Marc'Antonio Cesti

La Dori ò vero La Schiava Fedele

Dramma musicale

Libretto von Giovanni Filippo Apolloni

Uraufführung: Oktober 1661, Teatro delle Accademici Sorgenti, Florenz.

Interlocutori

Prologo. La Corte, e Momo
Dori sotto nome d'Alè
Arsete suo confidente
Golo Seruo
Dirce Nutrice
Oronte Rè
Artaxerse suo Zio
Arsinoe Regina
Tolomeo sotto nome di Celinda
Bagoa Eunuco
Erasto Capitano della Guardia
Ombra di Parisatide Madre d‘-Oronte
La scena si rappresenta in Babillonia.
Serenissimo Granduca

Con oggetto di fare un dono al Real Genio di V.A. risolue la generosa munificenza d'Augusta. Mano di mettere nuouamente in Scena il nobil Drama della Schiaua fedele, ed elegge lo spazio angusto del nostro Teatro per restringerui le misure della propria grandezza. Noi, che vegghiamoeesaltata la miseria di così basso Albergo à comprendere l'immensità del nome dell‘ A.V. e à riceuere il luminoso reflesso de'suoi potenti benignissimi sguardi, non possiamo contenerci di aprire à V.A. quel ricetto più degno, che nel Cuore di ciascuno di Noi conserua mai sempre disposto la nostra infinita deuozione: per douer poi andare immortalmente fastosi delle preziose vestigie, che l‘ A.V. vorrà inclinare ad implimerui co'l suo dolcissimo Imperio. E perche resti al Mondoin ogni tempo un testimonio infallibile di questa nostra reuerente oblazione, e dell‘ alto pregio, di cui siam fatti degni, supplichiamo V.A. ad aggradire, che rimanghino impressi nella nuoua impressione, che à tal fine facciamo della medesima. Schiaua fedele: la quale con il Tributo delle nostre volon tadi, e de‘ nostri affetti, a'piedi dell‘ A.V. umilissimamente ponghiamo, facendole profondissimo Inchino.
Di V.A. Sereniss.

Prologo

La Corte, e Momo.

CORTE.
Lungi dagl'alti sogli
Oue à tutt‘ i piaceri
Son Compagni i cordogli
Per questi ermi sentieri
Senza seguaci, e scorte
Dalla Corte fuggendo erra la Corte
Tornate, omai tornate
O Pompe ingiuriose
O Calme Tempesto i Tetti d'oro
Più gradito Tesoro
Mi fian‘ senza tumulti
Solitudine amata i tuoi virgulti
MOMO.
Si prodiga, è la Corte?
Sian vicini alla morte
CORTE.
E voi fasti Reali
Vanità de‘ mortali
Vapori Gloriosi
Piume senza riposi
Vi lascio in preda al vento
Pur ch‘ un breue momento alla vita
Di libertà gradita
Mi sia notte agl‘ affanni alba.
MOMO.
Ti salui il Ciel Signora
CORTE.
O brutto intoppo
MOMO.
Dimmi perche s'inuola
Alla Corte, la Corte errante, e sola?
CORTE.
Per non prouar mai sempre
Della lingua di Momo
Le finissime tempre
MOMO.
E doue, e quando mai
CORTE.
La sciami in pace
Tu sei troppo mordace.
MOMO.
Io mordace? Io maligno? ho forse detto,
Che la Corte, e una spia,
Che la tua vita solitaria, e cheta
Mi sembra ipocrisia,
Che sei nel Boscouscita
Per fingerti Romita.
Che le selù hai trouato
Per far qualche peccato?
Oibò guardimi il Cielo.
Momo non apre bocca
Se non quando gli tocca.
CORTE.
Anzi Momo non parla
Ch, altrui non sia nociua,
O non tocchi sul‘ vino
MOMO.
Diro ben che la Corte
E una stanza d‘ Amore
Un‘ Afilo di Saggi
Un specchio di Prudenza
Nido della virtù Scole d‘ Amore
Ma certi tua seguaci
Certe lingue d‘ Abisso
Che quai Lupi voraci
Vegliano agl‘ altrui danni
Son maestri d‘ error, fabri d'inganni.
CORTE.
Ma tu, che sempre godi,
Di lacer ar le Corti
Perche segui le selue?
MOMO.
Perche son tanti Boschi, hoggi le Corti
E'Cortigian le Belue.
CORTE.
Ma dimmi, e qual peccato
Ha la gente di Corte,
Che Momo, è si sdegnato?
MOMO.
Son tutti d‘ una sorte
Sorella i Cortigiani
Sanno adoprar le mani
Al paro delle lingue
L‘ occhio mai non distingue
Chi loda, o pur chi taglia
Gl'interessi più scaltri
Son sempre i fatti d‘ altri.
Chi mormora chi scriue,
Chi sueglia le questioni
Chi ruba, e par, che doni
Chi studia far la spia,
Per mer a cortesia.
Basta Momo, non Cerca gl‘ altrui guai
Quanto a dir male io nol‘ farò già mai.
CORTE.
Momo ta non distingui
Forse non sai, che sono
Della squola morale
I più veri maestri il bene e il male?
MOMO.
Forse non imparasti
Ch‘ boggi, con dolci modi
Han sembianza di bene anco le frodi?
CORTE.
Taci lingua arrogate
MOMO.
L'Ira, è figlia del Vero
CORTE.
E se non vuoi tacer cangia mestiero
MOMO.
Mestiero? oibo sorella
La mia professione, e troppo bella
CORTE.
Parti dunque mal nato
A censurar de‘ pari tuoi le colpe,
MOMO.
E non sai, che la Vuolpe
Non entra in vicinato?
CORTE.
Vanne alla Regia
MOMO.
In Babbillonia forse?
CORTE.
Si nel soglio d‘ Oronte
MOMO.
Nò nò sotto quel Cielo
V'è tal Momo hoggi di, che leua il pelo.
CORTE.
Torna dunque al inferno,
Et in quel foco immondo
Purga la lingua rea poi torna al mondo.
MOMO.
Fammi tu pria la scorta indi vedrai,
Che Momo in questa etate
Non la per dona all‘ Anime danate.
MOMO E CORTE.
Si guardi ogn'un da te
MOMO.
Donna mendace
CORTE.
Lingua mordace
CORTE.
Da menzogna loquace
MOMO.
Da seruaggio fallace
CORTE.
Lacerati mortali
MOMO.
Allettati mortali
CORTE.
Fra punture letali
MOMO.
Fra sciagure Venali
CORTE E MOMO.
A prezzo di dolor vendon la pace
Si guardi ogn‘ un da te
MOMO.
Donna mendace
CORTE.
Lingua mordace.

Fine del Prologo.

Atto I.

Scena prima.

Riua dell'Eufrate.

ALÌ.
Io son pur sola,
E non è chi mi senta
Fuor che la doglia ria,
Che quest'anima mia sempre tormenta.
Io son pur sola, ò Dio,
E in questa solitudine romita
Non è solo un martire
Che mi tolga la vita:
Mà per farmi la sorte ingiurie, e scorni
Mi pareggia d'affanni
Il numero de gl'anni, anzi de giorni.
Dori, misera Dori,
Che fai, lassa, che pensi?
S'à tuoi martiri immensi
Non si moue à pietate,
Nè la terra, nè ‚l Ciel, corri all‘ Eufrate
Smorza pria di morire
La fiamma, che t'uccide,
E in quei gorghi profondi
Dalla terra, e dal Ciel fuggi, e t'ascondi.
Vanne, che ben conuiensi
Tomba di gelid'acque à tanti ardori
Dori, misera Dori,
1.
Che fai, lassa, che pensi?
Voragini ondose,
Ch. al mar traboccate
Deh‘ fatte pietose
Udite, fermate,
Venite da me:
Sciagura insinita
A‘ tormi la vita
Bastante non è.
2.
Voi magiche porte.
Ch'Auerno chiudete,
Per darmi la morte,
Crollate, stridete,
Apriteui à me:
Sciagura infinita, etc.
Si si Dori risolui
Fugga la tema altronde, echi nel foco
Viuer mai non potè, mora nell‘ onde.

Scena seconda.

Arsete, Alì.

ARSETE.
Ferma figlia, deh ferma
Le disperate piante.
Doue vai? che risolui?
Qual'insano pensiero
A‘ una morte sì vil, t'apre il sentiero?
ALÌ.
Padre, che tal degg'io
Per obligo d'Amor sempre nomarti,
Deh‘ per pietà consenti
Ch‘ una morte gradita
Mi tolga dalla vita, e dai tormeti
ARSETE.
Sì disperata sei?
ALÌ.
Voglio morire.
ARSETE.
Non vedi ch'e follia?
ALÌ.
Pur troppo il veggio,
ARSETE.
Cangia, cangia pensiero?
ALÌ.
Per me la vita è mal,
ARSETE.
La morte è peggio.
ALÌ.
Conforto di chi langue, è vscir di vita.
ARSETE.
Così discorre, chi di senno è priuo
ALÌ.
San morire anco i saggi.
ARSETE.
E come?
ALÌ.
Ascolta.
Cleopatra morì.
ARSETE.
Dunque fu stolta.
ALÌ.
Non si trafisse il core
La più saggia di Roma?
ARSETE.
Si, mà per castità, non per Amore
ALÌ.
Non s'annegò Leandro?
ARSETE.
E saggio il credi?
ALÌ.
Non cadde Ifi ad un laccio
Miserabil pendente?
ARSETE.
Ah figlia, ah figlia
Or dimmi, e quai fantasmi
Tiranneggian‘ la mente,
Alteran‘ le potenze,
Auuiliscono i sensi,
E in un dolor profondo
Agitan‘ gl'elementi
Dell‘ infelice tuo misero mondo?
Se i consigli d‘ Arsete,
Se l‘ honor di tè stessa,
Se la ragione oppressa
Dal tuo folle martire
Non ti sgombran‘ dal feno
Il desio di morire
Deh‘ ti souuenga almeno
Done sei, ciò che fai, e qual nascesti
Sei pur Regina.
ALÌ.
Ah taci.
ARSETE.
A un Rè non lice
Far della Regia vita indegno scempio,
E quant‘ oprano i Regi,
O di bene, ò di male è sempre esempio.
ALÌ.
Son vinta Arsete, io cedo, e ad altro tempo
Mi riserbo a narrarti
L'infelice cagione,
Ch‘ à disperarmi, anzi à morir m'è sprone.
Viurò per hora anch‘ io,
Se pur viuer può mai chi sempre more;
E già che non consenti,
Ch'io sciolga del mio feno.
Le disperate tempre,
Lascia almen, ch‘ io sospiri, e pianga sempre.
ARSETE.
Non scherzi con Amor, chi non vuol piangere:
Più del fato inesorabile,
Più del mar lieue, e instabile
Vola: fere, e non hà pace;
E con face
Ministra di cordoglio
Un‘ anima di scoglio ancor sà frangere.
Non scherzi con Amor, chi non vuol piangere:

Scena terza.

Sala con Camera del Serraglio.

GOLO.
Qual‘ error pouero Golo
Hò commesso in giouentù,
Che lontan dal Patrio suolo
Mi riduca in seruitù?
Misero me!
Sono alla Corte
Con pene della morte,
Né sò perche.
Ah fortuna hai ben ragione:
Per cagione
Di maligna conscienzia
Son condotto a penitenza
2.
Che tormento in regi fogli
Rinegar la libertà;
Ogni dì nuoui cordogli,
Chi ne tocca, e chi ne dà
Non posso più
La Corte è un mare,
Ch‘ hà l'onde troppo amare
Di seruitù.
Ah‘ fortuna hai ben ragione;
Per cagione
Di maligna conscienza
Son condotto à penitenza.
Sarei ben pazzo affè;
Mà pazzo da catena,
Se non sapessi anch'io
Andarne con la piena.
Veggio, che nelle Corti
Fà ogn'un qualche mestiero;
Ma per l'uniuersale
S'usa trinciar vestiti al forastiero
Anch'io sò dir del male
E lacerar chi falla,
Anch'io gioco alla palla, e batto al segno,
E s‘ hò brutto mostaccio, hò bell'ingegno.

Scena quarta.

Dirce, Golo.

DIRCE.
Etè pur vero, ò Golo,
Che tù facci languire
Dirce in sì bella età
Senza hauer mai pietà del mio martire?
GOLO.
Dirce tù mi tentasti
D'Amor più d'una volta;
Fastidiosetta, e stolta,
Vecchia, maligna, ingorda,
Ti chiamai, te ‚l ridico, e tù no ‚l fenti
Hor che tanti lamenti?
Doppo esser meza cieca, ancor sei sorda?
DIRCE.
1.
Son cieca, è ver; son cieca
Vinta da‘ tuoi bei lumi Idolo bello;
E de‘ tuoi baci ingorda
Alle pene di tanti
Miei lacrimosi amanti, anco son sorda.
O duol che mi distrugge!
Lascio altrui, Golo adoro, e ei mi fugge.
GOLO. 2.
T'intendo si t'intendo
Vecchierella d'Amor lieue trastullo.
Altri può di Gabrine
Inuaghirfi per nome:
Ma se mira la chiome, ohibò son‘ brine;
E per dirtela tutta
Non ti credo, t'abborro, oh sei pur brutta!
DIRCE.
A mè bestia da foma?
GOLO.
A‘ tè vacca mal doma.
DIRCE.
Voglio cauarti il cor.
GOLO.
Co‘ denti forse?
DIRCE.
Impertinente infido
Così tratti una Dama?
GOLO.
Io me ne rido.
DIRCE.
Saprà ben questo volto,
Quasi Cielo adirato
Fulminar un Gigante
GOLO.
Taci gobba tremante insana; e ria,
O qual vecchia medaglia
Vanne per anticaglia in Galleria.
DIRCE.
S'io ti guardo alla cera,
Io son da Galleria, tù da Galera
GOLO.
Che vecchia maladetta?
DIRCE.
Che buffone insolente?
GOLO.
Perfida.
DIRCE.
Dispettoso.
GOLO.
Arrogante
DIRCE.
Furfante.
GOLO.
Empia.
DIRCE.
Vituperoso.
GOLO.
Maliarda.
DIRCE.
Spione.
GOLO.
Adoprarò le mani,
DIRCE.
Et io l‘ bastone.

Scena quinta.

Oronte, Golo, Dirce.

ORONTE.
Olà dunque si vili
Stimansi i regi tetti
Ch‘ oltraggiati, e negletti
Di clamori plebei son fatti asili?
Dunque la Persa Regia
Cinta dalle superbe
Babiloniche mura
Del rispetto seruil non è sicura?
GOLO.
Signor.
ORONTE.
Taci.
DIRCE.
Costui.
ORONTE.
Tacete, e ciò ch'à voi
Della mia bella Dori
(O memorie gradite)
Pur dianzi palesai
Ad Arsinoe ridite.
Tù vanne ad Artaxerse, e in questo loco
Di, ch'Oronte l‘ attende

Scena quinta.

Oronte, Golo, Dirce.

ORONTE.
Olà dunque si vili
Stimansi i regi tetti
Ch‘ oltraggiati, e negletti
Di clamori plebei son fatti asili?
Dunque la Persa Regia
Cinta dalle superbe
Babiloniche mura
Del rispetto seruil non è sicura?
GOLO.
Signor.
ORONTE.
Taci.
DIRCE.
Costui.
ORONTE.
Tacete, e ciò ch'à voi
Della mia bella Dori
(O memorie gradite)
Pur dianzi palesai
Ad Arsinoe ridite.
Tù vanne ad Artaxerse, e in questo loco
Di, ch'Oronte l‘ attende
DIRCE.
Parto
GOLO.
Obbedisco.
ORONTE.
E voi fidi Guerrieri
Da me lungi partite,
Ch'ho pur troppo compagni i miei pensieri.
1.
Rendetemi il mio bene,
Se volete, ch‘ io viua astri maluagi
Viuer lungi dal suo foco,
Liquefarsi à poco à poco.
E languir tra mille pene
Son‘ di morte crudel certi prefagi
Rendetemi il mio bene,
Se volete ch‘ io viua astri maluagi.
2.
Naue son, ch‘ in mar s‘ aggira
Son Nocchier, ch‘ al porto aspira
Ma soffiando aura di spene
Hò nell'Egeo d'Amor mille naufragi.
Rendetemi il mio bene,
Se volete ch‘ io viua astri maluagi.

Scena sesta.

Artaxerse, Oronte.

ARTAXERSE.
Pur conuien, ch'io ti veggia
O del Persico scetro inuitto Erede,
Con sentimenti occulti
Formar di questa regia
Lacrimoso teatro a‘ tuoi singulti?
Dimmi Oronte, che fai? forse ti pesa
Douer in sacro nodo
Con Arsinoe legarti,
Con Arsinoe la bella, anzi la Dea,
Ch'à te solo promessa,
Fu dal Cielo, e dal Padre, e là Nicea
T‘ offerse in Dote, e ti donò se stessa?
Non sai figlio, non sai,
Che se tosto non prendi
La stabilita moglie,
La corona di Persia a te si toglie,
Forse ancor non intendi,
Che l'Impero l'aspetta, il tempo il chiede,
La ragion lo comanda, e il Ciel ti vede?
Lascia Oronte deh lascia
Di vaneggiar co‘ pianti:
Adopra inuitto figlio
La ragione, e l‘ ingegno,
E con saggio consiglio
Porgi fine al penar, principio al Regno.
ORONTE.
A bastanza, Artaxerse,
Hò sin‘ hor conosciuto
Il tuo cor, la tuo fe, l'affetto, e'l zelo.
So che la terra, e'l Cielo
Mi chiamano alle nozze: Arsinoe è bella:
Bramo la Persia ancella:
Offro tutti i miei sensi
Ubbidienti, e cheti
A‘ Paterni decreti;
Ma se l'affetto, oh dio,
Radicato in quest'alma
Verso la bella Dori
Hà del mio cor la palma,
Se de miei primi, e disperati Amori
La memoria dolente
Mi forza a lacrimar, s‘ ogn'or la veggio
O sognando, o vegliando, a me d'auanti
Ricordarmi la fe, che li giurai,
Come potrò gia mai
Cangiar costumi, e dar esiglio a‘ pianti?
ARTAXERSE.
Io compatisco Oronte
Il tuo graue dolore, e so per proua,
Che bellezza, e Amore
In un alma gentil son‘ dolce incanto;
Ma se Dori morì, che gioua il pianto?
ORONTE.
Morì Dori morì;
Ma non morrà, se pria non moro anch‘ io
Quest‘ affanno, il suo nome, e l'ardor mio.
ARTAXERSE.
Assai piangesti, or consolar ti dei.
ORONTE.
Dori, Dori, oue sei?

Scena settima.

Alì, Arsete, Artaxerse, Oronte.

ALÌ.
Son qui mio bene.
ARSETE.
Ah taci.
ARTAXERSE.
E non t‘ accorgi
Ch'il seguir morti, è un conuersar con l'ombre?
ORONTE.
Se trouar la potessi, ò come anch'io
Volentier morirei.
ARTAXERSE.
Figlio vaneggi.
ALÌ.
Lasciami Arsete, oh‘ dio,
ARSETE.
Taci se vuoi.
ORONTE.
Non la vedi Artaxerse
D'auanti à questi lumi, e non udisti
Il dolce fauellar de‘ labri suoi?
ARTAXERSE.
Alcun non vidi.
ALÌ.
Ahi las.
ORONTE.
E non la senti
Querelarsi d‘ Oronte?
ARTAXERSE.
E nulla ascolto.
ORONTE.
Odo ben'io parlar, veggio il bel volto.
ARTAXERSE.
Alcun qui non comparue; il duolo, ò figlio
I sensi ti delude,
Et in vece di Dori
Com‘ à un egro, che dorme
Ti mostra varie voci, è varie forme.
ORONTE.
Pur troppo anch'io son egro.
ARTAXERSE.
Omai t'acquieta
Ne cercar d‘ auuantaggio,
Che seguir larue arte non è da grandi
Tù ch‘ à gl'altri comandi, opra da saggio.
ORONTE.
Oh dio son fuor di senno.
ARTAXERSE.
In tè ritorna.
ORONTE.
Non posso.
ARTAXERSE.
Anzi non vuoi.
ORONTE.
Son fragili anco i Regi
ARTAXERSE.
Si, mà meno d‘ Oronte.
ORONTE.
Chi mi consiglia?
ARTAXERSE.
La ragione.
ORONTE.
E quando?
ARTAXERSE.
Tosto, ch‘ ai sensi la ragion da bando.
ORONTE.
Morirò.
ARTAXERSE.
Viuerai.
ORONTE.
Pugnano in me gl‘ affetti,
Ne scorgo, chi precede
ARTAXERSE.
Se fai giudice il senno, il senso cede.
ORONTE.
Ahi consiglio se vero!
ARTAXERSE.
Sei Rè, sei grande, e se con graue impero
Non comandi à tè stesso,
Ben tosto t‘ auuedrai,
Che sono i pianti, e i guai
Delle ruine tue ministri, e rei?
ORONTE.
Dori, Dori oue sei?

Scena ottava.

Alì, Arsete.

ALÌ.
1.
Amor se la palma
Di crudo pretendi
Con ardermi il sen,
Perche mi contendi
Ch‘ io spiri quest‘ alma
In braccio al mio ben?
S'appaghi la sorte
Vola pur à ferir, ch‘ io corro à morte
2.
Destin se di mali
Nutristi mia vita,
Per farmi languir:
Fa pur che tradita
Quest‘ anima esali
Frà tanti martir.
Non bramo ristoro,
Altri viua ridendo, io piango, e moro.
ARSETE.
Non più: tempo ò Regina
E, che tù mi palesi ad una ad una
Le vicende più rie di tua fortuna
Io dal tuo dir già pendo,
Altri non è, ch'ascolti, e fido intendo
Porger al regio seno
S'aita non potrò, consiglio meno.
ALÌ.
Ascolta. Arsi in Egitto
Del Prence Oronte: Egli di me S‘ accese,
M'adorò, l‘ adorai; regio decreto
Lo fà sposo d‘ Arsinoe, ei geme, io piango,
Mi dà la fede, e parte,
Semiuiua rimango. A‘ notte oscura,
Con la scorta d‘ Erasto,
Ch‘ Oronte mi lasciò, getto la gonna
Da guerriero mi vesto, Alì m'appello;
Mi dileguo dà Mensi, e quasi à volo
All‘ Egitto m‘ inuolo
Soura alato vascello,
Spiego all‘ aura le vele; ecco un corsaro
Mi cinge il cuor di duolo, il piè d‘ acciaro.
Fuggo per l‘ onde à nuoto. Empia masnada
Mi fà prigione, e in Nicea mi vende.
Per suo schiauo pietosa
Arsinoe mi prende,
Quiui son per sospetto
Qual vittima innocente
Condennata à morir, lei nò'l consente.
M‘ offre la libertà, mi guida in Persia,
Mi consida il suo cor candido, e bello,
Vede Oronte, l'adora, anzi vien meno;
Eccoti nel mio seno
D'amiciziá, e d‘ Amor fiero duello.
Oronte anch‘ io riueggio,
Che m‘ offerua la fede,
Se ben morta mi crede, e che far deggio
Son schiana, amo l'amica, Oronte adoro,
Tolomeo mi vuol morta, e pur non moro!
Or pensa alla mia vita, e vedi come,
Speranza, gelosia, sdegno, e amore.
Amicizia, catene, odij, e martelli
Son del misero core
D'Amante Prencipessa empi flagelli,
ARSETE.
Non hò cor di macigno,
Nemi stringono il sen duri diamanti,
Anzi pietoso anch‘ io
Mi dolgo al tuo dolor, piango a tuoi pianti.
Tergi le belle luci,
E confida nel Cielo: errasti è vero,
Mà che? fallo d'Amor sempre è leggiero.
Vedo il Ciel che t'assolue, e ti rammento,
Ch‘ ogni cosa mortal si cangia, e volue.
Opra assai, parla poco, e sempre spera,
Mà temi che ben lice
A generoso cor temere ancora,
E guardia più sicura
Bella donna non hà, che la paura.
ALÌ.
O Ciel, pietoso Cielo
Tu che vedi il mio core,
Che nell'Egeo d‘ Amore, è quasi absorto,
Tu reggi il legno, e tu mi guida in Porto.

Scena nona.

Arsinoe, Celinda, Dirce.

ARSINOE E CELINDA.
Se perfido Amore
Co‘ dardi vi punge
Se tacito ardore
Al seno vi giunge:
Ogni punta ogni foco
Prendete amanti a gioco;
Che le facelle, e‘ strali
Son ben armi d'Amor, mà non mortali.
Se l‘ arco d'un ciglio
Vi toglie la vita,
Se un labro vermiglio
A‘ baci v‘ inuita,
Ogni vezzo, ogni strale,
Credete amanti è frale;
Sguardi, e lusinghe accorte
Son ben armi d'Amor, mà non di morte.
DIRCE.
Già t‘ è palese o bella
Ciò ch‘ il mio figlio Oronte
Di scoprirti m'impose
Del maligno tenor della sua stella.
Or tù pietosa condonar li dei
Questa breue dimora
Di promessi Himenei.
Nel petto omai nascondi
Ogni cordoglio amaro,
Ch‘ aspettato gioir giunge più caro,
Or dimmi, e che rispondi?
ARSINOE.
Digli ò Dirce,
DIRCE.
Di piano
Che Celinda non t‘ oda.
ARSINOE.
Perche?
DIRCE.
Queste Donzelle
Si nutron di nouelle:
S‘ allargano con tutti,
E se tù non l‘ auuerti,
Han‘ sempre chiuso un occhio, e i labri aperti.
E vero che tal una
Pensa assai, ride poco, e è modesta
Mà dentro, Arsinoe mia, stà chi la pesta.
ARSINOE.
Vanne, e dal sen d‘ Oronte
Ogni tristo pensier caccia, e disgombra
Narrali, ch‘ il mio core
E pronto à suoi voleri,
E benche aspri, e seueri
Sian‘ gl‘ indugi d‘ Amore,
Arderò, tacerò, i giorni, e gl'anni,
Che per esser gradita
Da lui, ch‘ è la mia vita,
Mi son‘ cari i sospir; dolci gl‘ affanni.
DIRCE.
Io vò: credimi figlia,
Io ti predico il vero,
Sarai felice, e‘ cangerà pensiero.
Ch‘ i giouani oggidi
A una buona parola
Cambian‘ la man, com'un Polledro à scola.

Scena decima.

Celinda, Arsinoe.

CELINDA.
O‘ quanto Arsinoe bella
Compatisco il tuo stato.
Un gioire aspettato
Pur troppo il prouo anch‘ io l'alma flagella.
Mà taci, e ti consola,
Ch‘ à dolersi d‘ Amor non sei tù sola,
ARSINOE.
Tù mi parli, ò Celinda,
D‘ amor, come per arte,
Dimmi forse fà parte
Cupido ancora à te di qualche affanno.
CELINDA.
S‘ io non peno mio danno.
ARSINOE.
E quale, ò cara, e ‚l vago
Che ti dà tal martoro?
CELINDA.
Un cor, ch‘ io sò, che m‘ ama,
Mà non sa, ch‘ io l‘ adoro.
ARSINOE.
E doue stassi?
CELINDA.
Non è lungi dà me.
ARSINOE.
Come s'apella?
CELINDA.
Arsin, ò Dio, non sò.
ARSINOE.
Non sai nomarlo?
CELINDA.
Nò,
ARSINOE.
Che strauagante Amor? ti corrisponde!
CELINDA.
Credo di sì.
ARSINOE.
Ti parla?
CELINDA.
Ogni momento
ARSINOE.
Tù mi burli Celinda.
CELINDA.
O‘ qual contento
Prouo tal‘ hora in discoprirli à pieno
L‘ infocato desio di questo seno?
Quante volte con questa
Stringo la bella destra, e nutro il core,
Di speranza d‘ Amore?
Quante volte li dissi
Mio caro, Idolo mio
Con quei pietosi lumi
Mi struggi, e mi consumi
Celinda per te langue:
Se ne vuoi maggior fede,
Prendi l‘ anima mia, prendi il mio sangue,
Che stillato dal sen, corre al tuo piede.
Mà del mio sangue, oh dio,
Che dar più ti poss‘ io?
Porgi, deh porgi omai
Le bellissime labra, e ba-
ARSINOE.
Che fai?
CELINDA.
Così parlo al mio bene.
ARSINOE.
Mà troppo al viuo
Rappresenti l‘ ardor, fors‘ il tuo vago
E somigliante à me?
CELINDA.
Tù sei l‘ imago,
Anzi l‘ originale.
ARSINOE.
Inuidio ò cara
La tua pace amorosa, or mentre adegui
Al tuo gl‘ affetti miei
Al giardino mi segui.
CELINDA.
Tosto vèrrò, mà solo
Per non lieue cagion, deh mi consenti,
Che per pochi momenti
M'allontani dà te, poi torno à volo.
Mia cara,
Idolo mio,

Arsinoe e Celinda.

ARSINOE.
Celinda, Addio
CELINDA.
Arsinoe, Addio

Scena undecima.

Celinda.

Tu parti Arsione lacrimosa, e mesta
E me quì lasci esangue
Mà non sai se più langue
O‘ chi parte, ò chi resta.
Se tù sapessi [oh dio,] Che sotto questa spoglia
Viue il Prence d‘ Egitto,
Sò ben che l‘ aspra doglia,
Ond‘ Amor ti martira
Cangeresti in stupore, e forse in ira.
Misero Tolomeo!
Di quante colpe, e quante
Con mentito sembiante ahi mi fò reo?
Mà che? tal visse Achille. Alcide istesso
Fù donna un tempo, e feminile affetto
Hebbe di lui la palma.
Se donnesca hò la veste, ho regia l‘ alma.
Lasso; ma che farò?
Scosprirò? tacerò?
1.
Tù credi mio core
Occulto adorar,
Mà tacito ardore
Ti guida a penar.
Ah duro laccio,
Ah fiero martir!
S‘ io parlo, s‘ io taccio
M'è forza morir.
2.
E fatto il cor mio
Berfaglio d‘ Amor,
Mi sprona il desio,
Mi lega il timor.
Io non v‘ intendo
Confusi pensier:
Parlando, ò tacendo
M‘ è forza cader.

Scena duodecima.

Bagoa, Celinda.

BAGOA.
Se per un sol momento
Non volete ò fraschette
Star chiuse nel serraglio
Sarà forza tenerui
Come cani al guinzaglio.
Che razza maladette?
Appena giro un ciglio, elle son fuori
A ciuettar finestre,
E per conto d'amori
Benche donzelle sian sembran maestre.
CELINDA.
Non t'adirar Bagoa:
Nel giardin per sollazzo
Con Arsinoe discesi à coglier fiori;
Mà ch'io parli d‘ amori, ohibò sei pazzo.
BAGOA.
Non tanto fumo ohimè!
Mà dimmi per tua fè;
Tù che parli con tutti
Cerchi di coglier fiori, ò vender frutti?
CELINDA.
Amico omai t‘ acqueta
Non fà questi mercati una mia pari,
Perch‘ i frutti d'Amor son troppo cari.
BAGOA.
Non ti credo sorella, anzi oggidì
Si vendono per nulla,
Nè sarebbe gran noua,
Che tal‘ una di voi gli dessi à proua.
CELINDA.
Non m‘ offender Bagoa: Pudica io sono.
BAGOA.
Pudica? tel perdono.
Guardati ben Celinda,
Che se singi la casta, e l‘ Eremita
Tù non facci una brutta riuscita.
CELINDA.
Orsù taci maligno, ò ch‘ io m‘ adiro.
BAGOA.
Segno di verità. Vanne alle stanze.
CELINDA.
Non voglio.
BAGOA.
Io tel comando.
CELINDA.
Obedisca, chi dene.
BAGOA.
O là non senti?
CELINDA.
Non mi dar più tormenti,
Voglio oprar à mio senno.
BAGOA.
Perdi il rispetto?
CELINDA.
Taci,
Eunuco mala detto,
Che se trapassi il segno,
La mia destra, il mio sdegno
Ti mostreran la forza
D‘ un offesa modestia,
Mezz‘ huomo, mezza donna, e tutto bestia.
BAGOA.
Mira à che sei ridotto
Infelice Bagoa?
Fatichi à più non posso,
Et ogni donna ti fà l‘ huomo addosso.
Temo, che queste frascho
Con si poco rispetto
Non faccin del serraglio un bordelletto.
L'usanza vuol così, ma sono eterne
Sol l‘ usanze cattiue al mondo ignaro
Così van poi del paro
Usanze antiche, e bizzarie moderne.
Prenda chi vuol la cura
Di riformar costumi,
Ch‘ io per me fin che dura,
Passerò i giorni, e gl‘ anni
Lungi dalle fatiche, e da gl‘ affanni.
Così nessun s‘ adiri,
E chi sente scottarsi il piè ritiri,
1.
Voi che hauete del serraglio
Vigilante seruitù
E nel fior pi giouentù
D'un Norcin fosti bersaglio.
La stanza è sicura,
Alcun più non v‘ è,
Lasciate ogni cura,
Venite con mè,
Se ben con l‘ età
La forza si stanca,
Bel tempo non manca
Chi prender lo sà.
2.
Voi ch‘ in musici trastulli
Risonate fino al Ciel,
E con guancia senza pel
Ogni dì sete fanciulli
Il ballo mouete
Veloci col piè,
Danzate, correte,
Venite con mè,
Se ben con l‘ età, etc.

Ballo d‘ Eunuchi; e fine dell‘ Atto primo.

Atto II

Scena prima.

Giardino sotto il serraglio.

Erasto.

ERASTO.
1.
Stella che torbida mali influì;
Sorte, che rigi da sepre girò
Non si penti nò nò; costante, e inuitta
Contr'un Alma trasitta incrudelì
Così lasso prouai
Fiera sorte, aspro duolo, e gioie mai,
2.
Fato, che stabile scrisse nel Ciel
D‘ un petto misero la feruitù
Non si cangia non più; mà dura e freme,
E quando un cor più geme, è più crudel.
Così, lasso, discerno
Sordo il Ciel, vario il bene, e'l mal'eterno.
O Celinda,Celinda
O dell‘ anima mia dolce conforto.
S‘ io ti cerco, sospiro,
S‘ io ti veggio respiro,
Se mi neghi pietade, ohimè, son morto
Maladetto serraglio, empie catene,
Che mi celate ogn‘ ora
La mia vita, il mio bene,
Voi, ch‘ il mio pianto udite
Rendetemi il mio core, o ‚l cor m'aprite
Mà tempo è, che d‘ Oronte
Alla cura io ritorni; ei pur sospira
Per non lieue cagione; amore, e ira
Furano anco à i regnanti
La ragione, il riposo, il pregio, e'l fasto.
Affetti, e che farete.

Scena seconda.

Arsete, Erasto.

ARSETE.
E Rasto, Erasto?
ERASTO.
Chi mi chiama, chi sei?
ARSETE.
Non mi conosci tù?
ERASTO.
Ne per pensiero.
ARSETE.
Non ti souuien di Arsete?
ERASTO.
Arsete, ò caro Arsete,
Com‘ in Persia dimori?
ARSETE.
Guari non è, ch‘ à seguitar la traccia
Della smarrita Dori,
E dell‘ Egizzio erede
Riuolsi in Babillonia il core, e'l piede.
ERASTO.
Ancor non sai, che Dori
Diè fine in mezzo all‘ acque
Alla vita, à gl‘ amori!
ARSETE.
T'inganni. Oh dio, che sento?
ERASTO.
Pur che il duolo, e ‚l tormento
Non mi leghi la voce;
Narrerotti, se'l chiedi, il caso atroce.
ARSETE.
Di pur.
ERASTO.
Che pari affetto
Dori, e Oronte accese
Fin‘ d‘ Egitto saprai.
ARSETE.
Ben m‘ è palese.
ERASTO.
Che Dori il suo diletto,
Cui sacrò l‘ alma in voto.
Per l‘ onde seguitò;
ARSETE.
Tutto m‘ è noto.
ERASTO.
Or sappi, che non lungi al Tracio lido
Giunse pirata in fido
Ch'altri del nostro legno à morte spinse,
Altri col‘ ferro auuinse.
Hauea tuffati omai
Il sol nell‘ onde i rai
Quando la bella Dori,
La man mi strinse, al Ciel le luci affisse,
E spirando pietà così mi disse.
Erasto ardire. Alla seruil catena
Vo col nuoto sottrarmi,
Che tù venga, non chieggio:
Mà s‘ in Persia ritorni,
E ch‘ io non giunga al lido,
Narra pur ad Oronte,
Che qual vissi per lui, per lui m‘ uccido.
Così fermo hò ‚l desio,
Se vieni io parto, e se qui resti;
Addio.
ARSETE.
Generosa donzella; e tù partisti.
ERASTO.
Fuggimmo entrambi, e così fiero ardire
Spingea la bella à terra,
Ch‘ io seguir non potea; ma vinta al fine
Dal gran peso del ferro,
Ch‘ il bel piè le cingea
Perse priua d‘ aita
Il coraggio, e la vita.
ARSETE.
Forse ancor non è morta.
ERASTO.
Ah lo volesse il ciel! benche lonrano
Giunsi pur anco al lido,
E più volte chiamai, mà tutto in vano,
ARSETE.
Al fin tù di sua morte
Sicurezza non hai.
ERASTO.
Nò: mà che viua io non dirò già mai.
ARSETE.
Chi sà? forse diuerso
Haurà preso dà te Dori il sentiero.
Io la ricerco, e spero,
ERASTO.
Volgi Arsete la mente
A cercar Tolomeo,
Che se per lei t‘ affanni
Tù perdi il tempo, la fatica, e gl'anni.
ARSETE.
Deh se t‘ aggrada Erasto
Alla regia mi guida.
Mi lusinga la speme oggi il desio;
Mà non mi palesar.
ERASTO.
Ecco m‘ inuio
Incognito viurai, di me ti sida.

Scena terza.

Arsinoe, Alì.

ARSINOE.
1.
Quanto è dura la speranza
D'un gioir, che mai s‘ ottiene:
Notte, e dì si mira il bene:
Mà dipinto in lontananza
Quanto è dura la speranza.
ALÌ. 2.
Se sperando altrui s‘ auanza
Segue l‘ ombra, e stringe il vento,
Che la speme è sol tormento
Mascherato da costanza.
ARSINOE.
Quanto è dura la speranza
Alì mio fido Ali
Troppo è simile al tuo lo stato mio,
Tù sei schiauo, io prigion, tu piangi, io moro,
Serui, chi t'ama, io chi mi sprezza adoro,
Te stringe un ferro, e me trasigge un Dio.
Sol diuersa nel fine
Dàte, caro, m‘ osterua:
Sarai libero un giorno, io sempre serua.
ALÌ.
Signora omai t'acqueta, e non ti spiaccia
A‘ uno schiauo fedele
Genuflesso al tuo piede
Prestar credenza, e fede.
ARSINOE.
Ergiti amico, e parla.
ALÌ.
Io mi dò vanto,
Prima che mora il giorno,
Di sposarti ad Oronte
ARSINOE.
O‘ quanto, ò quanto
Baciar ti voglio Alì, se ciò m'attendi.
Mà tù come pretendi
Schiauo, straniero, e solo
Cauar d'affanni Oronte, e me di duolo?
ALÌ.
Orsu m'ascolta, e credi
Quanto Alì ti promette. Oggi vedrai,
Con secreto gentile,
Che nell'Egitto ancor fanciullo appresi,
Tuo sposo Oronte, anzi tuo seruo umile.
ARSINOE.
Ah tù mi burli Alì.
ALÌ.
Parlo da senno.
ARSINOE.
Mà così tosto?
ALÌ.
In un girar di sole.
ARSINOE.
Qual secreto userai?
ALÌ.
Preghi, e parole.
ARSINOE.
Lo prouasti già mai?
ALÌ.
Tanto, ò Regina,
Sicuro e'l tuo desire
Di sposar oggi Oronte,
Quanto è Alì di morire.
ARSINOE.
Oh dio, se fosse vero!
ALÌ.
Ancor non credi.
ARSINOE.
Ti credo ma-
ALÌ.
Che mà?
ARSINOE.
Temo,
ALÌ.
Di che?
ARSINOE.
Del mio fiero deflino.
ALÌ.
Orsù Regina
Taci, t'acqueta, e parti, e s'in un giorno
Il tutto non adempio,
Fa di questa mia vita orrido scepio.
ARSINOE.
Tù mi consoli Alì
ALÌ.
Vanne, mà taci
Ch'il fatto non si scopra:
ARSINOE.
Addio ti lascio.
ALÌ.
Et io m'accingo all'opra.

Scena quarta.

Alì.

1.
Amor, che mi consigli?
Che mi consigli Amore:
Degg‘ io dal duolo oppressa
Tor la vita à me stessa?
Vorrà l‘ honor, oh dio,
Ch‘ io doni altrui ciò, che pur troppo è mio?
Arderò.
Struggerò
Frà continui perigli il proprio core?
Amor che mi consigli?
Che mi consigli Amore;
Nò nò Dori non deue
Benche schiaua, ftraniera, e peregrina
Tradir altrui per inalzar se stessa
Son ben amante, è ver; mà son Regina.
Sì sì pieghisi Oronte,
Arsinoe si contenti,
E se frà l‘ onde, e i venti,
S‘ e per la destra infame
Di carnefice ingiusto
Non seppi terminar la vita, el duolo
Oggi uno fguardo solo
Della felice coppia
D'un Imeneo giocondo
Tragga Arsinoe d‘ affanni, e me dal mondo.
Mi diè la vita Arsinoe,
Per Arsinoe si perda, e veggia amore,
Ch‘ entro d‘ un Regio petto
Cede forza d'affetto à fe sincera.
Pur che viua l'honore, il tutto pera.
Posa Dori infelice
In quest‘ arene, e stanco
Fin ch‘ Oronte non giunge, adagia il fianco.
Care arene, amica terra,
S‘ una perpetua calma
Fecondi sempre mai le vostre piante,
Non vi sia graue di Regina amante
Dar riposo alle membra, e pace all'alma.

Scena quinta.

Golo, Alì, chi dorme.

1.
Sotto vario alto pianeta
Son quaggiù gl'huomini in terra
Et ogn'alma hor trista, hor lieta
Gode in pace, e suda in guerra.
Chi trauaglia, chi beue,
Chi dona, chi riceue,
Chi è goffo, e chi ciuile,
Chi domina la flemma, e chi la bile.
Cerca ognuno i fuoi vantaggi:
Mà per diruela in un tratto
E‘ politica dà saggi
Esser furbo, e far da matto.
2.
Se tal'un viue d'entrata,
Campa un'altro di ceruello;
E se gonza è la brigata,
Addio borsa, addio mantello,
Chi ride, chi s'accora,
Chi dorme chi lauora,
Chi vuol caccia, e chi pesca,
Chi vuol del gioco, e chi d'amor la tresca.
Cerca ognuno i suoi vantaggi.
Mà per diruela in un tratto
E‘ politica dà saggi
Ester furbo, e far dà matto.
E‘ l'ignorante, il dotto,
Il melenso, l'accorto,
L'Ipocrita, l'auaro, e'l collo torto.
Altri per far dell'oro
Il Patrimonio strugge,
Nè vede l'animale,
Che pertroppo lauoro
Corre à soffiar carboni allo spedale.
Chi biasima, chi loda.
Chi fà leggi alla moda, ognuno al fine
Nel mondo ha ‚l suo mestiero,
E dall‘ arbore eterno delle stelle
Chi colse la virtù, chi le girelle.
Appunto ecco lo schiauo,
Che per non faticar fà l'ammalato
Alì, Alì, non senti?
Stà sù can rinegato.
ALÌ.
Chi turba i miei contenti?
Chi rompe il mio riposo?
GOLO.
Come fa l'affannoso?
Sorgi, ch'erbetta molle
Non è coltre dà schiaui.
ALÌ.
Amico Golo
Lascia, deh lascia in pace
Un, che di pene acerbe
Vaneggia sonnacchioso in grembo all‘ erbe.
GOLO.
Tu vorresti fuggir.
ALÌ.
Guardimi il Cielo.
GOLO.
Ebro sarai.
ALÌ.
Nè meno.
GOLO.
Nò nò questo non falla:
Se tù vuoi riposar, vanne alla stalla
ALÌ.
Imparate mortali.
GOLO.
Orsù stà in piede,
Turco, ladro, mal nato, e senza fede.
ALÌ.
Pur troppo son fedele,
GOLO.
Al bagno, al bugno.
ALÌ.
Deh‘ per pietà.
ORONTE.
S‘ al mio parlar non credi,
Saprò giocar di mani, e poi di piedi.
ALÌ.
Tù vedi ò Cielo, e soffri? Amica Golo.
Se mai qualche pietà ti giunse al seno,
Deh compatisci almeno
L'innocenza, l'etade, i ferri, e'l duolo.
GOLO.
Non più.
ALÌ.
Deh prendi questa
Picciola gioia, che di tate ancora
Regie grandezze mie, sola mi resta,
E lascia per breu'hora,
Già che le membra faticar non ponno.
Viuer chi mai non dorme in braccio al sonno.
GOLO.
La pietà si risente. E perche sappi,
Che se ben giusto, son ancor pietoso,
Ti concedo il riposo.
La vergogna mi tiene,
L'utile mi fa bene:
E poi chi mi vedesse
La stimeria pietà, non interesse,
ALÌ.
Fortuna ecco la vita. Altri rigori
Non ti restan‘ per Dori.
S'il mio sangue non spandi.
A sì miseri segni
Giungon tal'hora i grandi.
Che comandano a i Regni.

Scena seconda.

Oronte, Alì, che dorme.

ORONTE.
1.
Mi rapisce la mia pace
Pertinace
Ne‘ suoi danni un dio guerriero;
E seuero
Mi costringe in lungo assedio
A‘ cader senza rimedio.
O Cieli, e che sarà?
O morire, ò libertà.
2.
Mi lusinga dolcemente,
Nè consente,
Ch'io disperi-
ALÌ.
Oronte, Oronte?
ORONTE.
Mi lusinga dolcemente,
Nè consente.
Ch'io disperi il dio de cori.
ALÌ.
La tua Dori-
ORONTE.
Oronte, la tua Dori?
Chi parla ò là? Chi turba
Gl'affetti à un Regio seno?
ALÌ.
Per te, lassa, vien meno.
ORONTE.
Pur anch'io sento, oh dio,
Del bell'Idolo mio voci, e sospiri.
Dori doue t'aggiri alcun non vegio.
O‘ m‘ inganno, ò vaneggio.
2.
Mi lusinga dolcemente,
Nè consente
Ch‘ io disperi il Dio de cori:
Mà se Dori
Questi lumi non ritrouano
Le speranze più non giouano,
O Cieli, e che sarà?
O‘ morire, o libertà.
ALÌ.
O‘ morire, ò libertà.
ORONTE.
Libertà.
ALÌ.
Libertà.
ALÌ E ORONTE.
O‘ morire; ò libertà.
ORONTE.
Olà?
ALÌ.
Signor,
ORONTE.
Chi sei?
ALÌ.
Un che dormo vegliando i sonni miei.
ORONTE.
Chi ti condusse in Persia?
ALÌ.
La fortuna, à mio danno.
ORONTE.
A chi ferui?
ALÌ.
Al destino.
ORONTE.
Troppo crudo Signor
ALÌ.
Anzi Tiranno.
ORONTE.
Come qui ti ritroui?
ALÌ.
A‘ caso errante.
ORONTE.
Perche piangi?
ALÌ.
Non sò.
ORONTE.
Che fai?
ALÌ.
Ti bacio-
ORONTE.
Sorgi.
ALÌ.
Pria di morir l‘ amante piante.
ORONTE.
Sorgi infelice.
ALÌ.
Oh Dio!
ORONTE.
Come t'appelli?
ALÌ.
Alì,
ORONTE.
Sei forse Trace?
ALÌ.
Egizzio io sono.
ORONTE.
La tua Patria?
ALÌ.
Fù Memfi
ORONTE.
O‘ quanto, ò quanto
La memoria di Memfi inuita al pianto.
ALÌ.
O fingì, ò mori
ORONTE.
Oue seruisti?
ALÌ.
In Corte.
ORONTE.
A qual signore?
ALÌ.
A‘ Dori.
ORONTE.
Misera Dori, e non rauuisi Oronte!
ALÌ.
Ben lo conosco.
ORONTE.
Et io già mai ti vidi.
ALÌ.
Ah lo volesse il Cielo.
ORONTE.
In qual grado hai feruito?
ALÌ.
Fui paggio, e ben gradito.
ORONTE.
Ancor non ti rauuiso;
ALÌ.
Et è pur vero?
ORONTE.
Che sarà mai?
ALÌ.
Ch‘ Oronte-
ORONTE.
Parla.
ALÌ.
Non riconosca.
ORONTE.
Come?
ALÌ.
Quell'infelice.
ORONTE.
Mà chi?
ALÌ.
Che per souerchio.

Scena settima.

Artaxerse, Oronte, Alì.

ARTAXERSE.
Et anco Oronte.
ORONTE.
Importune consigli?
ALÌ.
A tempo ei giunge
ARTAXERSE.
Stimol d'honore il regio sen non punge?
Dunque i serui più vili,
Ad un remo soggetti,
Dà le cure seruili
Passan‘ co i regi à vaneggiar d‘ affetti?
ORONTE.
Non sempre è vil, chi catenato hà ‚l piede.
ALÌ.
Persi la libertà, ma non la fede.
ARTAXERSE.
Taci barbaro.
ORONTE.
O‘ là?
ALÌ.
Soffrir conuiene.
ARTAXERSE.
Mancano forse in Persia
Di costumi, e di fede illustri ingegni
De‘ cenni tuoi del tuo fauor più degni?
ORONTE.
Non pecca un Rè, s‘ anco i più bassi ascolta
ARTAXERSE.
Sente chi parla un Rè, parla à chi deue:
ORONTE.
Biasimi la pietà?
ARTAXERSE.
Lodo il decoro.
ORONTE.
Alcun non vede,
ARTAXERSE.
E chi l‘ accerta?
ORONTE.
A tutti
Del giardino real chins'è la via.
ARTAXERSE.
A i grandi, ò figlio, anco il silenzio è spia.
ORONTE.
Mà che direbbe il mondo,
Se così mi vedesse?
ARTAXERSE.
Dirà, ch'io non errauo,
Sgridando un Rè, che segue
Per guida il senso, e per compagno un schiauo
ORONTE.
Sia come vuoi. Dimmi che persi?
ARTAXERSE.
Assai.
ORONTE.
Mà che!
ARTAXERSE.
La Maestà.
ORONTE.
Sempre col manto
Non siede Oronte in soglio.
ARTAXERSE.
Sei però sempre Rè.
ORONTE.
Dunque à mio senno
Già, che sempre son Rè, regnare io voglio.
ARTAXERSE.
Oronte ah folle Oronte
Tù corri alle suenture,
Tù voli al precipizio,
E così basse cure
In tè non son virtù, ma senso, e vizio.
Non vedi ancor, non vedi,
Che per le tue follie.
La corona vacilla, il Regno langue,
Cade il manto dal seno,
Manca l'honor, la maestà vien meno?
Or dimmi, ou'è la fede,
Ch‘ ad Arsinoe donasti? ou'è la prole.
Che dalle nozze tue la Persia attende?
Così si regna in Asia? Ah figlio, ah figlio,
Eccomi a‘ piedi tuoi.
S'al Regno, s‘ all'honor pesar non vuoi,
Pensa almeno al periglio,
A cui, sia con tua pace,
Il tuo sangue soggiace.
Torna in te stesso, e non lasciar ch'immerso
In letargo profondo
Sia il Rè di Persia fauola del mondo.
ORONTE.
Fortuna à che mi guidi?
ALÌ.
Oronte io sò, che Dori,
Benche sepolta sia,
La tua pace desia.
ARTAXERSE, ALÌ.
Si, si trionfi amor, fugga lo sdegno.
ALÌ.
Alle gioie.
ORONTE.
Fermate:
ARTAXERSE.
A i diletti
ORONTE.
Tacete.
ARTAXERSE, ALÌ.
Alle nozze, alle nozze, al Regno al Regno.
ORONTE.
La ragìon mi fà scorta.
Son vinto Alì. Son vinto.
ALÌ.
Et io son morta.
ORONTE.
Si dia bando al dolore.
ARTAXERSE.
Pur cangiasti tenore
Fati peruersi, e rei.
ORONTE.
Dori, Dori, oue sei?

Scena ottava.

Appartamenti Reali.

Dirce, Bagoa.

DIRCE. 1
Con Amor
Scherzi chi sà.
Che dolor
Non mancherà.
Si ritroua
Un tal velen,
Che si coua
Ogn‘ or in sen;
Ciò che sia
Canuta età
Gelosia
Risponderà
Con amor, etc.
2.
Di goder
Non spero più,
Ch‘ è mestier
Di giouentù,
Prouo bene
Un pizzicor
Nelle vene,
E poi nel cor;
Mà se langue
In me virtù
Gelo esangue
In seruitù.
Di goder, etc.
BAGOA.
Hò sentito in disparte
Sotto canori accenti
Rimbambita sirena i tuoi lamenti.
Or dimmi, e quando mai
Di lasciui piacer sazia sarai?
DIRCE.
Ch‘ importa à tè Bagoa,
Se rimbambita, o pur amante io sra?
BAGOA.
Flemma Signora Arpia.
DIRCE.
Porti forse d‘ auanti
Il Registro degl‘ anni, e degl‘ amanti?
BAGOA.
Hò pietà del tuo male,
DIRCE.
Io del tuo stato.
BAGOA.
Perche?
DIRCE.
Sei mal cucito, e ben tagliato.
BAGOA.
Dirce tutto quel danno,
Ch‘ in un cantor si troua,
Fù dell‘ arte una proua.
Mà l‘ error, ch'è sì brutta
Rende la tua figura
E‘ difetto del tempo, e di natura.
DIRCE.
Il serraglio t‘ aspetta.
BAGOA.
E tè la fossa.
DIRCE.
Sempre mordi ò Bagao, sei forse un cane?
BAGOA.
Nò, mà per tè sarei.
DIRCE.
Dimmi perche?
BAGOA.
Perch‘ è proprio de cani il morder l‘ ossa.
DIRCE.
Il magro il bel non toglie.
BAGOA.
Si, mà scema le voglie.
DIRCE.
Di vendermi non curo.
BAGOA.
Perche nessun ti comprarebbe.
DIRCE.
Oscuro
Non hò sì il volto, che tal‘ uno no ‚l guardi.
BAGOA.
Sai tù perche?
DIRCE.
Di pur.
BAGOA.
Perche si crede,
Ch‘ i tuoi nerui sian'archi, e l'ossa i dardi.
DIRCE.
Dunque à tutta la corte
Io rassembro Cupido.
BAGOA.
Anzi la morte.
DIRCE.
Guardami in positura.
BAGOA.
Vuoi, ch‘ io ti dica?
DIRCE.
Dì.
BAGOA.
Mi fai paura.
DIRCE.
Guardami di profilo,
BAGOA.
Argo con cento lumi
Guardando una vitella al fin sistracca:
Or vedi se Bagoa
Con due sol occhi può guardar la vacca.
DIRCE.
Di te gio co mi prendo,
BAGOA.
Er io sollazzo.
DIRCE.
Orsù taci.
BAGOA.
Non posso.
DIRCE.
Eh tù sei pazzo,
BAGOA.
1.
Pazzo sono, e son contento
Non hauer senno, è prudenza:
Mà se vera è la sentenza
Venite cortigiani: Un ne fà cento:
2.
Voi ch‘ intorno à due pupille
Consumate i giorni, e'l core;
Se vi piace un pazzo humore,
In corte è bnona scola. Un ne fà mille.

Scena nona.

Erasto, Celinda, Arsete da parte.

ERASTO.
1.
Vaga mia, che notte, e dì
Mi fai piaghe al cor mortali
Ad Amor rendi gli strali,
Ch'un sol guardo il sen‘ m'aprì,
CELINDA. 2.
Bench‘ Amor del tuo gran mal
A pieta de ogn'or mi moua,
Poco noce, e manco gioua,
Nostra sorte è troppo egual.
ARSETE.
Quai mi giungono al core
Sospetti contumaci?
Arsete osserua, e taci.
ERASTO.
Ah Celinda crudele!
CELINDA.
Erasto mal‘ accorto
ERASTO.
Deh spiega ò mio conforto
Le tue dubbie risposte, e fà ch‘ io sappi
Per bocca del mio bene
Se morir: ò sperar à me conuiene.
ARSETE.
L‘ enigma non comprendo.
Temo, mà non intendo,
CELINDA.
Io compatisco, Erasto,
L‘ ardor, che ti lusinga, anzi ti giuro,
Che la pietà mi si stringe,
E laccio eguale al tuo i alma mi cinge
Mà se d‘ Amore il foco
Fà de mortali un gioco,
S'il tuo cieco dolore
E un scherzo di fortuna
Un'aborto del fato,
Una bugia d‘ amore,
S‘ il desio, che t‘ affanna
Ti delude, e t‘ inganna.
S‘ à Celinda nou lice
Dichiararsi di più,
Che dir poss‘ io, che ci diresti tù!
ARSETE.
Stelle, che machinate?
ERASTO.
Al tuo parlar consolo
Celinda i miei tormenti,
Benche gl‘ oscuri accenti
Lascin dubbio il mio cor, chiaro il mio duolo.
Dimmi che far deggio!
CELINDA.
Cangiar pensiero,
ERASTO.
Forse non m‘ ami più?
CELINDA.
Quanto me stessa.
ERASTO.
Dunque m‘ inganna Amor.
CELINDA.
Pur troppo è vero.
ERASTO.
Porgi la destra.
CELINDA.
E con la destra il core.
ERASTO.
Giurami eterna fede.
CELINDA.
E fede, e Amore
ERASTO.
Così contento io sono.
CELINDA.
Quanto ti posso dar, tutto ti dono.
ARSETE.
L'aspetto si nasconde,
L‘ abito mi consonde.
ERASTO.
Celinda Addio, se tù m‘ apprezzi, e ami
Della fè ti ricorda.
CELINDA.
Erasto Addio, se la tua pace brami,
Di Celinda ti scorda.
ARSETE.
Vicende oue correte?
Se non è Tolomeo, non son Arsete:
CELINDA.
1.
Piega Amor, deh piega i vanni,
Fan morir nel tuo Regno anco gl‘ inganni.
ARSETE.
O Ciel, che cerco più?
CELINDA.
Che mi gioua in alto soglio
Posseder tesoro, e Regno,
S‘ il mio legno,
Quasi assorto
Pria del Porto hà dato in scoglio?
Ah che quest'occhi denno
Amar da scherzo, e lacrimar da senno,
ARSETE.
Pur troppo è d'esso.
CELINDA.
Piega Amor, etc.
ARSETE.
Or và ben cauto Arsete:
La prudenza, e l'ardir sian freno, e sprone.
Che mi detti ò ragione?
Sensi, che discorrete?
Voglio celar, che prò?
Scoprir l‘ inganno, ah nò.
La fuga è vanità.
Le nozze disperate, il fatto oscuro.
Il periglio sicuro.
A qual fiera tenzone
Affetti v'esponete!
Che mi detti ò ragione?
Sensi, che discorrete;
Tù mi consigli ò Cielo
Tù m‘ aita innocenza, e fà che l'Egitto.
Se nelle sfere è scritto
La Persia à Dori a Tolomeo

Scena decima.

Alì, Oronte.

ALÌ.
Morira dunque Arsinoe
Senza vedere Oronte?
ORONTE.
A vincer i contrasti
D‘ Antico affetto io non hò cor, che basti.
ALÌ.
Ne parlar li vorrai;
ORONTE.
Si, mà che prò,
S'amarla io non potrò?
ALÌ.
Consoli almeno
Arsinoe la tua penna,
E con dolce lusinga
Fa, ch‘ un foglio l‘ adori, ò almen lo finga.
ORONTE.
Da non lieue ferita
Hò la destra impedita,
E'l regio nome appena
Per urgenza del Regno
Formar hoggi saprei,
Non che scriuer ad altri i sensi miei,
ALÌ.
Signor s‘ altro non manca,
A consolar la moribonda amante
Il tuo nome è bastante:
Tù mi detta il pensiero
Io farò de‘ tuoi sensi
Segretario fedele, e messaggiero.
ORONTE.
Negar grazia sì lieue.
Non posso, anzi non deggio;
Scriui, ch‘ io detto: mà conciso, e breue.
Elà?
ALÌ.
Tutto sia pronto.
ORONTE.
Quanto è gentile Alì. Troppo si scorge
In quei viuaci lumi
Nobiltà di Natali, e di costumi.
L‘ amo, nè sò perche.
ALÌ.
Sire comanda.
ORONTE.
Adorata Regina ….. lettera.
ALÌ.
Oh dio che sento?
ORONTE.
Io t'amo ò bella, e per Alì tuo fido
Nunzio dell‘ amor mio,
Questo foglio t'inuio.
ALÌ.
Dori stolta che fai?
ORONTE.
Ti giuro eterno affetto,
Ti fò schiauo il mio core – –
ALÌ.
Ahi martire; ahi dolore!
ORONTE.
S‘ à questi muti inchiostri
La tua beltà non crede,
A‘ scriuer la mia fede
Col proprio sangue – –
ALÌ.
Ohimè!
ORONTE.
Le vene hò pronte.
Seruo, e consorte. Oronte
ALÌ.
Signore ecco la penna.
ORONTE.
O‘ Cieli, che veggio?
ALÌ.
Si turba; e che sarà?
ORONTE.
Veglio, ò vaneggio?
ALÌ.
Costanza ò Dori
ORONTE.
Alì.
ALÌ.
Signor.
ORONTE.
Le piante
Ad Arsinoe riuolgi:
Dì, che la man tremante
Scriuer non puote, e che d'Amori in vece
Oronte altri pensieri in seno ad una.
ALÌ.
Dunque Signor …
ORONTE.
O la?
ALÌ.
Godi ò fortuna.

Scena undecima.

Oronte.

Ocohi voi, che piangete
I mie i sepolti amori.
Dalla risorta Dori
Viui segni d‘ affetto omai prendete
Pensiero, one t‘ aggiri!
Alma perche deliri?
Son pur queste di lei
Note pur troppo note a gl‘ occhi miei,
Caratteri d'Amor, linee adorate
Speranze fermate,
Non bramo pietà:
Quest‘ alma tradita
Auuezza a gl‘ inganni,
Di pene, e d'affanni
Paura non hà.
Per me dunque ò fortuna
Graue pondo di pene
Una penna diuiene?
O penna, ò carta, ò stelle
Ch‘ in sembianze nouelle
Quest‘ alma trafiggete,
Perche non m‘ uccidete?
Spira ancor questa vita?
Ancor mi lusingate?
2.
Speranzo fermate,
Non bramo, etc.

Scena duodecima.

Golo, Ombra di Parisatide.

Oronte che dorme.

GOLO.
1.
Piange Oronte notte, e dì
Et in cambio di consorte
Hà negozi con la morte,
Del mondo non cura,
Del Regno si ride
Chi pecca suo danno
Finita è la legge
E s'altri il corregge
Buon giorno, buon'anno,
2.
Piange Oronte, etc.
Si braman‘ le nozze,
S'attende la prole,
In tanta molestia
Il Regno non posa
E piange la sposa
Ch‘ Oronte è una bestia
Misero, mà che veggio?
S'udita hà la cadenza
La galera m'aspetta, e forse peggio
Perdono Oronte mio?
Ei dorma affé. Ch'odor diuino.
Addio.
OMBRA DI PARISATIDE.
1.
Inuitto figlio, à cui fortuna stolta
Porge a i lumi, e alla mente un dubbio velo,
Ciò, che di te scrissero i fati in Cielo
Dalla tua genitrice in sogno ascolta.
2.
Di bramata consorte i casti ardori
La Nicea del tuo scetro oggi fan serua.
Godi i frutti d'Amor; ma prima osserua.
La fede al Padre, il giuramento à Dori.

Scena decimaterza.

Oronte.

La fede al Padre, il giurameto à Dori?
Non dormo nò, non dormo:
Varij, e nuoui accidenti
Mi predisse pur'ora
Della mia genitrice i noti acceti.
La fede al Padte, il giuramento à Dori
Qual misterio s'asconde?
Qual'enigma nouello
L'anima mi confonde?
Se Dori più non viue,
Qual promessa m'astringe?
Mà se pur viue, e la parola osseruo
A chi tanto adorai,
Ou'è la fe, ch'al genitor giurai?
Deh torna ombra cortese,
Spiegami senza velo
I decreti del Cielo:
I dubbi omai disgombra
Non teme l'ombre nò chi segue un‘ ombra.
Doue, doue sparisti
Parisaci de amata,
Genitrice adorata?
Consola il mio martoro.
Benche larua ti seguo, ombra t'adora,

Scena decimaquarta.

Arsinoe, Alì. Loggie Reali.

ARSINOE.
E con sì fieri accenti
L'ingrato ti scacciò?
ALÌ.
Gl'occhi m'affisse
Adirato nel volto
Mi diè muta licenza, e più non disse
ARSINOE.
Dunque frà tante pene,
Schernita dal mio bene,
Regina senza Regno,
Sposa senza consorte
Altra speme non hò, se non la morte,
Disciogli pur disciogli.
ALÌ.
Raffrena pur raffrena.
ARSINOE.
Disperata Regina i tuoi la menti
ALÌ.
Adorata Regina i tuoi la menti
ARSINOE E ALÌ.
Che la stella d'Amore
ARSINOE.
Vaga soi di rormenti
ALÌ.
Vaga soi di contenti
ARSINOE.
Non sa cangiar per me l'aspro tenore:
ALÌ.
Saprà cangiar per te l'aspro
ARSINOE.
Ingratissimo Oronte
Mostro d'infedeltà, furia d'abisso
Se con ingiurie, e onte.
Gl‘ affetti mie deridi
Rendimi la mia fede, ò ver m‘ uccidi.
Ergi pur alle stelle
I tuoi barbari pregi
Che tradir le donzelle
Son vanti da tiranni, e non da Regi.
Persido morirò.
Poi tornando da stige
Con le furie compagne ad agitarte,
Punto da doglia in terna
M‘ haurai per ogni parte
Se sposa non mi vuoi, nemica eterna.
Misera, ma che parlo?
Perdona amato Oronte
A questa bocca indegna
A questa doglia amara,
Ch‘ à dispetto d‘ amore, amor m'insegna,
Ferisci questa vita
Straziami quanto sai,
Che sprezzata, e tradita anco t'adoro
O Dio chi mi sostenta? io manco, io moro.
ALÌ.
Infelice Regina. Aita, Aita.

Scena decimaquinta.

Oronte, Erasto, Alì, Arsinoe suenuta.

ORONTE.
E che rimiri Oronte?
Qual spettacolo osceno
Tinnorridisse il seno?
Ah sacrilego infame,
Queste son le risposte,
Questi i sensi sdegnosi,
Ch‘ ad Arsinoe portar oggi t'imposi?
ALÌ.
Signor quest'infelice.
ORONTE.
Taci. Ma tù Regina.
Che Regina diss'io? mente chi ‚l dice.
ERASTO.
Sire dèh per pietà-
ORONTE.
Fermati Erasto
E lascia quest‘ oscena,
Impudica Nicena
Si lascina morir, quanto io son casto
ARSINOE.
Ali, mio caro Ali.
ORONTE.
Anco i tuoi labri
D'auanti à gl‘ occhi miei
D‘ impurità son rei?
ARSINOE.
O mio Signore, ó Rè.
ORONTE.
Taci impudica,
Lascia i Regij splendori,
Mente uno schiauo adori.
Ma che? tanto ritarda
Le sue giuste vendette il brando mio?
Mori perfida.
ARSINOE.
Oh Dio?

Scena XVI.

Celinda, Oronte, Erasto, Ali, Arsinoe, Golo.

CELINDA.
Raffrena Oronte
ALÌ.
Com‘ a tempo giungesti?
CELINDA.
I sdegni, e l‘ onte.
ALÌ.
E tanto ardisce, ò stelle,
Una femmina imbelle?
CELINDA.
Or dimmi, e che prerendi?
ORONTE.
Tor la vita ad Arsinoe.
CELINDA.
A me riuolgi
Barbaro il ferro
ERASTO.
O là?
CELINDA.
In van ti fidi
Quel bel seno ferir, se dell‘ Egitto
Il Prence Tolomeo prima no vecidi
ORONTE.
Morira i traditor.
CELINDA.
Viuró tiranno.
ERASTO.
Che larue, che portenti?
ARSINOE.
Che pene?
ALÌ.
Che tormanti?
CELINDA.
E sarò, ch‘ il tuo ferro
Di suenar gl'innocenti oggi non goda.
GOLO.
Che fanciulle alla moda?

Fine dell‘ Atto secondo.

Ballo di Mori.

Atto terzo

Scena prima.

Piazza di Babilonia.

Artaxerse.

1.
Troppo libero Impero
Sù l‘ regno della vita affetti hauete.
Nel senato dell‘ interno
Fanno i sensi aspra teuzone,
E scacciando la ragione
Ciec‘ amor siede al gouerno.
Ah stelle,
Rubelle,
Per qual aspro sentiero
L‘ humanità traete?
Troppo libero, etc.
2.
Nell‘ incerto human periglio
Un desio serue di guida;
Ne chiamar già mai srfida
Le potenze à dar consiglio.
Desiri,
Deliri
Con qual laccio seuero
La giouentù stringete?
Troppo libero, etc.
Da un effetto ostinato
Viue Oronte accecato.
D‘ Arsione le donzelle
Cangion forme nouelle.
S‘ inuentano menzogne,
Si da fede alle larue,
Un deliquio d‘ Amore
Rassembra impurità.
Mà qui sen‘ viene Eraso,
Turbato il piè sospende, e che sara?

Scena seconda.

Erasto, Artaxerse.

ERASTO.
Ch‘ Arsinoe s‘ imprigioni,
Che lo schiauo s'uccida,
Ch‘ il Rè viua infelice,
Ch‘ il mondo si sconnolga, il tutto lice
Mà ch'io sueni Celinda.
Cangiata in Tolomeo,
Ah che solo à pensarui
Di ferita son reo.
Imponi, Oronte, imponi
Ad altra man si scellerate imprese,
Che questa alma guerriera
Non desia, se Celinda
In huomo si cangiò, cangiarsi in fera.
ARTAXERSE.
Godo Erasto correse
La tua fede, il tuo senno. Ingiusti, e fieri
Son‘ d‘ Oronte i pensieri.
Tù segui il tuo consiglio
Contro i regij comfindi,
Che raffrenar de grandi‘ ostinato furore
E prudenza fedele, e non errore.
Non anco Oronte è Rè: viue soggetto
D‘ Artaxerse al rispetto.
Di satrape i decreti io ben conseruo.
Chi non opra da Rè, viua da seruo.
Vanne Eraste, e impera,
Ch‘ ogni truppa guerriera
Vengá, s'io lo comando, al cenno mio.
Del resto haurem la cura
Il Ciel, la sorte, e io.
ERASTO.
À tuoi cenni Artaxerse,
Se non si volge Oronte,
Tutte l‘ armi fian pronte.
1.
Cangia sfera ò fortuna.
Questa che giri
A tutto il Regno
Pioue martiri.
D‘ inuitto sdegno
S‘ armano gl'astri,
E sol disastri.
Contr‘ il sangue de Persi il Cielo aduna.
Cangia sfera ò fortuna.
2.
Sempre crudeli
Alle mie pene
Ruotano i Cieli:
S‘ io miro il bene
Muor nelle fasce,
E l‘ sol che nasce
Mi dà tomba alle gioie, al duol la cuna
Cangi sfera:

Scena terza.

Dirce.

1.
S‘ io son vecchia è mal per me
Tempo sù che io mi facea
Come Dea
Da mill‘ alme idolatrar.
Hor‘ ch‘ amar
Altri vorrei
Occhi miei tempo non è
S‘ io son vecchia, etc.
2.
Goda pur superbo Golo
Del mio duolo
Or che bella io non son più:
Stolto sù
A disprezzarmi:
Vendicarmi io voglio affè.
S‘ io son vecchia, etc.
Golo barbaro Golo,
S‘ io ti sembro canuta
Sarò ben anco astuta.
Questo con bell‘ inganno
Sonnifero possente oggi vò d'arte:
Se di te poscia in parte
Non mi sò vendicar, sarà mio danno.
Voglio, mentre tu dormi
Tagliarti ogui capello,
Raderti fino all‘ osso,
Pelarti à più non posso.
Quante belle matrone
Fan‘ gl‘ amanti pelar senza sapone!
Mà qui sen‘ viene Ali. Parmi, che ei pianga.
Misero garzoncello!
Vò sentirlo in disparte. Oh quanto è bello?

Scena quarta.

Alì, Dirce.

ALÌ.
1.
Chi vuol libertà
Da morte la speri
Che senza pietà
N‘ addita i sentieri.
Un cor, che già mai
Conobbe gioire,
Per trarsi di guai
S‘ accinga à morire.
DIRCE.
Come vago rassembra?
Mi commoue à pietà tutte le membra,
ALÌ.
2.
Da Nume crudel
Euggite mortali,
Che l'armi del Ciel
Fan‘ piaghe fatali.
Io chiudo al mio cor
Di vita le porte,
Ch‘ à febre d‘ Amor
Collu io e la morte:
DIRCE.
Ohime! Che pazzo imbroglio
Si racchiude in quel foglio?
ALÌ.
Ecco ò Dori d'Egitto
Di Fortuna, e d‘ Amor schiaua infelice
A tuoi lunghi tormenti il fin‘ prescritto.
Estratti preziosì,
Succhi possenti à rauuiuar chi langue,
Voi trà pochi momenti
Smorzando nel mio sangue
Gl‘ affetti miei derisi,
Mi trarrete à gl‘ Elisi.
O veleno mortale,
DIRCE.
Oh Dio, che sento?
ALÌ.
Antidoto per me forse fatale
Tanto sol‘ io ti celo
A'quest'occhi dogliosi,
Fin‘ che due Regij sposi unisca il Cielo.
Ti darò poi nel petto
Volontario ricetto, acciò s‘ apprenda
Nel mio funesto scempio
D'amicizia, e d‘ amore un viuo esempio,
Cosi risoluo.
DIRCE.
Mi si strugge il core.
ALÌ.
Parmi che la stanchezza
Quest‘ occhi illanquiditi
Alla quiete in viti.
Si si misera Dori
Già che l‘ ire, e gl‘ amori
Turbar più non ti ponno;
Serra le luci al sonno.
Or ch‘ al punto fatale
M'hà condotto la sorte
Viene il fratello ad abbraciar la morte,
T'intendo ò sonno rio
Mondo, regno, speranze, Oronte addio.
DIRCE.
Chi non hà duolo inteso
Di quel bel volto esangue
Non ha cor, non hà sangue, ò non hà senso.
Il miserello dorme,
E par, ch'in varie forme
Chiegga la morte in sogno:
Baciar io lo vorrei, mà mi vergogno.
Misera, che farò?
Lasciar, che s'auueleni, o questo nò.
Voglio cosi pian piano
Quella carta rapirli,
Et in vece del veleno
Il sonnifero mio riporli in seno.
O‘ che pensier da brauo
Far morir Golo, e far dormir lo schiauo.
Or và ben cauta Dirce,
Guarda, che non ti senta.
Il demonio mi tenta.
Hà la gola scoperta, e chiuso il volto:
S'io bacio quella, e faccio à i labri ingiuria,
E‘ peccato di gola, ó di lufuria.
Orsù, gia fatto è l‘ cambio
Meglio è di qui partire
E lasciarlo dormire.
Se i satrapi di Corte,
Che fan‘ gl‘ astuti, e i dotti
Mi vedessero a sorte
Carne mi stimerian‘ da galeotti.

Scena quinta.

Arsete, Alì.

ARSETE.
1.
Forsennata humanità,
Ch‘ un diletto hai sol per fine,
E non vedi le ruine!
Cosi va:
Nell‘ onde immersa
Di piaceri
Menzognieri
Quando ti credi in porto, allor sei persa.
2.
Mal‘ accorta volontà di ragion tirrann- Alì
S'io non m'inganno è questo,
Che solitario, e mesto
In piume cosi dure
Dorme per non mirar le sue suenture.
Una regia donzella,
Auuinta di catene,
Traffitta dal dolore,
Giunge à stato si basso.
Ch'hà letto il suolo, e origliere vo fasso!
Oh Dio mi scoppia il core.
Cielo aita mi porgi.
Sorgi figlia, deh sorgi
ALÌ.
Ah lassa! oh caro Arsete: à tempo giungi.
ARSETE.
Dori m‘ ascolta io veggio,
Che vanità d'amore
In Persia ti ritiene.
Disperato e l'tuo bene
Persa la libertà, dubbio l‘ honore.
Tolomeo ti vuol morta, e tù nol‘ pensi?
Figlia la via de sensi
E‘ sempre mal sicura.
Cerchiam Dori cattiua
Altro Regno, altra riua;
Spesso chi muta Ciel cangia ven tura.
ALÌ.
Arsete il ver tù parli, e oggi appunto
Saranno in questa Reggia,
Cosi vuole Artaxerse
De gl‘ Amanti reali
Celebrati i sponsali.
Teco voglio fuggir, mà pria, ch‘ io parta.
Deh prendi questa carta, e mentre scorgi,
E d‘ Arsinoe, e del Rè le destre unite,
Ad Oronte la porgi.
Ciò sol da te desio:
Lungi mi guida poi, teco son io.
ARSETE.
Pronto ò figlia cortese
A consolarti io sono.
Di ciò viui sicura, e mentre al suono
De gl‘ Imenei Reali
Babilonia rimbomba,
Fuggiremo in Egitto,
ALÌ.
Anzi à la Tomba.

Scena sesta.

Tolomeo.

In giustissimo Oronte
Di te stesso nemico, e del mio bene
Se di veder Arsinoe
Mi togliesti la spene,
Togli ancor questa vita
Muoui la destta ardita ad impia garmi.
Poich'in forma nouella
Mi trouerai guerriero, e non donzella.
Tolomeo che farai?
Vendicar con il sangue
Della presa sorella il perso honore
Sallo il Ciel, se potrai.
Seguir l‘ antico amore,
Ch‘ ad Arsinoe portasti; e quando ò Folle
Il tuo bel sol vedrai?
Misero, che farai?
Se viuer da Celinda
Mi lasciaste fin'hora,
Deh‘ non mi fate ancora
Da Tolomeo morir stelle crudeli.
Consigliatemi ò Cieli.

Scena settima.

Bagoa, Tolomeo.

BAGOA.
Arsinoe mia signora,
Quella, ch‘ in braccio a morte
Poco dianzi languia,
O‘ gran Prence d‘ Egitto à tè m‘ inuia.
TOLOMEO.
Arsinoe, o cara Arsinoe, e che t‘ impose?
BAGOA.
Da la tua destra ardita
Riconosce la vita,
Come Prence t'honora
Qual Nume tutelare
Genuflessa t‘ adora.
TOLOMEO.
Altro?
BAGOA.
Per fine
Spinta da giusto amore
Per me t'inuia, tu ben m‘ intendi, il core.
TOLOMEO.
Torna Bagoa, deh torna
Doù il mio ben soggiorna.
Dì, ch‘ ad onta de Persi
Per suo campion mi prenda,
Di che l'armi d'Egitto
A suo fauor son‘ pronte,
E pria ch'altri l'offenda
Morirà Tolomeo, e anco Oronte,
Soggiungi poi, che riuerente adoro
Quelle guance di vine,
Che son‘ de miei pensieri principio, e fine,
BAGOA.
O‘ che gentil risposta,
Per seruirti di cor prendo la posta.
TOLOMEO.
1.
Spera cor mio, deh spera
Non sempre qual si pinge
La fortuna e se vera.
Tal'or muta ragiona,
Tal‘ or s‘ adira, e finge
Mà quando par, che rubbi allor ti dona.
2.
Ardir mio core, ardire
Non può nubilo velo
Il sol sempre coprire.
Al nascer dell'Aurora
Stilla rugia de il Cielo
Ma quando par, che pianga all‘ or s'indora.

Scena ottava.

Appartamento Reale.

Arsinoe.

1.
Amorosa pietà
Innocente m'assolue, anzi tradita,
Tiranna autorità
Rea mi conuince, e non mi vuole in vita.
2.
Legge di Genitor
Mi fà serua d‘ Oronte, anzi consorte
Ostinato rigor.
La fé mi nega, e mi condanna à morre.
Più non si vede Ali. Bagoa non torna,
Il Prence Tolomeo
Da me lungi soggiorna.
Oronte mi discaccia,
La Corte m'abbandona,
Le speranze son‘ perse,
Il tormento m'uccide Ecco Artaxerse

Scena nona.

Artaxerse, Arsinoe.

ARTAXERSE.
Qual turbine d‘ affanni
Qual nubiloso velo
Del tuo volto ò Regina offusca il Cielo.
ARSINOE.
Fanno dentro al mio petto
Ostinata Battaglia amore, e sdegno
Hò confuso l'ingegno,
Bipartito l‘ affetto. E chi potria
In guerra cosi ria
Senz‘ aita, e consiglio
Portar sereno il volto, e lieto il ciglio?
ARTAXERSE.
Troppo intendo ò Regina, e troppo note
Le tue giuste querele à me già sono.
Or odi in breui note
I miei liberi sensi Oggi prometto
Di fortuna à dispetto
Stabilir le tue nozze.
E s‘ Oronte un sol punto
Contro di te proseguirà lo sdegno,
Sarà priuo di sposa, e poi del Regno.
ARSINOE.
Dunque sperar degg‘ io io?
ARTAXERSE.
Tosto il vedrai.
ARSINOE.
Troppo m'aborre il Rè.
ARTAXERSE.
T‘ acquieta omai.
ARSINOE.
Chi può dar legge à Regnator supremo?
ARTAXERSE.
Da le leggi d'Astrea nessuno è sciolto.
ARSINOE.
Chi forza Oronte ad osseruarle?
ARTAXERSE.
Il Cielo.
ARSINOE.
Sempre Gioue non tuona.
ARTAXERSE.
Quando fia muto il Ciel, fauela il Padre.
ARSINOE.
Satrape è già sepolto,
ARTAXERSE.
Pur troppo è viuo.
ARSINOE.
E come?
ARTAXERSE.
In questo foglio.
ARSINOE.
In te confido, e parto.
ARTAXERSE.
Cosi ti giuro, e voglio.

Scena decima.

Oronte, Erasto, Artaxerse.

ORONTE.
Così dunque ritrouo
Essequiti i miei cenni?
Cosi posto non cale
E l‘ comando reale?
ERASTO.
Per qual cagion degg‘ io?
ORONTE.
Taci insolente.
ERASTO.
Chi ben opra non teme.
ORONTE.
Vò, ch‘ Arsinoe s‘ uccida.
ERASTO.
A me non parli.
ORONTE.
La dichiaro impudica.
ERASTO.
Anzi innocente.
ORONTE.
Il mio volere è legge.
ERASTO.
Un ingiusto voler legge non forma.
ORONTE.
Vanne obedisci.
ERASTO.
Arsinoe è ben difesa.
ORONTE.
Chi la difende?
ARTAXERSE.
Il Ciel la guarda, io la difendo Oronte,
ORONTE.
O là?
ARTAXERSE.
Taci tiranno, e ti rammenta,
Ciò, che fapatre il saggio,
Ch'à te fù genitore à me germano,
Stabilì di sua mano
Delle nozze, del Regno, e del retaggio.
ORONTE.
All‘ onor inio non lice
Una Taide sposar.
ARTAXERSE.
Mente chi l‘ dice.
A pro varti m‘ accingo
Qui d‘ auanti al tuo volto,
Ch‘ Arsinoe è senza macchia, e tù sei stolto.
ORONTE.
Al Rè?
ARTAXERSE.
Non più; rauchiusi in questo foglio
Di satapre i comandi à te paleso
Deni Arsinoe sposar.
ORONTE.
Et io non voglio.
ARTAXERSE.
Erasto è tempo.
ERASTO.
Intendo.
ARTAXERSE.
Seguite voi, e tù qui resta indedegno
Senz‘ honor, senza sposa, e senza Regno.

Scena XI.

Oronte, Golo.

ORONTE.
1.
Oronre misero!
Già mai t‘ arrisero
Gl‘ altri lassù.
Si si godete
Fati peruersi
Orche scorgete
Il Rè de Persi
In seruitù.
Ah, che chi ben l'intende
Han‘ le corone ancor le sue vicende.
2.
Fortuna instabile.
GOLO.
Fame terribile.
ORONTE.
Inesorabile.
GOLO.
Sete incredibile.
ORONTE.
Che vuoi da me?
GOLO.
Mi sento affè.
ORONTE.
Taci Golo
GOLO.
Che taci?
ORONTE.
Cosi dunque?
GOLO.
Eh fratello
Le dignità son‘ perse,
Non conosco Padron fuor, ch‘ Artaxerse,
ORONTE.
Un vil seruo mi sprezza?

Scena XII.

Artaxerse, Oronte, Etrasto.

ARTAXERSE.
Ancor deliri?
Ancor folle non vedi,
Che fabri di ruine
Son‘ gl‘ ostinati tuoi ciechi desiri?
ORONTE.
Ferma. Risoluo.
ARTAXERSE.
E che?
ORONTE.
Risoluo, eh nò.
ARTAXERSE.
Figlio è vano il mio sdegno
T'amn più, che non credi, e tù vorrai.
Per un capriccio vil pendere un Regno?
ORONTE.
Orsù t‘ acquieta. Errai,
La ragion m‘ apre i lumi,
Cangio voglie, e costumi,
Arsinoe adorerò quanto l'odiai,
ARTAXERSE.
Sù sù cinga d‘ Oronte
Regio serto la fronte
E s‘ adori in un punto
Rè de Persi, e Niceni,
Chiamasi la Regina,
ERASTO.
Eccola appunto.

Scena XIII.

Arsinoe, Oronte, Artaxerse, Erasto.

ARSINOE.
Impaziente ò sire
Di saper da te stesso,
Se viuer, ò morire à me conuiene
Vengo serua, e amante
Gennflessa à baciar le regie piante.
ORONTE.
Sorgi, e oblia mio bene
I miei trascorsi errori.
T‘ offesi, e ver, t'offesi: ire, e amori
Con battaglie seuere
Mi fer‘ schiauo il volere.
Or ti chieggio perdono,
E compagno fedele à te mi dono
ERASTO.
O‘ generoso Eroe.
ARTAXERSE.
O‘ saggio Oronte.
ARSINOE E ORONTE.
Porgi deh‘ Porgi ò caro
ORONTE.
Porgi deh‘ Porgi ò cara

Scena XIV.

Arsete, Oronte, Arsinoe, Artaxerse, Erasto.

ARSETE.
Inutito sire.
ARTAXERSE.
Che sarà?
ARSETE.
Dell‘ Egitto in questo punto
Con foglio à te diretto un messo è giunto.
ERASTO.
Importuno messaggio!
ARSETE.
Aspre dimore?
ORONTE.
Al Rè de Persi. Apro la carta,
ARTAXERSE.
Il core Nouità mi predice.
ARSETE.
Ahi che tormenro!
ORONTE.
Che miro ò Ciel, che sento?
ERASTO.
Maladetto quel foglio!
ORONTE.
Già, ch‘ Arsinoe sposasti
Volontaria m'uccisi
ARSETE.
Oh Dio!
ORONTE.
Dori d'Egitto.
ARSINOE.
Quali affetti improuisi
Turbano i miei contenti?
ORONTE.
Ah stelle auuerse
Perche ferbarmi al Torno;
Se reo d'infedeltà, s'un empio io sono?
Volontaria m'vecisi? Ah Dori Dori,
Sospirato conforto
Di quest‘ alma.

Scena XV.

Golo, Oronte, Arsinoe, Artaxerse, Erasto, Arsete.

GOLO.
Signor gran nuone io potto
ARTAXERSE.
Parla.
GOLO.
Lo schiauo-
ARSINOE.
Che?
GOLO.
Lo schiauo Alì-
ARSETE.
Ohimè!
GOLO.
L'infelice –
ERASTO.
Mai più.
GOLO.
Con flemma è morto.
ARSETE.
O'suenturato Arsete!
GOLO.
Mà ciò Signor non basta.
ORONTE.
Che sarà?
GOLO.
Non volete
Lasciarmi respirar; quando m'accorsi,
Ch‘ il misero languia,
Sorpreso dal veleno,
Ad aiutarlo io corsi,
E scacciando le spoglie
Lo trouai donna, e questa carta in seno.
ARTAXERSE.
Porgi.
ARSETE.
Alì mi sera Dori!

Scena XVI.

Tolomeo, Oronte, Arsinoe, Arsete, Artaxerse, Erasto, Golo.

TOLOMEO E ARSETE
Sento il nome di Dori. Ou‘ è l‘ infida?
ARSINOE.
Poiche, maluagia sorte
Hà già condotto l'infelice à morte,
Udite in pochi accenti
Di funesti accidenti
L'istoria miserabile, mà vera.
ARSETE.
Che vorrà dir?
ORONTE.
Chi sei?
ARSETE.
Arsete io sono
Di Dori, e Tolomeo seruo, e custode.
TOLOMEO.
Arsete? ò Ciel, che miro?
ARSETE.
Il finto schiauo
Che da morte crudel giace trafitto
E'l Infelice, oh Dio, Dori d‘ Egitto
ORONTE.
Io mi sento morir,
ARTAXERSE.
Deh‘ ferma Oronte
E mira queste carte
Del Rè tuo genitore, e l‘ altre ancora,
Ch‘ hauea Dori nel seno in tutto eguali
Assai diuersi, Arsete,
Son di Dori i natali.
ARSETE.
Udite amici, è ver, l'Egizzia Dori
Di Tolomeo sorella,
Ch'à mia moglie, e à me fù data in cura,
Fosse caso, o suentura,
Soffocata morì.
ARTAXERSE.
Mà chi sra quella?
ARSETE.
Per tema di gastigo un'altra figlia
Di pari età comprai,
E la messi in suo cambio.
ARTAXERSE.
Onde l‘ hauesti?
ARSETE.
Un corsaro d'Egitto à me la die
ARTAXERSE.
Doue l'hebbe il corsaro?
ARSETE.
In Nice a la rapi con altre prede
ARTAXERSE.
Mà dimmi, viue ancora
La supposta fanciulla?
ARSETE.
Oh Dio, questa è colei,
Ch'in abito di schiauo ha qui finita
Col‘ veleno la vita,
ARTAXERSE.
Quando ti sù venduta
Hauea fogli nel seno?
ARSETE.
Una carta trouai
Con due reali impronte,
Et è l'istessá appunto,
Ch‘ à tè diè Golo, e ch'or rimira
Oronte.
ARTAXERSE.
Non più troppo l'intesi.
Arsinoe il morro schiauo
E‘ la smarrita Dori,
Da nostri genitori
Ad Oronte promessa, à te sorella.
Ecco le regie firme
Del Rè Perso, e Niceno,
ARSINOE.
O'ria nouella,
ORONTE.
Anco questa ò fortuna?

Scena XVII.

Dirce. Oronte, Tolomeo,Arsinoe, Arsete, Artaxerse, Erasto, Golo.

DIRCE.
Figlio, figlio oue vai?
ORONTE.
Non mi negar Nutrice,
Ch'io celebri frà tanto
L'essequie col mio pianto à un infelice.
DIRCE.
Parli forsi d‘ Alì, ch‘ è diuenuto
Un huomo, come me?
ORONTE.
Di quello sì
DIRCE.
Cosi foss'io, com'ella è viua è bella.
ORONTE.
Dori viua
DIRCE.
E non sai
La burla del veleno,
Del schiano, del sonnifero, di Golo –
ORONTE.
Che veleno, che Golo?
DIRCE.
O quanto à bella!
A‘ tempo la dirò. Mira fra tanto
Com'ella ne vien‘ via
Col corpo tutto intiero,
E pare appunto un morto,
Ch'esca dall‘ osteria del becco nero

Scena XVIII.

Et Ultima.

Dori e i Sndotti.

ORONTE.
Pur ti veggio ò mia vita?
Pur sei viua ò mio bene?
DORI.
Volgi Oronte i tuoi rai
A'questa qual si sia beltà tradita
E ben tosto vedrai
Che quella, ch'in Egitto
Ti sacrò l'alma, e l'core,
Quella, che per amore
Fù schiaua del martir, serua del fato,
Quella, che t'adorò, che per seguirti
Cinta di laccio indegno
Sdegnò la libertà, la vita, e l'Regno
Quella Dori per sine,
Che l‘ obligo d'honore
Condusse à machinar le sue ruine.
Oronte, I dolo mio,
La tua schiaua, il tuo ben‘, quella son‘ io
ORONTE.
Partire dal mio cor seruili insegne
Lacci di seruitù, catene indegne
ARTAXERSE.
Figlio non più dìmore. Ecco in un punto
Al porto de i diletti,
Quando meno il pensaui, oggi sei giunto.
A te Prence d'Egitto
Già che tanto l'amasti,
Arsinoe si conceda, e io frà tanto
Per si degni Imenei
Men‘ volo ad apprestar pompe, e trofei
ARSINOE.
O‘ Tolomeo gradito!
TOLOMEO.
Arsinoe sospirata!
ORONTE.
Scorda ò Prence d'Egitto
I miei passati errori
E godi come tuo di Persia il Trono
TOLOMEO.
Amico, Oronte, anzi tuo seruo io sono,
ARSETE.
O'schiaua fortunata!
ERASTO.
O‘ coppia generosa!
DIRCE.
O‘ gioia sospirata!
GOLO.
Vecchia lussuriosa!

Dori, Oronte, Arsinoe, Tolomeo.

1.
Amori volate,
Lasciate le ssere
A nuoua goerra
Sfidate la terra,
Sia l‘ arco il piacere
Sian'baci li strali
Imparate mortali,
Che doppo mille pene
Da radice di mal germoglia il bene.
2.
Amori volate,
Fugate il martire,
A nuoua guerra,
Sfidate la terra.
Sia face il gioire,
Sian‘ dardi i contenti,
Imparate viuenti,
Che doppo mille noie,
Sorge da rio di pianto un mar di gioie.

Il fine.