ è gran pena!
Oimè! quest‘ è martir!
TEONE.
Vanne, trionfa, ingrato,
Del mio crudel cordoglio.
FETONTE.
Mi sento il cor piagato
Dal tuo crudel cordoglio.
TEONE.
E pur mi vuoì tradir.
FETONTE.
Ah non ti so tradir.
Partono da 2 diversi lati.
Scena VII.
Bosco sacro ad Iside, ncl cui mezzo sorge il Tempio dedicato a quella Dea- Vedesi entro di esso il Simulacro di questa Divinità, ed i Sacerdoti che le stanno appresso.
Merope seguitato dalle sue Guardie, e da i Gran. di Egiziani, alcuni de‘ quali portano le sacre Offerte. Climene con Seguito, e Libia, quindi da due lati diversi Epafo e Fetonte.
MEROPE rivolto verso il Tempio.
O Tu, di cui l‘ amor co‘ suoì bei nodi
Stringer seppe de‘ Numi il Gran Regnante,
Iside, eccelsa Dea, volgi sereni
A cotesto soggiorno i tuoi bei occhj,
Ove il Ciel diede fine a i mali tuoi,
Quando Giunone irata
Più fpingeva il furor degli odj suoi.
Accetta queste offerte
Che d’Egitto il Regnante
Porrà con mano umìl, alle tue piante.
Ogni nostro Nemico
Da Te resti sconfitto,
E agli ultimi confini della Terra
Giunga l‘ Impero del pugnace Egitto.
Preceduto da i Grandi che portano le Offerte Egli entra nel Tempio, dove fatta reverenza alla Dea, i Grandi consegnano le Offerte a i Sacerdoti. Quindi egli esce dal Tempio, ed allora Epafo vien da destra: e Fetonte da sinistra.
EPAFO.
Voi, della Diva o Sacerdoti, abbaglia
Cotanto adunque l‘ Oro delle Offerte,
Che osate di gradirle? E Tu gran Dea
Mia Genitrice, accetti
Da quell‘ odiata mano,
Che Libia m‘ involò, dono profano?
Si ode grande Strepito nel Tempiol, e si vede la gran Porta di quello chiudersi da se medesima.
MEROPE.
Numi! il Tempio si chiude!
EPAFO.
Esaudimmi la Diva.
CLIMENE.
Innorridisco.
LIBIA.
Terribile portento!
FETONTE.
Eh pronti andiam le Soglie
A riaprir. I Dei voglion sovente
Esser costretti ad accettar l‘ offerte.
Incaminandosi con ardire.
CLIMENE.
Ferma, o Figlio: che fai?
FETONTE.
Seguimi, e non temer.
MEROPE.
D‘ orrore io gelo.
FETONTE.
Spesso arride agli audaci amico il Cielo.
Va alla porta del Tempio.
EPAFO.
Iside, Dea possente,
Fa di te, fa di me giuste vendette.
Sul punto che Fetonte è per iscuotere la porta, comparisce improvvisa una orrida voragine d‘ onde escono fiamme, e Furie. Tutti si ritirano spaventati, e in disordine, ne restano che Climene e Fetonte.
Scena VIII.
Climene, e Fetonte.
CLIMENE.
Fuggiam, Figlio, fuggiam. Il Cielo irato
Propizio al tuo Rival d’Iside figlio,
Ti minaccia, e nol vedi? alto periglio.
FETONTE.
Il livore si armò contro il tüo onore,
Contro la gloria mia,
Questo è ‚l periglio mio, questo è ‚l ti more.
CLIMENE.
Che sento?
FETONTE.
Epafo ardito
Osa pur dir che non m’è Padre il sole.
CLIMENE.
Oh Dei!
FETONTE.
Da te, Regina,
Del mio Natale i testimonj attendo.
CLIMENE.
Non dubitar, o Figlio: il Sol t’è Padre.
Per tutti i Dei lo giuro.
FETONTE.
Dunque n’andrò del Genitore accanto.
CLIMENE.
Si, Figlio. A Lui tu volgi umile i passi.
Ei sosterrà della tua Stirpe il vanto.
Parte.
FETONTE.
Con lieto ciglio
Mi chiami Figlio
Il Padre amato:
Ne per mia sorte
Chiedo di più.
Con fermo core
Vuò per l’onore
Incontrar morte.
Sia quello il vanto
Di mia virtù.
Va per partire, e si ineontra in Epafo.
Scena IX.
Epafo, a Fetonte.
EPAFO.
Arrestati, o Fetonte. Ove ten vai?
Conto mi renderai
Dell‘ ardir che ti muove
Ad aspirar di Libia all‘ alto nodo.
Un bene, o cor audace,
M’involi, ch’era mio.
FETONTE.
Ma a me si deve
Che son del Sole il Figlio.
EPAFO.
Eh quest‘ orgoglio
Potrìa caro costarti.
FETONTE.
Il piacer mio
Dal tuo rancor geloso ora s’accresce.
EPAFO.
Non m’ìrritar: paventa il Dio mio padre.
FETONTE.
Se Gìove è ‚l padre tuo,
Febo è ‚l mio genitor.
EPAFO.
E‘ ancora incerto;
Jo pure già tel dissi.
FETONTE.
L‘ assicura Climene.
EPAFO.
E questo basta?
FETONTE.
Troppo mia gloria offendi.
EPAFO.
Tu col Figlio di Giove invan contendi.
Tralascia un vano amore;
Son tuo rival; tu sai
Che Giove ho genitor.
FETONTE.
Jo seguo sol l‘ onore;
Son tuo rival; tu sai
Che ‚l Sole ho genitor.
EPAFO.
Giove tien la saetta
Per mia vendetta ancor.
FETONTE.
Puó il Sol per mia vendetta
Tutto coprir d‘ orror.
EPAFO. FETONTE.
Non contrastar con me.
EPAFO.
Audace a vasto Impero
Non inalzar il volo;
Che certo a volo altero
E ‚l precipizio ognor.
FETONTE.
Sublime a vasto Impero
Voglio inalzar il volo.
Non segue il volo altero
Il precipizio ognor.
EPAFO.
Ti tradirà la sorte.
FETONTE.
Vedrem chi sia più forte.
EPAFO. FETONTE.
Tu mi cadrai al piè.
Tu mi vedrai tuo Re.
Partono da duoi lati diversi.
Fine dell‘ Atto Secondo.
Atto Terzo.
Scena I.
Regia del Sole.
All‘ aprirsi della Scena vedesi il Sole assiso sopra un Trono di luce, onde tutta la Regia riceve lo splendore che briglia in ogni parte. Intorno al Trono stanno i Seguaci del Nume. A pie del Trono compariscono le Ore, e le Stagioni, che formano un grato Ballo; terminato il quale i Seguaci del Sole s‘ inoltrano cantando il seguente Coro, ed il Nume si alza, inoltrandosi sulla Scena.
CORO.
Senza Te, Dio luminoso
Langue il prato, l‘ erba, il fior.
Tutto ride, tutto brilla,
Se sfavilla
Del tuo lume il bel splendor.
IL SOLE.
Ma che veggo? il mio Figlio
Miro turbato a me venir.
Comparisce Fetonte.
Fetonte, Perchè con mesto ciglio al Padre vieni?
Spiegami la cagion del tuo cordoglio.
FETONTE.
Amato Genitor (se pur mi lice
Di chiamarti mio Padre)
Contro i nemici miei ti chieggio aita.
IL SOLE.
Come?
FETONTE.
Lingua mendace
Mi rinfacciò che Padre a me non sei.
Deh Tu Signor, smentisci ‚l core audace.
IL SOLE.
Non ti affannar. A torto
Di Climene l‘ onor l’invidia assale.
Fetonte, sei mio Figlio,
E d‘ esserlo sei degno.
Qual brami del mio amor verace segno?
Chiedimi ciò che vuoi;
Tutto prometto, e giuro
Per la tremenda a‘ Numi onda di Stige.
FETONTE.
Sul tuo Carro in tua vece
Permetti a me nel corso
D’un giorno almen di rischiare il Mondo.
IL SOLE.
Che presumi, o mio Figlio?
FETONTE.
Ciò tuo Figlio mi provi.
IL SOLE.
Ah sei mio sangue,
Ma sei Mortal, e ‚l regolar i fieri
Indomiti Destrieri
Opra d‘ Uomo non è,
FETONTE.
Mi fia di gloria
L’averlo almen tentato,
E la morte per lei non mi fia grave.
IL SOLE.
Ciò che giurai più ritrattar non posso,
Onde ti si conceda.
Ma del mio giuramento
Troppo tardi, ed invan, aimè, mi pento.
Nel dolor di questo core
Vedi il mio paterno amore.
Deh abbandona il grave impegno:
Figlio caro, credi a me.
Tu ostinato chiami sorte
Ciò che può guidarti a morte
Ed io tremo, o dio, per te.
Partono tutti dal medesimo lato.
Scena II.
Campagna amena che va a terminare in un luogo dirupato. Il Cielo è qual comparisce sullo spuntar del Giorno, ma con alcune Nuvole che l’ingombrano.
LIBIA.
Invan cerco sollievo al mio dolore,
E pria che spunti il Giorno
Per le vaste Campagne,
Pe‘ solitarj boschi invan m‘ aggiro.
Non cessa il rio martiro
Di tormentarmi ‚l cor. Ah pria che ‚l Fato
Di sì barbari affanni
Seminasse i miei giorni, era pur meglio
Che in queste selve Pastorella umile
Fra gli armenti nascessi! All‘ amor mio,
Non sarebbesi opposto
L‘ Interesse di Stato;
E quì vivrei col mìo Pastor allato.
Quanto sei più fortunata
In amor, o Pastorella!
Sotto un faggio amante amata
Vai godendo un lieto amor.
Ne rigor d’avversa stella,
O di legge al cor rubella
Turba mai tuo dolce ardor.
Scena III.
Merope con Guardie, e Libia.
MEROPE.
Figlia?
LIBIA.
Padre, e Signor?
MEROPE.
Vedi qual io
Sposo a te destinai. Figlio del Sole
Oggi sull‘ alta mole
Del Cielo ascese, e sopra il Carro stesso
Del suo gran Genitore
Nuovo Sol spanderà nuovo splendore.
LIBIA.
Quanto più inalza il vol l‘ Uomo superbo,
Tanto peggior è la caduta sua.
Non contente del Trono
Ei vuole ancor di piu? Si guardi. Ei stesso
La sua caduta affretta
E fa (mel dice il cor) la mia vendetta.
Parte.
MEROPE.
Ciò che brama ella dice. Ingrata Figlia,
Spero che ‚l Ciel sordo a‘ tuoi voti, vana
Rendrà la tua speranza,
E confusa‘ farà quella baldanza.
Parte.
Scena IV.
Epafo.
EPAFO
Dei, qual pena è la mia! Di Libia sposo
Sarà Fetonte, e mio Regnante ancora.
Rival egli mi toglie
La Gloria, il Soglio, e la Beltade amata.
Questa è sorte per me troppo spietata.
D’un vezzoso, e bel sembiante,
Benchè in Cielo già regnante,
Fosti amante – o Padre, ancor.
Ben ti è noto con qual pena
Dolce amore in cor si svena.
Compatisci il mio dolor.
Scena V.
Libia, ed Epafo.
LIBIA senza veder Epafo.
Pur quà ritorno ancor. Il mio martiro
Ah! mi tolse a me stessa. Epafo veggo.
Oh Dei!
EPAFO.
Mia Principessa ….
LIBIA.
Tu vieni ad aumentar l‘ angoscie mie.
Jo di Fetonte Sposa ….
EPAFO.
Ancor nol sei,
Spero dal Padre mio non tarda aita.
LIBIA.
Quest‘ augurio felice
Ristora nel mio cor l’alma smarrita.
EPAFO.
Non disperar miò Bene.
Può ancor cangiar la sorte.
LIBIA.
Voglio sperar mio Bene.
Mi rende Amor più forte.
EPAFO.
Jo t‘ amo, o cara, e spero
LIBIA.
Jo t‘ amo, o caro, e spero
EPAFO. LIBIA.
Con fido ardor sincero
Sino al momento esiremo
Costante io t‘ amerò.
EPAFO.
Consola il tuo bel core,
Amato mio Tesoro.
LIBIA.
Mi vai calmando il core,
Amato mio Tesoro.
EPAFO. LIBIA.
In pene un fido amore
Il Ciel lasciar non può.
Terminato il Duo, si dissipano le nuvole, e comparisce Fetonte sopra il Carro del Sole inalzandosi a poco a poco sull‘ Orizonte.
Scena VI.
Merope con gran Seguito, Libia, ed Epafo, quindi Tcone.
MEROPE.
Adunatevi, o Genti. Ammiri ognuno
Il nuovo Sol che sulla Terra spunta.
Mira, o Figlia, qual vibra
Insolito splendor di Febo il Carro.
Quei che lo guida, Quelli
Che apportator si fa del Dì festoso,
Miralo, ed applaudisci, Egli è ‚l tuo Sposo.
Ma la Regina ov’è? Perchè non viene
Di tanto Figlio a rimirar a gloria?
TEONE.
Cessino i vani applausi. Ah Re non sai
Qual destino sovrasti
A Fetonte infedel. E già vicino
Quell‘ istante fatal che de‘ coprire
Questo novello Sol d’eterna Notte.
Proteo mio Genitore
Poc‘ anzi ‚l disse; e già Climene stessa
Certa del rio successo, invan s‘ oppose
Alla morte del Figlio,
E per non rimirarla in Mar s‘ ascose.
Vedesi fiammeggiare il Cielo.
MEROPE.
Che intendo mai!
EPAFO.
Mirate; o qual‘ in Cielo
Si spande orribil fiamma!
LIBIA.
Ahi! qual ardore
Improvviso ne nasce!
MEROPE.
Oimè! che fia?
EPAFO.
Giove s‘ appresta alla vendetta mia.
Scena VII.
Vedesi del fondo della Scena di mezzo a i dirupi uscire la Dea della Terra, (Frattanto crescono in Cielo le fiamme.)
LA TERRA.
Aime! la vostra aita
Jo chiedo, o Dei. Giove, il tuo Nume imploro.
Salvami Tu dal fuoco che mi strugge.
Ardono le Cittadi, ardono i Monti.
Son tutti fiamme i Boschi.
Inaridiscon rivi, e fiumi, e fonti.
EPAFO.
Fulmina, o Giove, omai quell‘ alma audacè.
LIBIA.
A tanto ardor la Terra omai si sface.
LA TERRA.
Ma già sono esaudita. Ecco già vibra
Giove il fulmineo stral. Fetonte cade.
Si ode un gran tuono, e vedesi precipitar Fetonte dal Carro dietro a i Dirupi. Allora cessan le fiamme.
TEONE.
Sorte fatal! Misero Amante infido!
MEROPE.
Infelice Fetonte, io ti compiango!
EPAFO.
Giove mi vendicò. Cadde l‘ altiero.
Or tuo sarò. Libia mio Ben.
LIBIA.
Se iI Padre
Acconsente a tal Nodo, io più non bramo.
MEROPE ad Epafo.
Poichè Giove si vuol, a te la dono.
LIBIA ED EPAFO.
Or si contenta contento or si felice io sono.
LA TERRA.
Ma risuonino omai Inni di onore
A Giove che fu mio liberatore.
CORO.
A Giove diamo canti,
A Giove applausi, e vanti,
Che da Fetonte audace
La Terra liberò.
Con più soave face
Il Carro d‘ or del Sole
Sulla celeste Mole
Ora guidar si può.
Fine del Dramma.