Christoph Willibald Gluck
Alceste
Tragedia per musica
Libretto von Raniero Simone Francesco Maria de Calzabigi
Uraufführung: 26.12.1767, Burgtheater, Wien
Personaggi
Admeto, Rè di Fera in Tessaglia
Alceste, sua Sposa
Eumelo,
Aspasia, loro figli
Evandro, confidente d’Admeto
Ismene, confidente d’Alceste
Un Banditore
Un Nume infernale
Oracolo
Apollo
Un Gran Sacerdote d’Apollo
Coro di Cortigiani, e Cittadini
Coro di Damigelle d’Alceste
Coro di Sacerdoti d’Apollo
Coro di Numi infernali
La Scena è in Fera.
Argomento.
Admeto, Rè di Fera in Tessaglia, Sposo di Alceste, trovandosi sul punto di perder la vita; Apollo che esiliato dal Cielo era stato accolto da lui, ottiene dalle Parche, che non morrà, purché si trovi chi muoja in vece sua. Alceste accetta il cambio, e more; ma Ercole amico d’Admeto che giunge in Fera in tal circostanza, ritoglie Alceste alla Morte, e la rende al suo Sposo.
Tale è il piano della celebre Tragedia d’Euripide intitolata Alceste: ma io, in luogo d’Ercole, ho introdotto Apollo beneficato da Admeto, ad operar per gratitudine questo prodigio.
Atto primo.
Scena I.
Gran piazza della Città di Fera terminata dalla facciata del real Palazzo, con gran porta, e sopra di essa balcone praticabile.
All‘ alzarsi della tenda si vede tutta la piazza ingombrata da folto popolo, confusamente disposto. Tutti hanno in mano rami d’ulivo intrecciati di nastri, simbolo de‘ supplicanti, e mostrano estrema afflizione. A destra Ara su cui bruciano de‘ profumi; a sinistra Evandro, Ismene, e alcuni de‘ Cittadini più distinti; indì sul balcone del real Palazzo, preceduto da improvviso suono di tromba, un Banditore.
UN BANDITORE.
Popoli, che dolenti
Della forte d’Admeto, in lui piangete
Più il padre che il regnante, udite. È giunto
Per lui l’ultimo di: non ha soccorso;
Speme non ha. D’inesorabil morte
Preda ugualmente sono,
Nel tugurio i pastori, i Rè sul trono.
Parte.
Doppo breve sbigottimento cagionato dall‘ annunzio fatto al Popolo dal Banditore, prorompono tutti nel Coro che segue.
CORO.
Ah! di questo afflitto regno,
Giusti Dei, che mai sarà!
No, per noi del Ciel lo sdegno
Peggior fulmine non hà.
ISMENE.
Infausta reggia! che immersa in gernito
Di voci flebili risuonerà.
Patria infelice, che un denso turbine
D’armi straniere circonderà.
CORO.
Ah! di questo afflitto regno,
Giusti Dei, che mai sarà!
Aria di Pantomima, che esprime desolazione e lutto.
EVANDRO.
Amorosi vassalli, oggi riceve
Di tante sue virtù nel comun lutto
Un giusto premio il nostro Rè: Ma invano
Per lui si piange: alle preghiere, a‘ voti
Non son propizi i Numi. Andiamo a‘ Tempi
Vittime, e doni ad offerir: si chieda
Un oracolo almeno; almen si sappia
In sì grave periglio
Se per noi v’è pietà, se v’è consiglio.
CORO.
Ah! di questo afflitto regno,
Giusti Dei, che mai sarà!
S’apre la gran porta del palazzo.
ISMENE.
Tacete … Ah della reggia
S’apron le porte! … Oh Dio!
Mi trema il cor: mille funesti oggetti
Mi dipinge il pensier. Venite, andiamo
La dolente Regina
Pietosi a consolar … Ma no … Fermate …
Comparisce sulla porta del palazzo la Regina.
Nel suo dolore oppressa
Co‘ mesti figli suoi viene ella stessa.
Il Popolo voltandosi verso il palazzo, e veduta uscirne Alceste, che tien per mano i due suoi figli, si separa a dritta e a sinistra per darle luogo.
Scena II.
Alceste, Eumelo, Aspasia, Cortigiani con Alceste, Guardie e detti.
CORO a destra.
Misero Admeto!
CORO a sinistra.
Povera Alceste!
CORO a destra.
Dolenti imagini!
CORO a sinistra.
Idee funeste!
TUTTI.
Di duol, di lagrime e di pietà.
CORO a destra.
Chi fra gli amplessi,
CORO a sinistra.
Chi fra i lamenti
CORO a destra.
De‘ figli teneri,
CORO a sinistra.
Figli innocenti,
TUTTI.
L’afflitta madre consolerà!
ALCESTE.
Popoli di Tessaglia, ah mai più giusto
Fu il vostro pianto! A voi non men che a questi
Innocenti fanciulli
Admeto è padre. Io perdo
Il caro sposo, e voi
L’amato Rè. La nostra
Sola speranza, il nostro amor c’invola
Questo caso crudel; ne so chi prima
In sì grave sciagura
A compianger m’appigli
Del regno, di me stessa, o de‘ miei figli.
La pietà degli Dei sola ci resta
A implorare, a ottener; Verrò compagna
Alle vostre preghiere,
A‘ vostri sagrifizi: avanti all’are
Una misera madre,
Due bambini infelici,
Tutto un popolo in pianto,
Presenterò così. Forse con questo
Spettacolo funesto, in cui dolente
Gli affetti, i voti suoi dichiara un regno,
Placato alfin sarà del ciel lo sdegno.
Io non chiedo, eterni Dei,
Tutto il Ciel per me sereno;
Ma il mio duol consoli almeno
Qualche raggio di pietà.
Non comprende i mali miei,
Ne il terror che m’empie il petto;
Chi di moglie il vivo affetto,
Chi di madre il cor non hà.
Misera! oh Dio! che pena!
Cari figli del diletto
Sposo mio ritratti espressi,
Ah! correte a’dolci amplessi,
Ah! stringetevi al mio sen.
Freddo ho il sangue in ogni vena,
Se a voi penso, o figli amati!
Ah! di me più sventurati
Non vi renda il Fato almen.
CORO a destra.
Misero Admeto!
CORO a sinistra.
Povera Alceste!
CORO a destra.
Dolenti imagini!
CORO a sinistra.
Idee funeste!
TUTTI.
Di duol di lagrime, e di pietà.
CORO a destra.
Chi fra gli amplessi,
CORO a sinistra.
Chi frà i lamenti
CORO a destra.
De‘ figli teneri,
CORO a sinistra.
Figli innocenti,
TUTTI.
L’afflitta madre consolerà!
ALCESTE.
Non si perda, o miei fidi
L’ora in dolersi. Insieme
La clemenza de‘ Numi
Corriamo ad implorar: Già si prepara
Per cenno mio il sacro rito. Io stessa
A voi darò l’esempio
D’umiltà, di rispetto.
TUTTI.
Al Tempio! al Tempio!
Ah! di questo afflitto regno,
Giusti Dei, che mai sarà!
Ah! per noi del Ciel lo sdegno
Peggior fulmine non hà.
Parte Alceste, e seco tutti.
Scena III.
Tempio d’Apollo con statua colossale del Nume, Ara, e Tripode.
Gran Sacerdote preceduto da Ministri, e Sacrificatori con Incensieri, e strumenti da Sacrifizio, Marcia e pantomima.
GRAN SACERDOTE.
A te, Nume del giorno, a te, del Cielo
Avvicinandosi all‘ Ara.
Ornamento e splendor, da noi svenate
Queste vittime sono: A te consuma
La sacra fiamma arabo odore. Ingombra
Colle nere ali sue l’orrida morte
Il nostro amore, il nostro Rè: risplenda
Un tuo raggio per lui: tu rasserena
La Tessaglia infelice in pianto involta,
E d’un popolo amante i voti ascolta.
GRAN SACERDOTE.
Dilegua il nero turbine,
Che freme al trono intorno,
CORO.
Dilegua il nero turbine,
Che freme al trono intorno,
GRAN SACERDOTE.
O faretrato Apolline
Col chiaro tuo splendor.
CORO.
Sai che ramingo ed esule
T’accolse Admeto un giorno;
GRAN SACERDOTE.
Che dell‘ Anfriso al margine
Tu fosti suo pastor.
GRAN SACERDOTE.
Sospendete, o Ministri,
Il sagrifizio, e le preghiere: al Tempio
La Regina s’avanza: alla dolente
Devota pompa esser vorrà presente.
Scena IV.
Alceste, Eumelo, Aspasia, Evandro, Ismene, Damigelle, Cortigiani, Popolo, e detti. Marcia come sopra.
Entra il seguito della Regina co‘ doni per il Nume, e s’alloga il Popolo co‘ Sacerdoti a dritta, e a sinistra; e Alceste co‘ due suoi figli prende luogo vicino al gran Sacerdote: si fa l’offerta de‘ doni, e si adorna l’Ara di ghirlande di fiori.
ALCESTE.
Nume eterno, immortal, se col tuo sguardo
Che de nostri pensieri scopre i segreti
In me sinor trovasti puro cor
Caste voglie, innocenza e pietà;
Se ogni mia forte da te conobbi, e se il tuo culto,
E questa immagin mai fu da me negletta,
L’offerte e i voti miei benigno accetta.
GRAN SACERDOTE.
I tuoi prieghi o Regina, i doni tuoi
Propizio oltre l’usato
Apollo accoglie. A cento segni espressi
Già presente, io l’affermo … Ecco che invaso
Dal suo sacro furor quel che ragiono
Oltrepassa il mortale … Ecco si spande
Infiammandosi poco a poco, e con entusiasmo.
Odor celeste … Al simulacro intorno
Arde un cerchio di luce … Ah! già son pieni
Questi archi, e queste mura
Della mente del Nume. I suoi decreti
Ei stesso dettera … L’altare ondeggia …
Il tripode vacilla …
Si scuote il suol … rimbomba il tempio … Oh genti!
In rispetto, in timore
Tacete, udite … E tu deponi Alceste
S’avanza la Regina co‘ figli all’ara, e s’inginocchia.
L’orgoglio del diadema;
Piega a terra la fronte, ascolta, e trema.
ORACOLO.
Il Re morrà, s’altri per lui non more.
CORO.
Che annunzio funesto
Di nuovo terrore!
Fuggiamo da questo
Soggiorno d‘ orrore.
Pronunziato appena l’Oracolo fuggono tutti dal Tempio, Alceste con suoi figli resta.
Scena V.
Alceste, Eumelo, e Aspasia.
ALCESTE Dopo breve sbigottimento.
Ove son! Che ascoltai! Qual non oscuro
Oracolo fatale
Il Nume pronunziò! Che fiero istante
S’alza.
Questo è per me! Quanti, e diversi affetti
Mi solleva nel cor! Rispetto, amore,
Maraviglia, spavento,
Debolezza, e virtù; tutti a vicenda
Mi s’affollano in sen. Son sì smarrita
Nel turbamento inusitato, e nuovo;
Che in me cerco me stessa, e me non trovo.
Questo dunque è il soccorso
Che dal Cielo aspettai! Morrà lo sposo
S’altri per lui non more! … A chi proporlo! …
Da chi sperarlo! … A quel crudel decreto
Ciascun m’abbandonò. De‘ miei fedeli
Guardando intorno.
Alcun non veggo … A tutti
Cara è la vita … Il miglior dono è questo
Che far possan gli Dei … Misero Admeto!
Prence infelice! Ove trovar chi voglia
Per prolungarti i giorni
Se stesso, e i giorni suoi porre in oblio! …
V’è chi t’ami a tal segno!
Dopo breve pausa.
Ah! vi son io.
Già tutta alla mia mente
Luminosa si mostra
La grande idea: già di sublime ardire
Mi s’empie il cor. Chi tanto
Di me, del mio volere
Signor si rende!
Dopo breve pausa.
Ah! lo conosco … Il Nume,
Il Nume in me si muove. Egli m’inspira
Il fagrifizio illustre: Ei vuol che Alceste
Un magnanimo esempio oggi assicuri
Alle spose fedeli a’dì futuri.
Ombre, Larve, compagne di morte;
Non vi chiedo, non voglio pietà.
Se vi tolgo l’amato consorte
V‘ abbandono una sposa fedel.
Non mi lagno di questa mia forte;
Questo cambio non chiamo crudel.
Ombre. Larve, compagne di morte;
Non v’offenda sì giusta pietà.
Forza ignota che in petto mi sento,
M’avvalora, mi sprona al cimento;
Di me stessa più grande mi sa.
Ombre, Larve, compagne di morte;
Non vi chiedo, non voglio pietà.
Fine dell‘ Atto Primo.
Atto secondo.
Scena I.
Oscura e folta selva sacra agli Dei Infernali, nel recinto di Fera, con Simulacri rozzi de‘ medesimi. Notte.
Alceste e Ismene.
ISMENE.
Ferma. Perche abbandoni
Il tuo sposo spirante, i figli in pianto;
La Reggia in lutto? In questi
Solitari ritiri
D’avide belve, il piede
Come ardisci inoltrar? Con qual disegno?
Per qual vana speranza? E vuoi lasciarti
Tanto in preda al dolor …
ALCESTE.
T‘ accheta, e parti.
Con maestà.
ISMENE.
Ma dove andrai? Già l’ombre sue dispiega
La cheta notte. Ignote
Sono a noi queste selve: un culto antico,
Sacre le rende: ognuno
Ne paventa l’accesso … Ah! se frattanto,
Che quì senza consiglio
Errando vai; che privo
Di te, del tuo soccorso
Lasci lo sposo tuo, morte l’invola.
ALCESTE.
Non parti?
Sdegnosa.
ISMENE.
Ubbidirò …
ALCESTE.
Lasciami sola.
Con impero.
ISMENE.
Parto … Ma senti … Oh Dio!
Di te che mai sarà!
Alceste, ah! per pietà,
Parla … rispondi.
Mi fa tremare il core
Quel che n n sai celar;
Ma più mi fa tremar
Quel che m’ascondi.
Parte.
Scena II.
Alceste, poi Coro di Numi Infernali non veduto, poi i Numi medesimi.
ALCESTE.
Partì: Sola restai … Teneri affetti
Magnanimì pensieri
Eccovi in libertà … Ma … Dove sono! …
S’avanza nel bosco.
In qual parte m’aggiro! …
Dove incauta m’inoltro! … Ah! qual paura
Spirano queste pìante … In qual profonda
Caliginosa notte
Mi veggo immersa!… Un cheto
Alto silenzio ingombra
La tenebrosa selva, ove non odo
Vento alcun che susurri,
Fronda scossa che tremi, Eco che plori:
Sol questi muti orrori
Interrompe talor lugubre suono
D’acqua che fra le rupi urta, e si frange;
O di notturno augel che rauco piange.
E fra tanti spaventi
Io respiro infelice! … Ah! mentre in vita
Mi serba Amor che vive in me, s’affretti
Il glorioso cimento;
Proteggetemi, o Numi, ecco il momento.
Inoltrandosi verso i Simulacri de‘ Numi Infernali.
Tu Tiranno dell‘ Ombre,
Tu Signor dell’Abbisso; e voi di Lete,
E voi di Flegetonte
Implacabili Dei che avete il trono
In quelle, ignote al Sol chiostre funeste;
Chiamo voi, parlo a voi …
VOCE non veduta.
Che chiedi Alceste?
ALCESTE.
Chi mi parla! … Che rispondo! …
Si veggono comparire nel fondo del bosca alcuni spettriluminosi.
Ah che veggo! … Ah che spavento! …
Ove fuggo! … Ove m’ascondo! …
Ardo … gelo … e il core io sento
Venir meno … oppresso in seno …
Con … un … lento … pal … pitar.
Non ho voce … non ho pianto …
Mànco … moro …E in … tanta … pena …
S’appoggia, e si lascia cader sopra un fasso.
Il vigor … mi … resta … appena …
Per … dolermi … e … per … tremar.
Riman come svenuta.
CORO di Numi Infernali non veduto.
E vuoi morire, o misera,
Quando di gioventù,
T‘ adorna il fiore!
Troppo ti lasci opprimere,
In dura servitù
Da un cieco amore.
ALCESTE.
Stelle! … Chi mi risveglia
Come rinvenendo.
Da quel forte letargo, in cui mi strinse
Debolezza, e terror! L’ardir primiero
Come ritrovo in me! … Come diversa
Tanto son da me stessa! … O sia morte,
Quanto più s’avvicina,
Meno orribil diventi:
O che men si sgomenti
Nell’incontro crudel, chi per sua scelta
Fugge la vita, all‘ alma mia non sono
Già tremende così, già tanto atroci
Quell‘ Ombre, quelle Larve, e quelle voci.
CORO di Numi Infernali non veduto.
Altro non puoi raccogliere
Da questa tua virtù
Che un vano onore.
Pensa mal cauta Giovane
Che mai risorge più,
Mai piu chi more.
ALCESTE.
Lo so, Numi, lo so … Ma forse intanto
Spira il mio Ben: Forse frà labbri suoi
Cogli ultimi singulti
Si confonde il mio nome … Ah no! si salvi,
S’alza risoluta.
Viva l’amato Admeto; e Alceste adempia
I decreti del Ciel, vittima illustre
D’amor, di fedeltà. Numi d’Averno,
S’avanza risolutamente verso i simulacri de‘ Numi Infernali.
Udite il voto mio tremendo, e sacro:
A voi per il mio Sposo, io mi consacro.
Esce il Coro de‘ Numi Infernali.
UN NUME INFERNALE.
Dunque vieni: La Morte t’accetta,
E di Lete ti mostra il sentier.
Già ti chiama, ti sgrida, t’affretta,
Dalla sponda l’antico nocchier.
I numi infernali circondano Alceste.
ALCESTE.
Uditemi, fermate … Ah! troppo o Numi,
Siete pronti a’miei Voti. Il caso mio
E‘ degno di pietà. Soffrite almeno
Che una moglie, una madre
Dal consorte, da‘ figli abbia un amplesso;
Prenda l’ultimo addio.
UN NUME INFERNALE.
Ti sia concesso.
ALCESTE.
Non vi turbate, no
Pietosi Dei,
Se a voi m’involerò
Qualche momento.
Anche senza il rigor
De‘ voti miei,
Io morirò d’amor,
E di contento.
Pàrte.
I Numi Infernali accompagnano Alceste fino alla Scena, esprimono co‘ gesti il loro stupore per l’atto magnanimo di lei, e partono.
Scena III.
Camera interiore del Palazzo d’Admeto, con Sacrario domestico, ed Ara da una parte.
Si balla da Cortigiani per festeggiare l’inaspettato ristabilimento d’Admeto.
Evandro, Cortigiani, Cavalieri, Dame, e Ufiziali di Corte.
CORO.
Dal lieto soggiorno
Funesti pensieri
Fuggite, volate.
Al trono d’intorno
Ridenti piaceri
Venite, tornate.
EVANDRO.
Or che morte il suo furore,
Porta altrove, e il lutto, e i pianti;
Che più belle
Son le stelle,
E per noi giran più liete:
Voi che amico avete Amore
Vaghe Spose, accesi Amanti!
D’odorose
Fresche rose
Coronatevi, e godete.
CORO.
Dal lieto soggiorno
Funesti pensieri
Fuggite, volate,
Al trono d’intorno.
Ridenti piaceri
Venite, tornate.
Scena IV.
Admeto, con seguito, e detti.
EVANDRO.
Signor, mai più sincero
D’un Popolo fedele
Il giubbilo non fu. Quanto l’afflisse
Di perderti il timor! Patre t’adora
Ti rispetta regnante: in te ripone
La sua felicità. No, non eccede
Il publico piacer quando fra tante
Di pianto, e di dolor meste vicende,
Pietoso a’nostri voti, il Ciel ti rende.
ADMETO.
Da qual letargo, Evandro
Mi risveglio in un punto; e qual portento
Alla tomba m’invola! Ancora ingombra
D’imagini di morte
La mente mi vacilla: ad altri oggetti
Rivolgersi non osa
L’attonito pensier; sospeso ancora
In un dubbio molesto,
Non so troppo se sogno, o se son desto.
EVANDRO.
Ah respira, mio Ré. Giorni felici
Ti promette la forte. Idee più liete
Nell‘ anima raccogli;
Pensa a goder. Del nostro amore è dono
La vita che t’avanza; il nostro pianto
Dal Ciel l’ottenne; alcun de‘ tuoi più cari
L’Oracolo adempì.
ADMETO.
Come! Che ascolto!
Che disse il Nume?
EVANDRO.
Il Rè morrà, se un altro
Non muor per lui.
ADMETO.
Barbara legge! E credi …
EVANDRO.
Si: tu risorgi, e in un momento: effetto
Non è questo del caso,
Non d’umano soccorso;
Opra è del Ciel: Vi fu, Signor, chi a morte
Per te s’offerse; il dubitarne è vano.
ADMETO.
Oh troppo ingiusto, oh strano
Voler de‘ Numi! Oh sagrifizio illustre
D’un’amico fedel! Merita, Evandro,
Più d’ogni altro la vita
Chi così ne fa dono … E a chi son’io
Di tanto debitor?
EVANDRO.
Non è palese.
ADMETO.
E Alceste? E la mia Sposa?
Ov’é? Che fa? Perche non viene ancora
Meco a goder di queste
Contentezze improvvise?
EVANDRO.
Eccoti Alceste.
Guardando dentro la Scena.
Il Ballo e tutti gli altri partono resta Alceste col suo seguito.
Scena V.
Alceste, e seguito, e detti.
ADMETO.
Adorata consorte, e pur di nuovo
Correndo ad abbracciarla.
Ti riveggo, son teco,
Son tuo, ti stringo al sen. Per te penoso
M’era il morir: per la diletta Alceste
Amo tanto la vita. I cari figli
Così mi serbi il Ciel, com’io sol bramo
Nel nostro dolce laccio
Passarne i giorni, e poi morirti in braccio.
ALCESTE.
(Misera che dirò)
Mesta, e confusa.
ADMETO.
Non mi rispondi?
Così mesta m’accogli? Ognì timore
Cessò pure per me. Serena il ciglio;
E‘ tempo di goder. Nuovi portenti
La tua presenza in me produce. Il raggio
De’tuoi lumi amorosi in sen mi desta
Un dolce ardor che mi ravviva. E‘ dono
De‘ sommi Dei, se questa
Fragil spoglia mortale ancor mi veste,
Ma il piacer della vita è don d’Alceste.
ALCESTE.
(Oh momento! Oh dolor!)
ADMETO.
Sposa! Ben mio!
Ma perché non m’abbracci?
Ma perché non mi parli? Ah, qual m’ascondi
Tuo segreto dolor? Quanto crudele
E‘ per me quel silenzio! … E il tuo frequente
Impallidire; il sospirare, il tanto
Fissare in Ciel gli sguardi, ed a vicenda
Girarli in me, che dir vorrà? Quel pianto
Che ti scorre sul volto,
Che reprimer non sanno
I tuoi languidi lumi è amore, è affanno?
Ah perché con quelle lagrime
M‘ avveleni il mio contento!
Dunque io godo un sol momento,
E poi sempre ho da soffrir?
Idol mio!
Sempre con passione e premura.
ALCESTE.
(Mancar mi sento.)
Sempre confusa.
ADMETO.
Non rispondi?
ALCESTE.
Ah che martir!
ADMETO.
Uno sguardo.
ALCESTE.
(E senza piangere!)
ADMETO.
Un‘ amplesso.
ALCESTE.
(Oh Dio! L’estremo!)
ADMETO.
Ah! m’ascolta.
ALCESTE.
(Io gelo, io tremo.)
ADMETO.
Parla almen.
ALCESTE.
(Che posso dir!)
ADMETO.
E‘ mia pena il tuo tormento
Sei mia speme, e mio tesoro.
ALCESTE.
(Mille volte, io così moro
Pria di giungere a morir.)
ADMETO.
Consorte! Alceste! E perché più palese
A me non è tutto il tuo core? A parte
Perchè più non son’io de‘ tuoi contenti,
Delle tue pene?
ALCESTE.
Ah la fedel tua sposa
Non affligger cosi! Tu vivi; e al mondo
Altri non v’è che più ne goda, e v’abbia
Di me parte miglior.
ADMETO.
Ma perché tanto
Dunque t’affanni?
ALCESTE.
Oh Dio! …
Non curar di saperlo.
ADMETO.
Altri perigli
Minaccia il Cielo? … Ah mi conservi Alceste,
E poi tutto si sfoghi
In me lo sdegno suo! … M’ami?
ALCESTE.
Se t’amo!
Lo san gli Dei, lo sa il mio cor. T’adoro:
T’adorerò. La tomba
Il mio pudico affetto
Estinguer non potrà. L’anima mia
Seco trarrà nel fortunato Eliso
Questo tenero amor. Per la tua vita,
Mille vite io darei.
ADMETO.
E i cari figli?
Con somma premura.
ALCESTE.
Non ti turbar, son salvi i figli.
Con affanno.
ADMETO.
E come
Temer puoi che la forte
Che ci ride felice ancor si cangi?
Vivo: sei mia: son salvi i figli; e piangi!
ALCESTE.
Ma non sai? … Ma … t’è ignoto,
Come Apollo parlò?
ADMETO.
Lo so: t’intendo,
V’è chi more per me. Senti: io comprendo
Del magnanimo voto
La sublime virtù. Tuo sposo appresi
Il prezzo della vita. Un si gran dono
Avanza ogni mercè! Ma se t’è noto
Questo Eroe, questo Amico,
Questo benefattor, scoprilo: io giuro
Che eterno in questi Lidi
Il suo nome vivrà: che alla sua Sposa,
A‘ Genitori, a‘ Figli;
Padre, Figlio, Consorte
Sempre farò: che doppo te, mia vita,
La miglior parte avranno
Di tutti i miei pensieri, e del cor mio.
Parla.
Con somma premura.
ALCESTE.
Oh Dei!
Piange.
ADMETO.
Piangi?
Con affanno.
ALCESTE.
Ah Sposo!
Con passione.
ADMETO.
E ben?
Con impeto.
ALCESTE.
Son‘ io.
ADMETO.
Santi Numi del Ciel! … Tu! … Come! … Alceste,
Sbigottito.
Tu stessa! … Oh colpo atroce!
Con Smania.
Oh nero giorno! Oh d’una cieca mente
Misero error! … Tu m’ami,
E te non ami! E a segno
Di morir, di lasciarmi
Di privarmi di te! … Che mai facesti! …
Io quando mai ti chiesi
Questa prova d’amor? Quando? … Rispondi:
Parla: stracciami il cor … Ma dove, oh Dio!
Dietro al dolor mi guida
Disperato pensier. No, che non tanto
Degli umani deliri
Si fa ministro il Ciel. Sei mia: non puoi
Dispor di te, s’io nol‘ consento; Il primo
E di Moglie, e di Madre
Sacro dover t’obbliga a me: ma quando
A quel voto crudel t‘ abbia sospinta
La tirannia di sregolato affetto;
Non vivrò: vano è il dono; io non l’accetto.
ALCESTE.
Sposo, non v’è più tempo. I voti miei
Son scritti in Cielo. Il tuo presente stato
Lo palesa abbastanza, e mai più chiaro
Il Dio parlò.
ADMETO.
No: sempre oscuro, e sempre
Misterioso risponde. Io volo al Tempio
A interrogar di nuovo
L’Oracolo fallace. Il mio risiuto
Saprà la terra. Io voglio
Che conosca, che apprenda,
Che non curano i Numi
Innocenza, e Virtù; che si fan gioco
De‘ mortali infelici. In questo stato
Più riguardi non ho: colla ragione
Perdo il timor. Da tanti
Fulmini atroci, e in si brev‘ ora oppresso;
Odio il Cielo, odio il Mondo, odio me stesso;
No, crudel; non posso vivere,
Tu lo sai, senza di te.
Non mi salvi, ma m’uccidi,
Se da me così dividive
La più viva, la più tenera,
Cara parte del mio cor.
E un si barbaro abbandono,
E l‘ orror d’un tale addio,
Virtù credi, e chiami amor!
Nel tiranno affanno mio
Ogni morte, oh Numi è un dono:
D’una vita così misera
Peggior forte, oh Dio! non v’è,
No, crudel; non posso vivere,
Tu lo sai, senza di te.
Parte.
Scena VI.
Alceste, poi Ismene.
ALCESTE.
Oh tenerezza! Oh amore,
Degni d’altra fortuna,
E troppo presto estinti! … Ah già s’avanza
Il momento fatale! Ad ora; ad ora
Illanguidir mi sento,
Mi sento indebolir. M’abbaglia il giorno:
Siede.
Mi s’aggrava il respiro: Un fuoco interno
Consumando mi va … Diletta Ismene,
Vedendola entrare.
Amorose compagne,
Negli estremi momenti
Assistetemi ancora. A me togliete
Queste misere pompe: a me recate
Partono due Damigelle d’Alceste, ed altre poi entrano co‘ fiori, e profumi.
Le ghirlande, i profumi:
L’ultime offerte mie, abbiano i Numi.
ISMENE.
Oh come rapida
Nel suo bel fiore
La vita amabile
Per lei fuggì!
CORO.
Oh come rapida
Nel suo bel fiore
La vita amabile.
Per lei fuggì!
ISMENE.
Qual rosa tenera
Che in sull‘ albore.
Gelido Borea
Inaridì.
CORO.
Qual rosa tenera
Che in sull‘ albore
Gelido Borea
Inaridì.
ISMENE.
Regina, ecco i tuoi figli …
Prendendo i figli che entrano in scena, e conducendoli ad Alceste.
ALCESTE.
Figli, diletti figli, oh Dio
Pur troppo ho da morir. Invano
V’affollate al mio seno, e mi stringete
Colle braccia amorose … Oh come presto
Questi nodi soavi
Sciolti saran! … Quella pietà, quel pianto
Più giovarmi non può … Venite, andiamo
S’alza.
Al genitore: a Lui vi fidi; a Lui
La moribonda Madre
Vi raccomandi almen … Ma qual m’assale
S’incamina, poi si ferma.
Nuovo atroce pensier che in ogni vena
Un ribrezzo mortale
Scorrer mi fa! … piangete, Ah sì! piangete
Con impeto.
Innocenti fanciulli: Io v’abbandono
Con incerte speranze
Ad un amor ch‘ esser potrebbe spento
Col volgere degli anni … Eccovi servi
A una madre … Ah, qual madre!
Madre solo di nome: eccovi esposti
All‘ invidie, a‘ sospetti, agli odj, a tanti
Di regno, e gelosia ciechi consigli:
Non avete più madre, amati figli!
Ah per questo gia stanco mio core
Sono, o cari bambini amorosi,
Tanti dardi que‘ languidi sguardi
Che girate sì teneri a me.
Già vi sento turbarmi i riposi
Quando afflitti, smarriti, dolenti
Voi direte; Ah la madre dov’è!
Ah la madre, la madre morì!
E‘ il più fierò di tutti i tormenti
Lo staccarsi da‘ dolci suoi figli;
E lasciarli fra tanti perigli,
E lasciarli nel pianto così.
CORO.
Oh come rapida
Nel suo bel fiore
La vita amabile
Per lei fuggì!
Qual rosa tenera
Che in sull‘ albore
Gelido Borea
Inaridì.
ALCESTE.
E‘ il più fiero di tutti i tormenti
Lo staccarsi da‘ dolci suoi figli;
E lasciarli fra tanti perigli,
E lasciarli nel pianto così.
Parte, e seco tutti.
Fine dell‘ Atto secondo.
Atto Terzo.
Scena I
Vestibulo magnifico, e scoperto del real Palazzo adorno di statue, e trofei. Giorno.
Admeto, e Evandro con fretta da diverse parti.
ADMETO.
Ah mio fido!
EVANDRO.
Ah mio Re!
ADMETO.
D‘ Alceste il voto
Rivocarsi non può.
EVANDRO.
Non puoi tu stesso
Morir per lei.
ADMETO.
Non lo consente il Cielo.
EVANDRO.
E‘ muto il Nume. Oh Sorti
Per noi troppo funeste
ADMETO.
Alceste ha da morir!
EVANDRO.
Perdiamo Alceste!
ADMETO.
Tu piangi, Evandro amato,
E n’hai ragion. Ma il mio dolor misura
Dal tuo stesso dolor. Vedi a qual pena
Mi condannan gli Dei. Morir non posso
Per chi more per me! La vita aborro,
E m’è chiusa la tomba! Ad ogni ìstante
De‘ miei miseri giorni
Rammenterò della perduta Alceste
La fedeltà, l‘ amore,
La virtù, la costanza: in ogni oggetto
Mi fingerò la sua beltà; quel dolce
Amabil sguardo, quel soave riso,
Quel modesto rossor. Più vive ancora
Queste fiere memorie avrò presenti
Nel sembiante de’figli; e dovrò sempre
Abbracciarli piangendo,
Sospirando baciarli … Ah, qual contrasto
D‘ opposti affetti! Ah quale
Di tenerezza, di pietà, d’orrore
Lunga vicenda, e amara
Ad un Sposo, ad un Padre, il Ciel prepara!
Misero! E che farò!
E come, e con qual cor
I figli abbraccero;
Che in tanto suo rigor
Mi serba in vita ancor
La barbara pietà,
Del Ciel tiranno!
Misero! E con qual cor
Io li consolerò:
Che mai risponderò,
Quando bagnati in lagrime
La Madre al genitor
Rammenteranno!
La Madre, ah che dolor!
Mi chiederanno.
No: si atroce costanza a tanta pena
Non trovo in me: Nel presagirla, io sento
Inorridirmi il core … In quale abbisso
Dal sommo de‘ contenti
Caddi in un dì. Voi m’invidiaste, o Numi
La mia felicità! Troppo il mio stato
Era simile al vostro
Col possesso d’Alceste! … E intanto, oh Dio!
Come potrò vederla
Spirarmi in braccio … E de‘ begli occhi fuoi
Adombrarsi la luce! …. E in quel bel volto,
E ìn quel bel sen freddo spiegarsi, e nero
Il livido di morte! … Ah! già veloce
Fugge il momento, e questa a me si appresta
Scena d’orror … Misero me! … Che veggo!
Guardando dentro la scena.
Eccola! Oh vista! Oh crudeltà! S’avanza …
Vacillante, languente …
E ha seco i figli … e viene
Agli ultimi congedi
La mia, ah non più mia! fedel consorte …
Oh Alceste! Oh figli! Oh divisione! Oh morte!
Scena II.
Alceste sostenuta dalle Damigelle; Eumelo, Aspasia, Ismene, seguito di Donzelle con Alceste, e detti; indi Numi Infernali.
ALCESTE.
Sposo, Admeto, Idol mio! Ecco il momento
Che da te mi divide, e che le nostre
Amabili catene
Scioglie per sempre. Intorno a me sdegnosa
Gira l’Ombra di morte
Che il ferro stringe, alza la destra, e accenna
Vibrare il fatal colpo. In breve Alceste
Gelida spoglia in freddo marmo ascosa,
Non sarà più Madre, Regina, e Sposa.
Siede sopra un piccolo letto di riposo.
ADMETO.
Oh strazio!
EVANDRO.
Oh crudel voto!
ISMENE.
Oh fedeltà!
ALCESTE.
San tutti i Numi, o caro,
Se in questa che mi ride
Giovane età; se riamata amante;
Se madre, se regnante; a tutti avvezza
I piacer delle vita; un sol sospiro
Sparsi in fartene un dono … Ah questo dono
Merita una mercede! eccola: io chiedo
Che ad altra Sposa in braccio
I nostri amati Figli
Non t’abbiano a veder. Se lo prometti:
Se a me lo giuri, a‘ cari Figli, a‘ Numi;
Chiuderò in pace al sonno eterno i lumi.
ADMETO.
Alceste! mio tesoro!
Accostandosi a lei, e con impeto di passione.
Ah! quel che chiedi
E‘ mio sacro dover. Si, lo prometto;
L’adempirò: lo giuro
A‘ Numi, a te. Te sola Alceste amai
Mentre vivesti; estinta
Sempre t’adorerò. Questi tuoi Figli,
Saran soli i miei Figli. Ogni contento
Fugge da me col tuo morir: mi resta
Pianto, lutto, dolor, che fine avranno
Col finir de‘ miei giorni … E, oh me felice!
Se a ricondurmi a te nella serena
Placida sede alle bell‘ alme eletta,
Questo dolce momento il Ciel m’affretta.
ALCESTE.
Vieni dunque, e ricevi
Dalla man della Sposa
Questi, che a te confida
Pegni diletti … E prendi …
L’ultimo addio.
ADMETO.
L’ultimo!
ALCESTE.
Ah! … Si.
ADMETO.
Mi sento
Da una piena d’affanni
Sconvolto il core!
ALCESTE.
Aspasia … Eumelo, oh care
Parti di questo seno!
Pensate a me: venite
Sovente alla mia tomba,
Ornatela di fiori: (ombra amorosa
Vi girerò di intorno.) E della vostra
Povera madre il memorabil voto,
La fedeltà, l‘ amore,
Rammentate tal volta al genitore.
Cari Figli … Ah! non piangete.
Tutto il suo tenero affetto
Vi promette il genitor.
ADMETO.
Cari Figli … Ah voi sarete
Il conforto, ed il diletto,
Soli voi, di questo cor!
ALCESTE.
Ti consola … O Sposo … amato …
Languidamente, e come se si senta mancare.
ADMETO.
Troppo è barbaro il mio fato!
ALCESTE.
Ah mio bene in tal momento
Sol m’affanna il tuo dolor!
Cade in un deliquio.
ADMETO.
Che acerbo tormento,
Doppo averla guardata, smaniando per la Scena.
Che strazio, che morte,
La dolce conforte
Vedersi rapir!
L’esempio son’io
Di quanto si possa.
Da un misero, oh Dio!
Vivendo soffrir.
S’accosta ad Alceste.
Numi! Amici! ah chi m’aita!
ALCESTE.
Sposo … Figli … Ah mentre è in vita
Risorge alquantò.
Abbracciate Alceste ancor.
S’avanzano per abbracciarla.
ADMETO, EVANDRO, ISMENE.
Ma! Qual suono di voci tremende:
Sono sbigottiti da un suono spaventevole che si sente dentro la scena, e torna a cadere Alceste in deliquio.
Qual caligine involta di tenebre
Ci sorprende, ci copre d’orror!
ADMETO, EVANDRO.
Quant‘ ombre!
Entrano in una nera nuvolosa i Numi Infernali.
Quante Larve!
ADMETO, EVANDRO.
Di terribile aspetto!
Di sembianza feroce, e minacciosa!
ADMETO E EVANDRO.
Che avverrà!
Che vorranno!
ISMENE, ADMETO.
Oh Alceste!
Oh Sposa!
Vedendoli avvicinare ad Alceste.
CORO di Numi Infernali.
Vieni Alceste; il tuo voto rammenta:
Mai la Parca, sospese sì lenta
Il severo suo fiero rigor.
S’avvicinano ad Alceste.
ALCESTE.
Ahimé! … Chi mi riscuote!
Chi mi scioglie da quella
Stupidezza di sensi in cui languiva
Priva d’ogni dolor tranquilla, e muta! …
Qual gente mi circonda!
Voltandosi, e vedendo i Numi Infernali.
Ah! son perduta.
CORO di Numi Infernali.
Perchè ti trattieni?
Sei Vittima a Dite.
Ad Alceste.
ADMETO.
Fermatevi: udite;
Saziatevi o Dei:
E seco rapite
Un Sposo amoroso
Che senza di lei
No, più non vivrà.
Smaniando.
CORO di Numi Infernali.
Non è più permesso;
Non v‘ è più pietà.
ADMETO.
Ma almeno un‘ istante.
ALCESTE.
Ma … ancorà … un … amplesso.
Languidamente.
CORO di Numi Infernali.
Non è più permesso;
Non v‘ e più pietà.
UN NUME INFERNALE.
Vieni.
Va per prendere Alceste.
ADMETO.
Ah barbari!
Snuda la spada, e va contro a‘ Numi Infernali.
UN NUME INFERNALE.
Affrena,
Voltandosi, e con Maestà.
Temerario mortale,
Lo sconsigliato ardir che ti trasporta.
Prende Alceste.
ALCESTE.
Figli … Addio … Sposo …. Addio.
Venendo portata via da‘ Numi infernali.
ADMETO.
Moro.
Cade tramortito ed è condotto dentro con Eumelo, e Aspasia.
ALCESTE.
Son morta.
E condotta via da‘ Numi Infernali.
Scena III.
Evandro, Ismene, parte de‘ Cortigiani d‘ Admeto, e Damigelle d‘ Alceste; indi diversi personaggi, di quelli che partirono con Admeto, e con Eumelo, e Aspasia, suoi figli.
EVANDRO.
Morì?
ISMENE.
Non vive più.
EVANDRO.
Fra quelle Larve,
S’ascose, ci disparve.
ISMENE.
Io gelo …
EVANDRO.
Io tremo …
ISMENE.
Di terror …
EVANDRO.
Di spavento …
EVANDRO E ISMENE.
Oh noi dolenti
Chi ci soccorrerà! Chi ci conforta!
CORO.
Piangi o Patria, o Tessaglia; Alceste è morta!
ISMENE.
Alceste è morta! Ahimè!
Mai fine il pianto avrà
Che queste bagnerà,
Spiagge funeste!
CORO.
Piangi o Patria, o Tessaglia; è morta Alceste!
ISMENE, EVANDRO.
Ogni virtù più bella
Con leì da noi partì:
Punirci, ah voi così,
Numi, voleste!
CORO.
Piangi o Patria, o Tessaglia; è morta Alceste!
Scena IV.
Admeto con seguito di Cortigiani che lo circondano per disarmarlo; Eumelo, Aspasia, Damigelle d‘ Alceste, e detti.
ADMETO.
Lasciatemi, crudeli Invan sperate
Vien disarmato.
Impedirmi il morir! s’oppone invano
A’miei disegni il Cielo. È morta Alceste;
E la vita diventa
Un supplizio per me. Come potrei
Di queste odiose mura
L’aspetto sopportar! Girar lo sguardo,
Ne più vederla! Andar volgendo il passo,
E incontrar da per tutto
Solitudine, e lutto! … Ah chi mi toglie.
Con impeto.
Di sottrarmi morendo
A un destino sì rio;
È ìl peggior de‘ viventi, è l‘ odio mio.
ISMENE.
Ah Signore! …
EVANDRO.
Ah mio Re! …
ADMETO.
Scostati: taci;
Lasciami per pietà.
ISMENE.
Ma … questo Regno …
EVANDRO.
Ma … questi figli.
Presentandogli Eumelo e Aspasia che s’inginochiano avanti a lui.
ADMETO.
Ismene, Evandro, oh Dio!
Di straziarmi cessate … Io non ho in mente
Non ho nel core altri che Alceste, e voglio
Riunirmi con lei.
Scostandosi, appoggiandosi ad una Scena, e coprendosi il volto.
ISMENE.
Ma qual fiammeggia
Improvviso balen!
Comincia a vedersi lume in aria.
EVANDRO.
Qual‘ ampio lume
Le nubi accende!
ADMETO.
Ah! Nella tomba istessa
Coll‘ adorata sposa
Chiuso io sarò: La seguirò fedele
Nel soggiorno felice
Ch’à Giusti, ed agli Eroi ìl Ciel riserva.
Impetuoso in atto di partire.
EVANDRO.
Ferma …
Lo trattiene.
ISMENE.
Aspetta …
ADMETO.
Che fù?
EVANDRO.
Rimira.
Gli fanno osservare una gran nuvola luminosa che scende.
ISMENE.
Osserva.
ADMETO.
Che prodigi son questi!
ISMENE.
Ah! Un Nume …
Vedendo comparire un Nume sulla nuvolosa.
EVANDRO.
Un Nume
Fra noi discende, e sembra
Che tutti i rai del Sol si tragga appresso.
ADMETO.
Stupisco.
ISMENE, EVANDRO.
Mi conforto.
ADMETO.
È Apollo!
ISMENE, EVANDRO.
È desso!
Scena ultima.
Apollo in nuvola luminosa; Alceste chiusa in questa nuvola, e detti.
APOLLO.
Admeto: in Cielo ancora
Il tuo misero affanno
Destò pietà. Della fedel tua sposa
Il magnanimo voto
Piacque agli Dei. Son degni
Due si teneri amanti
D’una forte migliore. In terra, un giorno
Se m’accogliesti; il maggior premio ottieni
Che dal favor celeste
Sperar possa un mortal: ti rendo Alceste.
Alceste scende, risale la nuvola col Nume.
ADMETO.
Ah! mia vita …
Correndo a incontrarla.
ALCESTE.
Ah! mio ben …
ADMETO.
Vivi!
ALCESTE.
T‘ abbraccio!
ADMETO.
Oh portento!
ALCESTE.
Oh stupore!
ADMETO.
Oh me felice!
ALCESTE.
Oh cari figli!
Oh diletto consorte! E pur di nuovo
Tutti vi stringo al seno.
Abbracciandosi tutti.
ADMETO.
Oh Ciel pietoso!
Oh benefico Nume!
Oh fausto dì … Festeggi
L’inaspettato evento
Il Regno mio: s’appresti
Solenne sagrifizio: E i primi, o cara,
Pensieri tuoi, i primi voti miei
In si lieta fortuna, abbian gli Dei.
TUTTI.
Regna a noi, con lieta sorte
Donna eccelsa, a cui sul trono
Altra donna ugual non fù.
Bella, e casta, e saggia, e forte:
Tutte in te congiunte sono
Le bellezze, e le virtù.
Fine.