Gioacchino Rossini
Il barbiere di Siviglia
Melodramma buffo in due atti
Libretto von Cesare Sterbini
Uraufführung: 20.02.1816, Teatro di Torre Argentina, Rom
Personaggi
Il Conte d’Almaviva (Tenore)
Bartolo, dottore in medicina, tutore di (Basso comico)
Rosina, ricca pupilla in casa di Bartolo (Contralto)
Figaro, barbiere (Baritono)
Basilio, maestro di musica di Rosina, ipocrita (Basso)
Fiorello, servitore d’Almaviva (Tenore)
Ambrogio, servitore di Bartolo (Basso)
Berta, vecchia cameriera di Bartolo (Soprano)
Un Ufficiale (Basso)
Un Alcade, o Magistrato – Un Notaro
Alguazil (Birri) – Soldati
Suonatori d’istrumenti
La scena si rappresenta in Siviglia.
Atto primo
Scena prima
Una piazza della città di Siviglia.
Il momento dell’azione è sul terminar della notte. A sinistra è la casa di Bartolo, con balcone praticabile, circondata da gelosia, che deve aprirsi e chiudersi – a suo tempo – con chiave.
Fiorello, con lanterna nelle mani, introducendo sulla scena vari suonatori di strumenti. Indi il Conte avvolto in un mantello.
FIORELLO avanzandosi con cautela.
Piano, pianissimo,
senza parlar,
tutti con me
venite qua.
CORO.
Piano, pianissimo,
eccoci qua.
TUTTI.
Tutto è silenzio;
nessun qui sta
che i nostri canti
possa turbar.
CONTE sottovoce.
Fiorello … Olà …
FIORELLO.
Signor, son qua.
CONTE.
Ebben! … gli amici?
FIORELLO.
Son pronti già.
CONTE.
Bravi, bravissimi,
fate silenzio;
piano, pianissimo,
senza parlar.
CORO.
Piano, pianissimo,
senza parlar.
I Suonatori accordano gli istrumenti, e il Conte canta accompagnato da essi.
CONTE.
Ecco, ridente in cielo
spunta la bella aurora,
e tu non sorgi ancora
e puoi dormir così?
Sorgi, mia dolce speme,
vieni, bell’idol mio;
rendi men crudo, oh Dio,
lo stral che mi ferì.
Oh sorte! già veggo
quel caro sembiante:
quest’anima amante
ottenne pietà.
Oh istante d’amore!
Oh dolce contento!
Soave momento
che eguale non ha!
Ehi, Fiorello? …
FIORELLO.
Mio Signore …
CONTE.
Di‘, la vedi?
FIORELLO.
Signor no.
CONTE.
Ah, ch’è vana ogni speranza!
FIORELLO.
Signor Conte, il giorno avanza …
CONTE.
Ah! che penso! che farò?
Tutto è vano … buona gente! …
CORO sottovoce.
Mio signor …
CONTE.
Avanti, avanti.
Dà la borsa a Fiorello, il quale distribuisce denari a tutti.
Più di suoni, più di canti
io bisogno ormai non ho.
FIORELLO.
Buona notte a tutti quanti,
più di voi che far non so.
I Suonatori circondano il Conte ringraziandolo e baciandogli la mano e il vestito. Egli, indispettito per lo strepito che fanno, li va cacciando. Lo stesso fa anche Fiorello.
CORO.
Mille grazie … mio signore …
del favore … dell’onore …
Ah, di tanta cortesia
obbligati in verità.
(Oh, che incontro fortunato!
È un signor di qualità.)
CONTE.
Basta, basta, non parlate …
Ma non serve, non gridate …
Maledetti, andate via …
Ah canaglia, via di qua.
Tutto quanto il vicinato
questo chiasso sveglierà.
FIORELLO.
Zitti, zitti … che rumore! …
Ma che onore? … che favore? …
Maledetti, andate via …
Ah canaglia, via di qua!
Ve‘, che chiasso indiavolato!
Ah, che rabbia che mi fa!
I suonatori partono.
Scena seconda
Il Conte e Fiorello.
CONTE.
Gente indiscreta! …
FIORELLO.
Ah, quasi
con quel chiasso importuno
tutto quanto il quartiere han risvegliato.
Alfin sono partiti!
CONTE guardando verso la ringhiera.
E non si vede!
È inutile sperar.
Passeggia riflettendo.
(Eppur qui voglio
aspettar di vederla. Ogni mattina
ella su quel balcone
a prender fresco viene sull’aurora.
Proviamo.) Olà, tu ancora
ritirati, Fiorel.
FIORELLO.
Vado. Là in fondo
attenderò suoi ordini.
Si ritira.
CONTE.
Con lei
se parlar mi riesce,
non voglio testimoni. Che a quest’ora
io tutti i giorni qui vengo per lei
dev’essersi avveduta. Oh, vedi, amore
a un uomo del mio rango
come l’ha fatta bella! Eppure, eppure
dev’essere mia sposa …
Si sente da lontano venire Figaro cantando.
Chi è mai quest’importuno? …
Lasciamolo passar; sotto quegli archi,
non veduto, vedrò quanto bisogna;
già l’alba appare e amor non si vergogna.
Si nasconde sotto il portico.
Scena terza
Figaro, con chitarra appesa al collo.
FIGARO.
Largo al factotum
della città.
Presto a bottega,
ché l’alba è già.
Ah, che bel vivere,
che bel piacere
per un barbiere
di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo;
Fortunatissimo
per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d’intorno,
in giro sta.
Miglior cuccagna
per un barbiere,
vita più nobile,
no, non si dà.
Rasori e pettini,
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
V’è la risorsa,
poi, del mestiere
colla donnetta …
col cavaliere …
Ah, che bel vivere,
che bel piacere
per un barbiere
di qualità!
Tutti mi chiedono,
tutti mi vogliono,
donne, ragazzi,
vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca …
Presto la barba …
Qua la sanguigna …
Presto il biglietto …
Figaro … Figaro …
Son qua, son qua.
Figaro … Figaro …
Eccomi qua.
Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Una alla volta,
per carità!
Pronto prontissimo
son come il fulmine:
sono il factotum
della città.
Ah, bravo Figaro!
bravo, bravissimo;
a te fortuna
non mancherà.
Scena quarta
Figaro, poi il Conte.
FIGARO.
Ah, ah! che bella vita! …
Faticar poco, divertirsi assai,
e in tasca sempre aver qualche doblone,
gran frutto della mia riputazione.
Ecco qua: senza Figaro
non si accasa in Siviglia una ragazza:
a me la vedovella
ricorre pel marito: io colla scusa
del pettine di giorno,
della chitarra col favor la notte,
a tutti onestamente,
non fo per dir, m’adatto a far piacere.
Oh che vita, che vita! Oh che mestiere!
Orsù, presto a bottega…
CONTE avanzandosi.
(È desso, o pur m’inganno?)
FIGARO scorgendo il Conte.
(Chi sarà mai costui? …)
CONTE.
(Oh, è lui senz’altro!)
Figaro! …
FIGARO.
Mio padrone …
Riconoscendo il Conte.
Oh, chi veggo! … Eccellenza! …
CONTE.
Zitto, zitto, prudenza!
Qui non son conosciuto,
né vo‘ farmi conoscere. Per questo
ho le mie gran ragioni.
FIGARO.
Intendo, intendo,
la lascio in libertà.
CONTE.
No … no …
FIGARO.
Che serve?
CONTE.
No, dico: resta qua;
forse ai disegni miei
non giungi inopportuno … Ma cospetto,
dimmi un po‘, buona lana,
come ti trovo qua? … poter del mondo!
Ti veggo grasso e tondo …
FIGARO.
La miseria, signore!
CONTE.
Ah birbo!
FIGARO.
Grazie.
CONTE.
Hai messo ancor giudizio?
FIGARO.
Oh! e come … Ed ella,
come in Siviglia? …
CONTE.
Or te lo spiego. Al Prado
vidi un fior di bellezza, una fanciulla
figlia d’un certo medico barbogio
che qua da pochi di s’è stabilito.
Io, di questa invaghito,
lasciai patria e parenti, e qua men venni.
E qui la notte e il giorno
passo girando a que‘ balconi intorno.
FIGARO.
A que‘ balconi? … un medico? … Oh cospetto!
Siate ben fortunato;
sui maccheroni il cacio v’è cascato.
CONTE.
Come?
FIGARO.
Certo. Là dentro
io son barbiere, parrucchier, chirurgo,
botanico, spezial, veterinario,
il faccendier di casa.
CONTE.
Oh che sorte! …
FIGARO.
Non basta. La ragazza
figlia non è del medico. È soltanto
la sua pupilla!
CONTE.
Oh che consolazione!
FIGARO.
Perciò … Zitto! …
CONTE.
Cos’è?
FIGARO.
S’apre il balcone.
Si ritirano sotto il portico.
Scena quinta
Rosina, poi Bartolo, e detti.
ROSINA dal balcone.
Non è venuto ancor. Forse …
CONTE.
Oh, mia vita!
Mio nume! mio tesoro!
Vi veggo alfine, alfine …
ROSINA estraendo un biglietto.
Oh, che vergogna!
Vorrei dargli il biglietto …
BARTOLO apparendo sul balcone.
Ebben, ragazza?
Il tempo è buono. Cos’è quella carta?
ROSINA.
Niente, niente, signor: son le parole
dell’aria dell’INUTIL PRECAUZIONE.
CONTE.
Ma brava … dell’INUTIL PRECAUZIONE …
FIGARO.
Che furba!
BARTOLO.
Cos’è questa
INUTIL PRECAUZIONE?
ROSINA.
Oh, bella! è il titolo
del nuovo dramma in musica.
BARTOLO.
Un dramma! Bella cosa! sarà al solito
un dramma semiserio,
un lungo, malinconico, noioso,
poetico strambotto.
Barbaro gusto! secolo corrotto!
ROSINA lasciando cadere il biglietto.
Oh, me meschina! l’aria m’è caduta.
A Bartolo.
Raccoglietela presto.
BARTOLO.
Vado, vado.
Si ritira.
ROSINA verso il Conte.
Ps … Ps …
CONTE.
Ho inteso.
ROSINA.
Presto.
CONTE.
Non temete.
Raccoglie il foglio.
BARTOLO uscendo sulla via.
Son qua.
Dov’è?
ROSINA.
Ah, il vento l’ha portata via.
Guardate.
BARTOLO.
Io non la veggo.
Eh, signorina, non vorrei … (Cospetto!
Costei m’avesse preso!) In casa, in casa,
animo, su! A chi dico? In casa, presto.
ROSINA.
Vado, vado. Che furia!
BARTOLO.
Quel balcone
io voglio far murare …
Dentro, dico.
ROSINA.
Ah, che vita da crepare!
Rosina si ritira dal balcone. Bartolo rientra in casa.
CONTE.
Povera disgraziata!
Il suo stato infelice
sempre più m’interessa.
FIGARO.
Presto, presto:
vediamo cosa scrive.
CONTE.
Appunto. Leggi.
FIGARO legge il biglietto. »Le vostre assidue premure hanno eccitata la mia curiosità. Il mio tutore è per uscir di casa; appena si sarà allontanato procurate con qualche mezzo ingegnoso d’indicarmi il vostro nome, il vostro stato e le vostre intenzioni. Io non posso giammai comparire al balcone senza l’indivisibile compagnia del mio tiranno. Siate però certo che tutto è disposta a fare, per rompere le sue catene, la sventurata Rosina.«
CONTE.
Sì, sì, le romperà. Su, dimmi un poco:
che razza d’uomo è questo suo tutore?
FIGARO.
È un vecchio indemoniato,
avaro, sospettoso, brontolone;
avrà cent’anni indosso
e vuol fare il galante: indovinate?
per mangiare a Rosina
tutta l’eredità s’è fitto in capo
di volerla sposare. Aiuto!
CONTE.
Che?
FIGARO.
S’apre la porta.
Si ritirano in fretta. Bartolo esce di casa.
BARTOLO parlando verso la porta.
Fra momenti io torno;
non aprite a nessun. Se Don Basilio
venisse a ricercarmi, che m’aspetti.
Chiude la porta di casa.
Le mie nozze con lei meglio è affrettare.
Sì, dentr’oggi finir vo‘ quest’affare.
Parte.
Scena sesta
Il Conte e Figaro, poi Rosina.
CONTE fuori con Figaro.
Dentr’oggi le sue nozze con Rosina!
Ah, vecchio rimbambito!
Ma dimmi or tu! chi è questo Don Basilio? …
FIGARO.
È un solenne imbroglion di matrimoni,
un collo torto, un vero disperato,
sempre senza un quattrino …
Già, è maestro di musica;
insegna alla ragazza.
CONTE.
Bene, bene;
tutto giova saper.
FIGARO.
Ora pensate
della bella Rosina
a soddisfar le brame.
CONTE.
Il nome mio
non le vo‘ dir nè il grado; assicurarmi
vo‘ pria ch’ella ami me, me solo al mondo,
non le ricchezze e i titoli
del conte d’Almaviva. Ah, tu potresti …
FIGARO.
Io? no, signore; voi stesso dovete …
CONTE.
Io stesso? e come?
FIGARO.
Zitto. Eccoci a tiro,
osservate: perbacco, non mi sbaglio.
Dietro la gelosia sta la ragazza;
presto, presto all’assalto, niun ci vede.
In una canzonetta,
così, alla buona, il tutto
spiegatele, signor.
CONTE.
Una canzone?
FIGARO.
Certo. Ecco la chitarra; presto, andiamo.
CONTE.
Ma io …
FIGARO.
Oh che pazienza!
CONTE.
Ebben, proviamo.
Se il mio nome saper voi bramate,
dal mio labbro il mio nome ascoltate.
Io son Lindoro
che fido v’adoro,
che sposa vi bramo,
che a nome vi chiamo,
di voi sempre parlando così
dall’aurora al tramonto del dì.
ROSINA dentro la casa.
Segui, o caro; deh, segui così!
FIGARO.
Sentite. Ah! che vi pare?
CONTE.
Oh, me felice!
FIGARO.
Da bravo, a voi, seguite.
CONTE.
L’amoroso e sincero Lindoro
non può darvi, mia cara, un tesoro.
Ricco non sono,
ma un core vi dono,
un’anima amante,
che fida e costante
per voi sola sospira così
dall’aurora al tramonto del dì.
ROSINA.
L’amorosa sincera Rosina
del suo core Lindo …
Si ritira dal balcone.
Scena settima
Il Conte e Figaro.
CONTE.
Oh cielo!
FIGARO.
Nella stanza
convien dir che qualcuno entrato sia.
Ella si è ritirata.
CONTE con enfasi.
Ah cospettone!
Io già deliro … avvampo! … Oh, ad ogni costo
vederla io voglio … Vo‘ parlarle … Ah tu,
tu mi devi aiutar.
FIGARO.
Ih, ih, che furia!
Sì, sì, v’aiuterò.
CONTE.
Da bravo: entr’oggi
vo‘ che tu m’introduca in quella casa.
Dimmi, come farai? … via! … del tuo spirito
vediam qualche prodezza.
FIGARO.
Del mio spirito! …
Bene … vedrò … ma in oggi …
CONTE.
Eh via! t’intendo.
Va là, non dubitar; di tue fatiche
largo compenso avrai.
FIGARO.
Davver?
CONTE.
Parola.
FIGARO.
Dunque, oro a discrezione?
CONTE.
Oro a bizzeffe.
Animo, via.
FIGARO.
Son pronto. Ah, non sapete
i simpatici effetti prodigiosi
che, ad appagare il mio signor Lindoro,
produce in me la dolce idea dell’oro
All’idea di quel metallo
portentoso, onnipossente,
un vulcano la mia mente
incomincia a diventar.
CONTE.
Su, vediam di quel metallo
qualche effetto sorprendente,
del vulcan della tua mente
qualche mostro singolar.
FIGARO.
Voi dovreste travestirvi,
per esempio … da soldato.
CONTE.
Da soldato?
FIGARO.
Sì, signore.
CONTE.
Da soldato? … e che si fa? …
FIGARO.
Oggi arriva un reggimento.
CONTE.
Sì, è mio amico il Colonnello.
FIGARO.
Va benon.
CONTE.
Eppoi?
FIGARO.
Cospetto!
Dell’alloggio col biglietto
quella porta s’aprirà.
Che ne dite, mio signore?
Non vi par? Non l’ho trovata?
CONTE E FIGARO.
Che invenzione prelibata!
Bravo, bravo, in verità!
Bella, bella, in verità!
FIGARO.
Piano, piano … un’altra idea!
Veda l’oro cosa fa.
Ubbriaco … sì, ubbriaco,
mio signor, si fingerà.
CONTE.
Ubbriaco?
FIGARO.
Sì, signore.
CONTE.
Ubbriaco? … Ma perché? …
FIGARO.
Perché d’un ch’è poco in sè,
Imitando moderatamente i moti d’un ubbriaco.
che dal vino casca già,
il tutor, credete a me,
il tutor si fiderà.
CONTE E FIGARO.
Che invenzione prelibata!
Bravo, bravo, in verità!
Bella, bella, in verità!
CONTE.
Dunque …
FIGARO.
All’opra.
CONTE.
Andiam.
FIGARO.
Da bravo.
CONTE.
Vado … Oh, il meglio mi scordavo!
Dimmi un po‘, la tua bottega,
per trovarti, dove sta?
FIGARO.
La bottega? … Non si sbaglia;
guardi bene; eccola là.
Additando fra le quinte.
Numero quindici a mano manca,
quattro gradini, facciata bianca,
cinque parrucche nella vetrina,
sopra un cartello«Pomata fina»,
mostra in azzurro alla moderna,
v’è per insegna una lanterna …
Là senza fallo mi troverà.
CONTE.
Ho ben capito …
FIGARO.
Or vada presto.
CONTE.
Tu guarda bene …
FIGARO.
Io penso al resto.
CONTE.
Di te mi fido …
FIGARO.
Colà l’attendo.
CONTE.
Mio caro Figaro …
FIGARO.
Intendo, intendo.
CONTE.
Porterò meco …
FIGARO.
La borsa piena.
CONTE.
Sì, quel che vuoi, ma il resto poi …
FIGARO.
Oh non si dubiti, che bene andrà …
CONTE.
Ah, che d’amore
la fiamma io sento,
nunzia di giubilo
e di contento!
Ecco propizia
che in sen mi scende;
d’ardore insolito
quest’alma accende,
e di me stesso
maggior mi fa.
FIGARO.
Delle monete
il suon già sento!
L’oro già viene,
viene l’argento;
eccolo, eccolo,
che in tasca scende;
e di me stesso
maggior mi fa.
Figaro entra in casa di Bartolo, il Conte parte.
Scena ottava
Fioretto solo.
FIORELLO entrando.
Evviva il mio padrone!
Due ore, fitto in pie‘, là come un palo
mi fa aspettare e poi …
Mi pianta e se ne va. Corpo di Bacco!
Brutta cosa servire
un padron come questo.
Nobile, giovinotto e innamorato,
questa vita, cospetto, è un gran tormento!
Ah, durarla così non me la sento!
Parte.
Scena nona
Camera nella casa di don Bartolo.
Di prospetto la finestra con gelosia, come nella scena prima.
Rosina, sola.
ROSINA.
Una voce poco fa
qui nel cor mi risuonò;
il mio cor ferito è già,
e Lindor fu che il piagò.
Sì, Lindoro mio sarà;
lo giurai, la vincerò.
Il tutor ricuserà,
io l’ingegno aguzzerò.
Alla fin s’accheterà
e contenta io resterò …
Sì, Lindoro mio sarà;
lo giurai, la vincerò.
Io sono docile, – son rispettosa,
sono obbediente, – dolce, amorosa;
mi lascio reggere, – mi fo guidar.
Ma se mi toccano – dov’è il mio debole,
sarà una vipera – e cento trappole
prima di cedere – farò giocar.
Sì, sì, la vincerò. Potessi almeno
mandargli questa lettera. Ma come?
Di nessun qui mi fido;
il tutore ha cent’occhi … basta, basta;
sigilliamola intanto.
Va allo scrittoio e suggella la lettera.
Con Figaro, il barbier, dalla finestra
discorrer l’ho veduto più d’un’ora;
Figaro è un galantuomo,
un giovin di buon core …
Chi sa ch’ei non protegga il nostro amore!
Scena decima
Figaro e detta.
FIGARO.
Oh buon dì, signorina!
ROSINA.
Buon giorno, signor Figaro.
FIGARO.
Ebbene, che si fa?
ROSINA.
Si muor di noia.
FIGARO.
Oh diavolo! Possibile!
Una ragazza bella e spiritosa …
ROSINA.
Ah, ah, mi fate ridere!
Che mi serve lo spirito,
che giova la bellezza,
se chiusa io sempre sto fra quattro mura,
che mi par d’esser proprio in sepoltura? …
FIGARO.
In sepoltura? … ohibò!
Chiamandola a parte.
Sentite io voglio …
ROSINA.
Ecco il tutor.
FIGARO.
Davvero?
ROSINA.
Certo, certo; è il suo passo …
FIGARO.
Salva, salva; fra poco
ci rivedrem: ho a dirvi qualche cosa.
ROSINA.
E ancor io, signor Figaro.
FIGARO.
Bravissima.
Vado.
Si nasconde, poi tratto tratto si fa vedere.
ROSINA.
Quanto è garbato!
Si ritira.
Scena undicesima
Bartolo, Rosina, indi Berta e Ambrogio.
BARTOLO.
Ah! disgraziato Figaro,
ah, indegno! ah, maledetto! ah, scellerato!
ROSINA.
(Ecco qua: sempre grida.)
BARTOLO.
Ma si può dar di peggio!
Uno spedale ha fatto
di tutta la famiglia
a forza d’oppio, sangue e stranutiglia.
Signorina, il barbiere
lo vedeste?
ROSINA.
Perché?
BARTOLO.
Perché lo vo‘ sapere.
ROSINA.
Forse anch’egli v’adombra?
BARTOLO.
E perché no?
ROSINA.
Ebben, ve lo dirò. Sì, l’ho veduto,
gli ho parlato, mi piace, m’è simpatico
il suo discorso, il suo gioviale aspetto …
(Crepa di rabbia vecchio maledetto.)
Parte.
BARTOLO.
Vedete che grazietta!
Più l’amo, e più mi sprezza la briccona.
Certo, certo è il barbiere
che la mette in malizia.
Chi sa cosa le ha detto!
Chi sa! Or lo saprò. Ehi, Berta, Ambrogio!
BERTA entrando e sternutendo.
Eccì …
Entra Ambrogio, sbadigliando.
AMBROGIO.
Ah! che comanda?
BARTOLO.
Dimmi.
BERTA.
Eccì …
BARTOLO.
Il barbiere parlato ha con Rosina?
BERTA.
Eccì …
BARTOLO.
Rispondi almen tu, babbuino!
AMBROGIO sbadigliando.
Ah, ah!
BARTOLO.
Che pazïenza!
AMBROGIO.
Ah, ah! che sonno!
BARTOLO.
Ebben!
BERTA.
Venne, ma io …
BARTOLO.
Rosina …
AMBROGIO.
Ah!
BERTA.
Eccì …
BARTOLO.
Che serve! Eccoli qua, son mezzo morti.
Andate.
AMBROGIO.
Ah!
BERTA.
Eccì …
BARTOLO.
Eh, il diavol che vi porti!
Berta e Ambrogio partono.
Scena dodicesima
Bartolo, indi don Basilio.
BARTOLO.
Ah! Barbiere d’inferno …
Tu me la pagherai … Qua, Don Basilio;
giungete a tempo! Oh! Io voglio,
per forza o per amor, dentro dimani
sposar la mia Rosina. Avete inteso?
BASILIO dopo molte riverenze.
Eh, voi dite benissimo
e appunto io qui veniva ad avvisarvi …
Chiamandolo a parte.
Ma segretezza! … È giunto
il Conte d’Almaviva.
BARTOLO.
Chi? L’incognito amante
della Rosina?
BASILIO.
Appunto quello.
BARTOLO.
Oh diavolo!
Ah, qui ci vuol rimedio!
BASILIO.
Certo; ma … alla sordina.
BARTOLO.
Sarebbe a dir? …
BASILIO.
Così, con buona grazia
bisogna principiare
a inventar qualche favola
che al pubblico lo metta in mala vista,
che comparir lo faccia
un uomo infame, un’anima perduta …
Io, io vi servirò: fra quattro giorni,
credete a me, Basilio ve lo giura,
noi lo farem sloggiar da queste mura.
BARTOLO.
E voi credete?
BASILIO.
Oh certo! È il mio sistema.
E non sbaglia.
BARTOLO.
E vorreste?
Ma una calunnia …
BASILIO.
Ah, dunque
la calunnia cos’è voi non sapete?
BARTOLO.
No, davvero.
BASILIO.
No? Uditemi e tacete.
La calunnia è un venticello,
un’auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente,
incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s’introduce destramente,
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo,
prende forza a poco a poco,
vola già di loco in loco;
sembra il tuono, la tempesta
che nel sen della foresta
va fischiando, brontolando
e ti fa d’orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia
e produce un’esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
un tumulto generale,
che fa l’aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
per gran sorte va a crepar.
Ah! che ne dite?
BARTOLO.
Eh! sarà ver, ma intanto
si perde tempo e qui stringe il bisogno.
No: vo‘ fare a mio modo:
in mia camera andiam. Voglio che insieme
il contratto di nozze ora stendiamo.
Quando sarà mia moglie,
da questi zerbinotti innamorati
metterla in salvo sarà pensier mio.
BASILIO.
(Vengan danari: al resto son qua io.)
Entrano nella prima camera a destra.
Scena tredicesima
Figaro uscendo con precauzione, indi Rosina.
FIGARO.
Ma bravi! ma benone!
Ho inteso tutto. Evviva il buon Dottore.
Povero babbuino!
Tua sposa? Eh via! Pulisciti il bocchino.
Or che stanno là chiusi
procuriam di parlare alla ragazza:
eccola appunto.
ROSINA entrando.
Ebbene, signor Figaro?
FIGARO.
Gran cose, signorina.
ROSINA.
Sì, davvero?
FIGARO.
Mangerem dei confetti.
ROSINA.
Come sarebbe a dir?
FIGARO.
Sarebbe a dire
che il vostro bel tutore ha stabilito
esser dentro doman vostro marito.
ROSINA.
Eh, via!
FIGARO.
Oh, ve lo giuro;
a stender il contratto
col maestro di musica
là dentro or s’è serrato.
ROSINA.
Sì? oh, l’ha sbagliata affè!
Povero sciocco! L’avrà a far con me.
Ma dite, signor Figaro,
voi poco fa sotto le mie finestre
parlavate a un signore …
FIGARO.
Ah, un mio cugino,
un bravo giovinotto; buona testa,
ottimo cuor; qui venne
i suoi studi a compire,
e il poverin cerca di far fortuna.
ROSINA.
Fortuna? eh, la farà.
FIGARO.
Oh, ne dubito assai: in confidenza
ha un gran difetto addosso.
ROSINA.
Un gran difetto? …
FIGARO.
Ah, grande:
è innamorato morto.
ROSINA.
Sì, davvero?
Quel giovane, vedete,
m’interessa moltissimo.
FIGARO.
Per bacco!
ROSINA.
Non mi credete?
FIGARO.
Oh sì!
ROSINA.
E la sua bella,
dite, abita lontano?
FIGARO.
Oh no! … cioè …
Qui! … due passi …
ROSINA.
Ma è bella? …
FIGARO.
Oh, bella assai!
Eccovi il suo ritratto in due parole:
grassotta, genialotta,
capello nero, guancia porporina,
occhio che parla, mano che innamora …
ROSINA.
E il nome? …
FIGARO.
Ah, il nome ancora?
Il nome … Ah, che bel nome! …
Si chiama …
ROSINA.
Ebben, si chiama? …
FIGARO.
Poverina! …
Si chiama r …o …ro …rosi …Rosina.
ROSINA.
Dunque io son … tu non m’inganni?
Dunque io son la fortunata! …
(Già me l’ero immaginata:
lo sapevo pria di te.)
FIGARO.
Di Lindoro il vago oggetto
siete voi, bella Rosina.
(Oh, che volpe sopraffina,
ma l’avrà da far con me.)
ROSINA.
Senti, senti … ma a Lindoro
per parlar come si fa?
FIGARO.
Zitto, zitto, qui Lindoro
per parlarvi or or sarà.
ROSINA.
Per parlarmi? … Bravo! bravo!
Venga pur, ma con prudenza;
io già moro d’impazienza!
Ma che tarda? … ma che fa?
FIGARO.
Egli attende qualche segno,
poverin, del vostro affetto;
sol due righe di biglietto
gli mandate, e qui verrà.
Che ne dite?
ROSINA.
Non vorrei …
FIGARO.
Su, coraggio.
ROSINA.
Non saprei …
FIGARO.
Sol due righe …
ROSINA.
Mi vergogno …
FIGARO.
Ma di che? di che? … si sa!
Andando allo scrittoio.
Presto, presto; qua un biglietto.
ROSINA.
Richiamandolo, cava dalla tasca il biglietto e glielo dà.
Un biglietto? … eccolo qua.
FIGARO attonito.
Già era scritto? Ve‘, che bestia!
Il maestro faccio a lei!
Ah, che in cattedra costei
di malizia può dettar.
Donne, donne, eterni Dei,
chi vi arriva a indovinar?
ROSINA.
Fortunati affetti miei!
Io comincio a respirar.
Ah, tu solo, amor, tu sei
che mi devi consolar!
Figaro parte.
Scena quattordicesima
Rosina, indi Bartolo.
ROSINA.
Ora mi sento meglio. Questo Figaro
è un bravo giovinotto.
BARTOLO entrando.
Insomma, colle buone,
potrei sapere dalla mia Rosina
che venne a far colui questa mattina?
ROSINA.
Figaro? Non so nulla.
BARTOLO.
Ti parlò?
ROSINA.
Mi parlò.
BARTOLO.
Che ti diceva?
ROSINA.
Oh! mi parlò di certe bagattelle …
Del figurin di Francia,
del mal della sua figlia Marcellina.
BARTOLO.
Davvero! … Ed io scommetto …
che portò la risposta al tuo biglietto.
ROSINA.
Qual biglietto?
BARTOLO.
Che serve,!
L’arietta dell’INUTIL PRECAUZIONE
che ti cadde staman giù dal balcone.
Vi fate rossa? (Avessi indovinato!)
Che vuol dir questo dito
così sporco d’inchiostro?
ROSINA.
Sporco? oh, nulla.
Io me l’avea scottato,
e coll’inchiostro or or l’ho medicato.
BARTOLO.
(Diavolo!) E questi fogli …
Or son cinque … eran sei.
ROSINA.
Que‘ fogli? … è vero.
D’uno mi son servita
a mandar dei confetti a Marcellina.
BARTOLO.
Bravissima! E la penna
perchè fu temperata?
ROSINA.
(Maledetto!) La penna! …
Per disegnare un fiore sul tamburo.
BARTOLO.
Un fiore!
ROSINA.
Un fiore.
BARTOLO.
Un fiore!
Ah! fraschetta!
ROSINA.
Davver.
BARTOLO.
Zitto!
ROSINA.
Credete.
BARTOLO.
Basta così.
ROSINA.
Signor …
BARTOLO.
Non più … tacete.
A un dottor della mia sorte
queste scuse, signorina!
Vi consiglio, mia carina,
un po‘ meglio a imposturar.
I confetti alla ragazza!
Il ricamo sul tamburo!
Vi scottaste: eh via! eh via!
Ci vuol altro, figlia mia,
per potermi corbellar.
Perchè manca là quel foglio?
Vo‘ saper cotesto imbroglio.
Sono inutili le smorfie;
ferma là, non mi toccate!
Figlia mia, non lo sperate
ch’io mi lasci infinocchiar.
Via, carina, confessate;
son disposto a perdonar.
Non parlate? Vi ostinate?
So ben io quel che ho da far.
Signorina, un’altra volta
quando Bartolo andrà fuori,
la consegna ai servitori
a suo modo far saprà.
Ah, non servono le smorfie,
faccia pur la gatta morta.
Cospetton! per quella porta
nemmen l’aria entrar potrà.
E Rosina innocentina,
sconsolata, disperata,
in sua camera serrata
fin ch’io voglio star dovrà.
Parte.
Scena quindicesima
Rosina, sola.
ROSINA.
Brontola quanto vuoi,
chiudi porte e finestre. Io me ne rido:
già di noi femmine alla più marmotta
per aguzzar l’ingegno
e far la spiritosa tutto a un tratto
basta chiuder la chiave e il colpo è fatto.
Parte.
Scena sedicesima
Berta, poi il Conte.
BERTA entrando.
Finora in questa camera
mi parve di sentir un mormorio;
sarà stato il tutor; colla pupilla
non ha un’ora di ben … Queste ragazze
non la voglion capir.
Si batte alla porta.
Battono.
CONTE di dentro.
Aprite.
BERTA.
Vengo … Eccì … Ancora dura;
quel tabacco m’ha posta in sepoltura.
Corre ad aprire.
Scena diciassettesima
Il Conte travestito da soldato di cavalleria, indi Bartolo.
CONTE.
Ehi, di casa! … buona gente! …
Ehi, di casa! … niun mi sente!
BARTOLO entrando.
Chi è costui? … che brutta faccia!
È ubbriaco! chi sarà?
CONTE.
Ehi, di casa? … maledetti! …
BARTOLO.
Cosa vuol, signor soldato? …
CONTE.
Ah! … sì, … sì, … bene obbligato.
Vedendolo, cerca in tasca.
BARTOLO.
(Qui costui che mai vorrà?)
CONTE.
Siete voi … Aspetta un poco …
Siete voi … dottor balordo?
BARTOLO.
Che balordo? …
CONTE leggendo.
Ah, ah, Bertoldo?
BARTOLO.
Che Bertoldo? Eh, andate al diavolo!
Dottor Bartolo.
CONTE.
Ah, bravissimo;
dottor barbaro; benissimo;
già v’è poca differenza.
(Non si vede! che impazienza!
Quanto tarda! dove sta?)
BARTOLO.
(Io già perdo la pazienza,
qui prudenza ci vorrà.)
CONTE.
Dunque voi … siete dottore?
BARTOLO.
Son dottore … sì, signore.
CONTE.
Ah, benissimo; un abbraccio,
qua, collega.
BARTOLO.
Indietro!
CONTE lo abbraccia per forza.
Qua.
Sono anch’io dottor per cento,
maniscalco al reggimento.
Presentando il biglietto.
Dell’alloggio sul biglietto
osservate, eccolo qua.
BARTOLO.
Dalla rabbia e dal dispetto
io già crepo in verità.
Ah, ch’io fo, se mi ci metto,
qualche gran bestialità!
Legge il biglietto.
CONTE.
(Ah, venisse il caro oggetto
della mia felicità!
Vieni, vieni; il tuo diletto
pien d’amor t’attende qua.)
Scena diciottesima
Rosina e detti.
ROSINA.
D’ascoltar qua m’è sembrato
un insolito rumore …
Si arresta vedendo Bartolo.
Un soldato ed il tutore!
Cosa mai faranno qua?
Si avanza pian piano.
CONTE.
(È Rosina; or son contento.)
ROSINA.
(Ei mi guarda, e s’avvicina.)
CONTE piano a Rosina.
(Son Lindoro.)
ROSINA.
(Oh ciel! che sento!
Ah, giudizio, per pietà!)
BARTOLO vedendo Rosina.
Signorina, che cercate?
Presto, presto, andate via.
ROSINA.
Vado, vado, non gridate.
BARTOLO.
Presto, presto, via di qua …
CONTE.
Ehi, ragazza, vengo anch’io.
BARTOLO.
Dove, dove, signor mio?
CONTE.
In caserma, oh, questa è bella!
BARTOLO.
In caserma? … bagattella!
CONTE.
Cara! …
ROSINA.
Aiuto!
BARTOLO.
Olà, cospetto!
CONTE a Bartolo incamminandosi verso le camere.
Dunque vado …
BARTOLO trattenendolo.
Oh, no, signore,
qui d’alloggio non può star.
CONTE.
Come? Come?
BARTOLO.
Eh, non v’è replica:
ho il brevetto d’esenzione.
CONTE adirato.
Il brevetto? …
BARTOLO.
Mio padrone,
un momento e il mostrerò.
Va allo scrittoio.
CONTE a Rosina.
(Ah, se qui restar non posso,
deh, prendete …)
ROSINA.
(Ohimè, ci guarda!)
CONTE E ROSINA.
(Cento smanie io sento addosso.
Ah, più reggere non so.)
BARTOLO cercando nello scrittoio.
Ah, trovarlo ancora non posso;
ma sì, sì, lo troverò.)
Venendo avanti con una pergamena.
Ecco qui.
Legge.
Con la presente
Il Dottor Bartolo, etcetera.
Esentiamo …
CONTE con un rovescio di mano manda in aria la pergamena.
Eh, andate al diavolo!
Non mi state più a seccar.
BARTOLO.
Cosa fa, signor mio caro?
CONTE.
Zito là, Dottor somaro.
Il mio alloggio è qui fissato,
e in alloggio qui vo‘ star.
BARTOLO.
Vuol restar?
CONTE.
Restar, sicuro.
BARTOLO prendendo un bastone.
Oh, son stufo, mio padrone;
presto fuori, o un buon bastone
lo farà di qua sloggiar.
CONTE serio.
Dunque lei … lei vuol battaglia?
Ben! Battaglia le vo‘ dar.
Bella cosa una battaglia!
Ve la voglio qui mostrar.
Avvicinandosi amichevolmente a Bartolo.
Osservate! … questo è il fosso …
L’inimico voi sarete …
Gli dà una spinta.
Attenzion … (giù il fazzoletto.)
Piano a Rosina alla quale si avvicina porgendole la lettera.
E gli amici stan di qua.
Attenzione!
Coglie il momento in cui Bartolo l’osserva meno attentamente. Lascia cadere il biglietto e Rosina vi fa cadere sopra il fazzoletto.
BARTOLO.
Ferma, ferma! …
CONTE.
Rivolgendosi e fingendo accorgersi della lettera che raccoglie.
Che cos’è? … ah! …
BARTOLO avvedendosene.
Vo‘ vedere.
CONTE.
Sì, se fosse una ricetta!
Ma un biglietto … è mio dovere …
Mi dovete perdonar.
Fa una riverenza a Rosina e le dà il biglietto e il fazzoletto.
ROSINA.
Grazie, grazie!
BARTOLO.
Grazie un corno!
Qua quel foglio; impertinente!
A Rosina.
A chi dico? Presto qua.
ROSINA.
Ma quel foglio che chiedete,
per azzardato m’è cascato;
è la lista del bucato.
Entrano da una parte Basilio con carte in mano, dall’altra Berta.
BARTOLO.
Ah, fraschetta! Presto qua.
Le strappa il foglio con violenza.
Ah, che vedo! ho preso abbaglio! …
È la lista, son di stucco!
Ah, son proprio un mammalucco!
Ah, che gran bestialità!
ROSINA E CONTE.
(Bravo, bravo il mammalucco
che nel sacco entrato è già.)
BERTA.
(Non capisco, son di stucco;
qualche imbroglio qui ci sta.)
ROSINA piangendo.
Ecco qua! … sempre un’istoria;
sempre oppressa e maltrattata;
ah, che vita disperata!
Non la so più sopportar.
BARTOLO avvicinandosele.
Ah, Rosina … poverina …
CONTE minacciando e afferrandolo per un braccio.
Vien qua tu, cosa le hai fatto?
BARTOLO.
Ah, fermate … niente affatto …
CONTE cavando la sciabola.
Ah, canaglia, traditore!
TUTTI trattenendolo.
Via, fermatevi, signore.
CONTE.
Io ti voglio subissar!
TUTTI eccetto il Conte e Rosina.
Gente! Aiuto, soccorrete mi!
Gente! Aiuto, soccorrete lo!
ROSINA.
Ma chetatevi …
CONTE.
Lasciatemi!
TUTTI come sopra.
Gente! aiuto, per pietà!
Scena diciannovesima
Figaro entrando col bacile sotto il braccio, e detti.
FIGARO.
Alto là!
Che cosa accadde,
signori miei?
Che chiasso è questo?
Eterni Dei!
Già sulla piazza
a questo strepito
s’è radunata
mezza città.
Piano al Conte.
(Signor, giudizio,
per carità.)
BARTOLO additando il Conte.
Quest’è un birbante …
CONTE additando Bartolo.
Quest’è un briccone …
BARTOLO.
Ah, disgraziato! …
CONTE minacciando colla sciabola.
Ah, maledetto! …
FIGARO alzando il bacile e minacciando il Conte.
Signor soldato,
porti rispetto,
o questo fusto,
corpo del diavolo,
or la creanza
le insegnerà.
(Signor, giudizio,
per carità.)
CONTE a Bartolo.
Brutto scimmiotto! …
BARTOLO al Conte.
Birbo malnato!
TUTTI a Bartolo.
Zitto, dottore …
CONTE.
Voglio gridare …
TUTTI al Conte.
Fermo, signore …
CONTE.
Voglio ammazzare …
TUTTI.
Fate silenzio,
per carità.
CONTE.
No, voglio ucciderlo,
non v’è pietà.
Si ode bussare con violenza alla porta di strada.
TUTTI.
Zitti, che battono …
Chi mai sarà?
BARTOLO.
Chi è?
CORO di dentro.
La forza,
aprite qua.
TUTTI.
La forza! Oh diavolo!
FIGARO E BASILIO.
L’avete fatta!
CONTE E BARTOLO.
Niente paura.
Venga pur qua.
TUTTI.
Quest’avventura,
ah, come diavolo
mai finirà!
Scena ventesima
Un ufficiale con soldati, e detti.
CORO.
Fermi tutti. Niun si mova.
Miei signori, che si fa?
Questo chiasso d’onde è nato?
La cagione presto qua.
BARTOLO.
Questa bestia di soldato,
mio signor, m’ha maltrattato.
FIGARO.
Io qua venni, mio signore,
questo chiasso ad acquetare.
BERTA E BASILIO.
Fa un inferno di rumore,
parla sempre d’ammazzare.
CONTE.
In alloggio quel briccone
non mi volle qui accettare.
ROSINA.
Perdonate, poverino,
tutto effetto fu del vino.
UFFICIALE.
Ho inteso.
Al Conte.
Galantuom, siete in arresto.
Fuori presto,
Via di qua.
I soldati si muovono per circondare il Conte.
CONTE.
Io in arresto?
… Fermi, olà.
Con gesto autorevole trattiene i Soldati, che si arrestano. Egli chiama a sè l’Ufficiale, gli dà a leggere un foglio: l’Ufficiale resta sorpreso, vuol fargli un inchino, e il Conte lo trattiene. L’Ufficiale fa cenno ai soldati che si ritirano indietro, e anch’egli fa lo stesso. Quadro di stupore.
BARTOLO, ROSINA, BASILIO E BERTA.
Freddo / Fredda ed immobile
come una statua
fiato non restami
da respirar.
CONTE.
Freddo ed immobile
come una statua,
fiato non restagli
da respirar.
FIGARO ridendo.
Guarda Don Bartolo!
Sembra una statua!
Ah! ah! dal ridere
sto per crepar!
BARTOLO all’Ufficiale.
Ma, signor …
CORO.
Zitto tu!
BARTOLO.
Ma un dottor …
CORO.
Oh non più!
BARTOLO.
Ma se lei? …
CORO.
Non parlar …
BARTOLO.
Ma vorrei …
CORO.
Non gridar.
FIGARO, BARTOLO E IL CORO.
Ma se noi …
CORO.
Zitti voi.
FIGARO, BARTOLO E IL CORO.
Ma se poi …
CORO.
Pensiam noi.
Vada ognun pe‘ fatti suoi,
si finisca d’altercar.
BARTOLO.
Ma sentite …
FIGARO, BARTOLO E IL CORO.
Zitto su!
Zitto giù!
BARTOLO.
Ma ascoltate …
FIGARO, BARTOLO E IL CORO.
Zitto qua!
Zitto là!
TUTTI.
Mi par d’essere con la testa
in un’orrida fucina,
dove cresce e mai non resta
delle incudini sonore
l’importuno strepitar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello
fa con barbara armonia
muri e vôlte rimbombar.
E il cervello, poverello,
già stordito, sbalordito,
non ragiona, si confonde,
si riduce ad impazzar.
Fine dell’atto primo
Atto secondo
Scena prima
Camera ad uso di studio in casa di Bartolo con sedia ed un pianoforte con varie carte di musica.
Bartolo, solo.
BARTOLO.
Ma vedi il mio destino! Quel soldato,
per quanto abbia cercato,
niun lo conosce in tutto il reggimento.
Io dubito … eh, cospetto!
Che dubitar? Scommetto
che dal conte Almaviva
è stata qui spedito quel signore
ad esplorar della Rosina il core.
Nemmen in casa propria
sicuri si può star! Ma io …
Battono.
Chi batte?
Ehi, chi è di là … Battono, non sentite!
In casa io son; non v’è timore, aprite.
Scena seconda
Il Conte vestito da maestro di musica, e detto.
CONTE.
Pace e gioia sia con voi.
BARTOLO.
Mille grazie, non s’incomodi.
CONTE.
Gioia e pace per mill’anni.
BARTOLO.
Obbligato in verità.
(Questo volto non m’è ignoto,
non ravviso … non ricordo …
ma quel volto … ma quell’abito …
non capisco … chi sarà?)
CONTE.
(Ah, se un colpo è andato a vuote
a gabbar questo balordo,
un novel travestimento
più propizio a me sarà.)
Gioia e pace, pace e gioia!
BARTOLO.
Ho capito. (Oh! ciel! che noia!)
CONTE.
Gioia e pace, ben di core.
BARTOLO.
Basta, basta, per pietà.
(Ma che perfido destino!
Ma che barbara giornata!
Tutti quanti a me davanti!
Che crudel fatalità!)
CONTE.
(Il vecchion non mi conosce:
oh, mia sorte fortunata!
Ah, mio ben! Fra pochi istanti
parlerem con libertà.)
BARTOLO.
Insomma, mio signore,
chi è lei si può sapere? …
CONTE.
Don Alonso,
professore di musica ed allievo
di Don Basilio.
BARTOLO.
Ebbene?
CONTE.
Don Basilio
sta male, il poverino, ed in sua vece …
BARTOLO in atto di partire.
Sta mal? … Corro a vederlo …
CONTE trattenendolo.
Piano, piano.
Non è mal così grave.
BARTOLO.
(Di costui non mi fido.) Andiam, andiamo.
Risoluto.
CONTE.
Ma signore …
BARTOLO brusco.
Che c’è?
CONTE tirandolo a parte.
Voleva dirvi …
BARTOLO.
Parlate forte.
CONTE sottovoce.
Ma …
BARTOLO sdegnato.
Forte, vi dico.
CONTE sdegnato anch’esso e alzando la voce.
Ebbene, come volete,
ma chi sia Don Alonso apprenderete.
In atto dì partire.
Vo dal conte Almaviva …
BARTOLO trattenendolo con dolcezza.
Piano, piano.
Dite, dite, v’ascolto.
CONTE a voce alta e sdegnata.
Il conte …
BARTOLO.
Piano,
per carità.
CONTE calmandosi.
Stamane
nella stessa locanda
era meco d’alloggio, ed in mie mani
per caso capitò questo biglietto
Mostrando un biglietto.
dalla vostra pupilla a lui diretto.
BARTOLO prendendo il biglietto e guardandolo.
Che vedo! … è sua scrittura!
BARTOLO.
Don Basilio
nulla sa di quel foglio: ed io, per lui
venendo a dar lezione alla ragazza,
volea farmene un merito con voi …
perché … con quel biglietto …
Mendicando un ripiego con qualche imbarazzo.
si potrebbe …
BARTOLO.
Che cosa? …
CONTE.
Vi dirò …
s’io potessi parlare alla ragazza,
io creder … verbigrazia … le farei
che me lo die‘ del Conte un’altra amante,
prova significante
che il Conte di Rosina si fa gioco.
E perciò …
BARTOLO.
Piano un poco.
Una calunnia! … Oh bravo!
Degno e vero scolar di Don Basilio!
Lo abbraccia, e mette in tasca il biglietto.
Io saprò come merita
ricompensar sì bel suggerimento.
Vo a chiamar la ragazza;
poiché tanto per me v’interessate,
mi raccomando a voi.
CONTE.
Non dubitate.
Bartolo entra nella camera di Rosina.
L’affare del biglietto
dalla bocca m’è uscito non volendo.
Ma come far? Senza d’un tal ripiego
mi toccava andar via come un baggiano.
Il mio disegno a lei
ora paleserò; s’ella acconsente,
io son felice appieno.
Eccola. Ah, il cor sento balzarmi in seno.
Scena terza
Bartolo conducendo Rosina, e detto.
BARTOLO.
Venite, signorina. Don Alonso,
che qui vedete, or vi darà lezione.
ROSINA vedendo il Conte.
Ah! …
BARTOLO.
Cos’è stato?
ROSINA.
È un granchio al piede.
CONTE.
Oh nulla:
sedete a me vicin, bella fanciulla.
Se non vi spiace, un poco di lezione,
di Don Basilio invece, vi darò.
ROSINA.
Oh, con mio gran piacer la prenderò.
CONTE.
Che volete cantare?
ROSINA.
Io canto, se le aggrada,
il rondò dell’INUTIL PRECAUZIONE.
BARTOLO.
E sempre, sempre in bocca
l’INUTIL PRECAUZIONE!
ROSINA.
Io ve l’ho detto:
è il titolo dell’opera novella.
BARTOLO.
Or bene, intesi; andiamo.
ROSINA.
Eccolo qua.
CONTE.
Da brava, incominciamo.
Il Conte siede al pianoforte e Rosina canta accompagnata dal Conte; Bartolo siede ed ascolta.
ROSINA.
Contro un cor che accende amore
di verace invitto ardore,
s’arma invan poter tiranno
di rigor, di crudeltà.
D’ogni assalto vincitore
sempre amor trïonferà.
Ah Lindoro, mio tesoro,
se sapessi, se vedessi!
Questo cane di tutore,
ah, che rabbia che mi fa!
Caro, a te mi raccomando,
tu mi salva, per pietà.
CONTE.
Non temer, ti rassicura;
sorte amica a noi sarà.
ROSINA.
Dunque spero?
CONTE.
A me t’affida.
ROSINA.
E il mio cor?
CONTE.
Giubilerà.
ROSINA.
Cara immagine ridente,
dolce idea d’un lieto amore,
tu m’accendi in petto il core,
tu mi porti a delirar.
CONTE.
Bella voce! Bravissima!
ROSINA.
Oh! mille grazie!
BARTOLO.
Certo, bella voce,
ma quest’aria, cospetto! è assai noiosa;
la musica a‘ miei tempi era altra cosa.
Ah! quando per esempio
cantava Caffariello
quell’aria portentosa la, ra, la …
sentite, Don Alonso: eccola qua.
Quando mi sei vicina,
amabile Rosina..
l’aria dicea Giannina,
ma io dico Rosina …
Entra Figaro col bacile sotto il braccio, e si pone dietro Bartolo imitando il canto con caricatura.
Il cor mi brilla in petto,
mi balla il minuetto …
Scena quarta
Figaro e detti.
BARTOLO avvedendosi di Figaro.
Bravo, signor barbiere,
ma bravo!
FIGARO.
Eh, niente affatto:
scusi, son debolezze.
BARTOLO.
Ebben, guidone,
che vieni a fare?
FIGARO.
Oh bella!
Vengo a farvi la barba: oggi vi tocca.
BARTOLO.
Oggi non voglio.
FIGARO.
Oggi non vuol? … Domani
non potrò io.
BARTOLO.
Perché?
FIGARO Lascia tul tavolo il bacile e cava un libro di memorie.
Perché ho da fare
a tutti gli Ufficiali
del nuovo reggimento barba e testa …
alla marchesa Andronica
il biondo parrucchin coi maroné …
al contino Bombé
il ciuffo a campanile …
purgante all’avvocato Bernardone
che ieri s’ammalò d’indigestione …
e poi … e poi … che serve?
Riponendosi in tasca il libro.
Doman non posso.
BARTOLO.
Orsù, meno parole.
Oggi non vo‘ far barba.
FIGARO.
No? Cospetto!
Guardate che avventori!
Vengo stamane: in casa v’è l’inferno …
ritorno dopo pranzo: oggi non voglio …
Contraffacendolo.
Ma che? M’avete preso
per un qualche barbier da contadini?
Chiamate pur un altro, io me ne vado.
Riprende il bacile in atto di partire.
BARTOLO.
(Che serve? … a modo suo;
vedi che fantasia!)
Va in camera a pigliar la biancheria.
Si cava dalla cintola un mazzo di chiavi per darle a Figaro, indi le ritira.
No, vado io stesso.
Entra.
FIGARO.
(Ah, se mi dava in mano
il mazzo delle chiavi, ero a cavallo.)
A Rosina.
Dite: non è fra quelle
la chiave che apre quella gelosia?
ROSINA.
Sì, certo; è la più nuova.
BARTOLO rientrando.
(Ah, son pur buono
a lasciar qua quel diavolo di barbiere!)
Animo, va tu stesso.
Dando le chiavi a Figaro.
Passato il corridor, sopra l’armadio
il tutto troverai.
Bada, non toccar nulla …
FIGARO.
Eh, non son matto.
(Allegri!) Vado e torno. (Il colpo è fatto.)
Entra.
BARTOLO al Conte.
È quel briccon, che al Conte
ha portato il biglietto di Rosina.
CONTE.
Mi sembra un imbroglion di prima sfera.
BARTOLO.
Eh, a me non me la ficca …
Si sente di dentro un gran rumore come di vasellame che si spezza.
Ah, disgraziato me!
ROSINA.
Ah, che rumore!
BARTOLO.
Oh, che briccon! Me lo diceva il core.
Entra.
CONTE a Rosina.
Quel Figaro è un grand’uomo; or che siam soli,
ditemi, o cara: il vostro al mio destino
d’unir siete contenta?
Franchezza! …
ROSINA con entusiasmo.
Ah, mio Lindoro,
altro io non bramo …
Si ricompone vedendo rientrar Bartolo e Figaro.
CONTE.
Ebben?
BARTOLO.
Tutto mi ha rotto;
sei piatti, otto bicchieri, una terrina.
FIGARO mostrando di soppiatto al Conte la chiave della gelosia che avrà rubata dal mazzo.
Vedete che gran cosa! Ad una chiave
se io non mi attaccava per fortuna,
per quel maledettissimo
corridor così oscuro,
spezzato mi sarei la testa al muro.
Tiene ogni stanza al buio, e poi … e poi …
BARTOLO.
Oh, non più.
FIGARO.
Dunque andiam.
Al Conte e Rosina.
(Giudizio.)
BARTOLO.
A noi.
Si dispone per sedere e farsi radere. In quella entra Basilio.
Scena quinta
Don Basilio e detti.
ROSINA.
Don Basilio!
CONTE.
(Cosa veggo!)
FIGARO.
(Quale intoppo!)
BARTOLO.
Come qua?
BASILIO.
Servitor di tutti quanti.
BARTOLO.
(Che vuol dir tal novità?)
CONTE E FIGARO.
(Qui franchezza ci vorrà.)
ROSINA.
(Ah, di noi che mai sarà?)
BARTOLO.
Don Basilio, come state?
BASILIO stupito.
Come sto?
FIGARO interrompendo.
Or che s’aspetta?
Questa barba benedetta
la facciamo sì o no?
BARTOLO a Figaro.
Ora vengo!
A Basilio.
E … il Curiale?
BASILIO stupito.
Il Curiale? …
CONTE interrompendo, a Basilio.
Io gli ho narrato
che già tutto è combinato.
Non è ver? …
BARTOLO.
Sì, tutto io so.
BASILIO.
Ma, Don Bartolo, spiegatevi …
CONTE c.s., a Bartolo.
Ehi, Dottore, una parola.
A Basilio.
Don Basilio, son da voi.
A Bartolo.
Ascoltate un poco qua.
(Fate un po‘ ch’ei vada via,
ch’ei ci scopra ho gran timore:
della lettera, signore,
ei l’affare ancor non sa.)
BARTOLO.
(Dite bene, mio signore;
or lo mando via di qua.)
ROSINA.
(Io mi sento il cor tremar!)
FIGARO.
(Non vi state a disperar.)
BASILIO.
(Ah, qui certo v’è un pasticcio;
non l’arrivo a indovinar.)
CONTE a Basilio.
Colla febbre, Don Basilio,
chi v’insegna a passeggiar? …
Figaro ascoltando con attenzione si prepara a secondare il Conte.
BASILIO stupito.
Colla febbre?
CONTE.
E che vi pare?
Siete giallo come un morto.
BASILIO.
Come un morto?
FIGARO tastando il polso a Basilio.
Bagattella!
Cospetton! Che tremarella!
Questa è febbre scarlattina! …
CONTE dà a Basilio una borsa di soppiatto.
Via, prendete medicina,
non vi state a rovinar.
FIGARO.
Presto, presto, andate a letto …
CONTE.
Voi paura inver mi fate …
ROSINA.
Dice bene, andate, andate …
TUTTI.
Presto, andate a riposar.
BASILIO c.s.
(Una borsa! … Andate a letto! …
Ma che tutti sian d’accordo!)
TUTTI.
Presto a letto.
BASILIO.
Eh, non son sordo.
Non mi faccio più pregar.
FIGARO.
Che coler! …
CONTE.
Che brutta cera! …
BASILIO.
Brutta cera! …
CONTE, FIGARO E BARTOLO.
Oh, brutta assai! …
BASILIO.
Dunque vado …
TUTTI.
Vada, vada!
Buona sera, mia signore,
presto, andate via di qua.
(Maledetto seccatore!)
Pace, sonno e sanità.
BASILIO.
Buona sera … ben di core …
poi diman si parlerà.
Non gridate, ho inteso già.
Parte.
Scena sesta
Rosina, Conte, Figaro e Bartolo.
FIGARO.
Orsù, signor Don Bartolo …
BARTOLO.
Son qua.
Bartolo siede, Figaro gli cinge al collo un asciugatoio di sponendosi a fargli la barba; durante l’operazione Figaro va coprendo i due amanti.
Stringi, bravissimo.
CONTE.
Rosina, deh, ascoltatemi.
ROSINA.
Vi ascolto; eccomi qua.
Siedono fingendo studiar musica.
CONTE a Rosina, con cautela.
A mezzanotte in punto
a prendervi qui siamo:
or che la chiave abbiamo
non v’è da dubitar.
FIGARO distraendo Bartolo.
Ahi! … ahi! …
BARTOLO.
Che cos’è stato? …
FIGARO.
Un non so che nell’occhio!
Guardate … non toccate …
soffiate per pietà.
ROSINA.
A mezzanotte in punto,
anima mia, t’aspetto.
Io già l’istante affretto
che a te mi stringerà.
CONTE.
Ora avvertir vi voglio,
Bartolo si alza e si avvicina agli amanti.
cara, che il vostro foglio,
perché non fosse inutile
il mio travestimento …
BARTOLO scattando.
Il suo travestimento?
Ah, ah! brava, bravissimo!
Ma bravi in verità!
Bricconi, birbanti!
Ah, voi tutti quanti
avete giurato
di farmi crepar!
Su, fuori, furfanti,
vi voglio accoppar.
Di rabbia, di sdegno
mi sento crepar.
ROSINA, CONTE E FIGARO.
L’amico delira,
la testa gli gira.
Ma zitto, Dottore,
vi fate burlar.
Tacete, tacete,
non serve gridar.
(Intesi già siamo,
non vo‘ replicar.)
Partono, meno Bartolo.
Scena settima
Bartolo solo, poi Ambrogio, indi Berta.
BARTOLO.
Ah! disgraziato me! ma come! ed io
non mi accorsi di nulla! Ah! Don Basilio
sa certo qualche cosa. Ehi! chi è di là?
Chi è di là?
Comparisce Ambrogio.
Senti, Ambrogio:
corri da Don Basilio qui rimpetto,
digli ch’io qua l’aspetto,
che venga immantinente
che ho gran cose da dirgli e ch’io non vado
perché … perché … perché ho di gran ragioni.
Va sùbito.
Ambrogio parte ed entra Berta.
A Berta.
Di guardia
tu piantati alla porta, e poi … no, no …
non me ne fido. Io stesso ci starò.
Parte.
Scena ottava
Berta, sola.
BERTA.
Che vecchio sospettoso! Vada pure
e ci stia finché crepa …
Sempre gridi e tumulti in questa casa;
si litiga, si piange, si minaccia …
Non v’è un’ora di pace
con questo vecchio avaro, brontolone!
Oh, che casa! Oh, che casa in confusione!
Il vecchiotto cerca moglie,
vuol marito la ragazza;
quello freme, questa è pazza.
Tutti e due son da legar.
Ma che cosa è questo amore
che fa tutti delirar?
Egli è un male universale,
una smania, un pizzicore …
un solletico, un tormento …
Poverina, anch’io lo sento,
nè so come finirà.
Oh! vecchiaia maledetta …
Son da tutti disprezzata …
E vecchietta disperata,
mi convien così crepar.
Parte.
Scena nona
Comera con griglia come nel primo atto.
Bartolo e Don Basilio.
BARTOLO introducendo Don Basilio.
Dunque voi Don Alonso
non conoscete affatto?
BASILIO.
Affatto.
BARTOLO.
Ah, certo
il Conte lo mandò.
Qualche gran tradimento
qui si prepara.
BASILIO.
Io poi
dico che quell’amico
era il Conte in persona.
BARTOLO.
Il Conte? …
BASILIO.
Il Conte.
(La borsa parla chiaro.)
BARTOLO.
Sia chi si vuole … amico, dal notaro
vo‘ in questo punto andare; in questa sera
stipular di mie nozze io vo‘ il contratto.
BASILIO.
Il notar? … siete matto?
Piove a torrenti, e poi
questa sera il notaro
è impegnato con Figaro; il barbiere
marita sua nipote.
BARTOLO.
Una nipote?
Che nipote … Il barbiere
non ha nipoti. Ah, qui v’è qualche imbroglio.
Questa notte i briconni
me la voglion far; presto, il notaro
qua venga sull’istante.
Gli dà una chiave.
Ecco la chiave del portone: andate,
presto, per carità.
BASILIO.
Non temete; in due salti io torno qua.
Parte.
Scena decima
Bartolo, indi Rosina.
BARTOLO.
Per forza o per amore
Rosina avrà da cedere. Cospetto!
Mi viene un’altra idea. Questo biglietto
Cava dalla tasca il biglietto datogli dal Conte.
che scrisse la ragazza ad Almaviva
potria servir … che colpo da maestro!
Don Alonso, il briccone,
senza volerlo mi die‘ l’armi in mano.
Ehi, Rosina, Rosina, avanti, avanti;
Rosina dalle sue camere entra senza parlare.
del vostro amante io vi vo‘ dar novella.
Povera sciagurata! In verità
collocaste assai bene il vostro affetto!
Del vostro amor sappiate
ch’ei si fa gioco in sen d’un’altra amante.
Ecco la prova.
Le dà il biglietto.
ROSINA con doloroso stupore.
(Oh cielo! il mio biglietto!)
BARTOLO.
Don Alonso e il barbiere
congiuran contro voi; non vi fidate.
Nelle braccia del Conte d’Almaviva
vi voglion condurre.
ROSINA.
(In braccio a un altro!
Che mai sento … ah, Lindoro! … ah, traditore!
Ah sì! … vendetta e vegga,
vegga quell’empio chi è Rosina.) Dite …
signore, di sposarmi
voi bramavate …
BARTOLO.
E il voglio.
ROSINA.
Ebben, si faccia!
Io … son contenta! … ma all’istante. Udite:
a mezzanotte qui sarà l’indegno
con Figaro il barbier; con lui fuggire
per sposarlo io voleva …
BARTOLO.
Ah, scellerati!
Corro a sbarrar la porta.
ROSINA.
Ah, mio signore!
Entran per la finestra. Hanno la chiave.
BARTOLO.
Non mi muovo di qui.
Ma … e se fossero armati? … Figlia mia,
poichè tu sei sì bene illuminata,
facciam così. Chiuditi a chiave in camera,
io vo a chiamar la forza;
dirò che son due ladri, e come tali,
corpo di Bacco! l’avrem da vedere!
Figlia, chiuditi presto; io vado via.
Parte.
ROSINA.
Quanto, quanto è crudel la sorte mia!
Parte.
Scoppia un temporale. Dalla finestra di prospetto si vedono frequenti lampi, e si sente il rumore del tuono. Sulla fine del temporale si vede dal di fuori aprirsi la gelosia ed entrano uno dopo l’altro Figaro ed il Conte avvolti in mantelli e bagnati dalla pioggia. Figaro avrà in mano una lanterna accesa.
Scena undicesima
Il Conte e Figaro, indi Rosina.
FIGARO.
Alfin, eccoci qua.
CONTE.
Figaro, dammi man. Poter del mondo!
Che tempo indiavolato!
FIGARO.
Tempo da innamorati.
CONTE.
Ehi, fammi lume.
Figaro accende i lumi.
Dove sarà Rosina?
FIGARO spiando.
Ora vedremo …
Eccola appunto.
CONTE con trasporto.
Ah, mio tesoro!
ROSINA respingendolo.
Indietro,
anima scellerata; io qui di mia
stolta credulità venni soltanto
a riparar lo scorno, a dimostrarti
qual sono, e quale amante
perdesti, anima indegna e sconoscente.
CONTE sorpreso.
Io son di sasso.
FIGARO sorpreso.
Io non capisco niente.
CONTE.
Ma per pietà …
ROSINA.
Taci. Fingesti amore
per vendermi alle voglie
di quel tuo vil Conte Almaviva …
CONTE con gioia.
Al Conte?
Ah, sei delusa! … oh, me felice … adunque
tu di verace amore
ami Lindor,.. rispondi …
ROSINA.
Ah, sì! t’amai purtroppo!
CONTE.
Ah, non è tempo
di più celarsi, anima mia; ravvisa
S’inginocchia gettando il mantello che viene raccolto da Figaro.
colui che sì gran tempo
seguì tue tracce, che per te sospira,
che sua ti vuole; mira, o mio tesoro,
Almaviva son io, non son Lindoro.
ROSINA stupefatta, con gioia.
(Ah! qual colpo inaspettato!
Egli stesso? o Ciel, che sento!
Di sorpresa e di contento
son vicina a delirar.)
FIGARO.
(Son rimasti senza fiato:
ora muoion di contento.
Guarda, guarda il mio talento
che bel colpo seppe far!)
CONTE.
(Qual trionfo inaspettato!
Me felice! oh bel momento!
Ah! d’amore e di contento
son vicino a delirar.)
ROSINA.
Mio signor! … ma voi … ma io …
CONTE.
Ah, non più, non più, ben mio.
Il bel nome di mia sposa,
idol mio, t’attende già.
ROSINA.
Il bel nome di tua sposa,
oh, qual gioia al cor mi dà!
CONTE.
Sei contenta!
ROSINA.
Ah! mio signore!
ROSINA E CONTE.
Dolce nodo avventurato
che fai paghi i miei desiri!
Alla fin de‘ miei martiri
tu sentisti, amor, pietà.
FIGARO.
Presto andiamo, vi sbrigate;
via, lasciate quei sospiri.
Se si tarda, i miei raggiri
fanno fiasco in verità.
Guardando fuori del balcone.
Ah! cospetto! che ho veduto!
Alla porta una lanterna …
due persone! … che si fa?
CONTE.
Hai veduto due persone?
FIGARO.
Sì, signore.
ROSINA, CONTE E FIGARO.
Che si fa?
Zitti, zitti, piano, piano,
non facciamo confusione;
per la scala del balcone
presto andiamo via di qua.
FIGARO con angoscia.
Ah, disgraziati noi! come si fa?
CONTE.
Che avvenne mai? …
FIGARO.
La scala …
CONTE.
Ebben?
FIGARO.
La scala non v’è più.
CONTE sorpreso.
Che dici?
FIGARO.
Chi mai l’avrà levata? …
CONTE.
Quale inciampo crudel! …
ROSINA con dolore.
Me sventurata!
FIGARO.
Zi … zitti … sento gente. Ora ci siamo.
Signor mio, che si fa?
CONTE.
Mia Rosina, coraggio.
Si avvolge nel mantello.
FIGARO.
Eccoli qua.
Si ritirano verso una delle quinte.
Scena dodicesima
Don Basilio con lanterna in mano, introducendo un Notaio con carte.
BASILIO chiamando alla quinta opposta.
Don Bartolo! Don Bartolo! …
FIGARO accennando al Conte.
Don Basilio.
CONTE.
E quell’altro?
FIGARO.
Ve‘, ve‘, il nostro notaro. Allegramente.
Lasciate fare a me. Signor Notaro:
Basilio e il Notaro si rivolgono e restano sorpresi. Il Notaro si avvicina a Figaro.
dovevate in mia casa
stipular questa sera
il contratto di nozze
fra il conte d’Almaviva e mia nipote.
Gli sposi, eccoli qua. Avete indosso
la scrittura?
Il Notaio cava la scrittura.
Benissimo.
BASILIO.
Ma piano.
Don Bartolo … dov’è? …
CONTE chiamando a parte Basilio, cavandosi un anello dal dito, e additandogli di tacere.
Ehi, Don Basilio,
quest’anello è per voi.
BASILIO.
Ma io …
CONTE cavando una pistola.
Per voi
vi sono ancor due palle nel cervello
se v’opponete.
BASILIO prende l’anello.
Oibò, prendo l’anello.
Chi firma? …
CONTE E ROSINA.
Eccoci qua.
Sottoscrivono.
CONTE.
Son testimoni
Figaro e Don Basilio. Essa è mia sposa.
FIGARO E BASILIO.
Evviva!
CONTE.
Oh, mio contento!
ROSINA.
Oh, sospirata mia felicità!
FIGARO.
Evviva!
Nell’atto che il Conte bacia la mano a Rosina, Figaro abbraccia goffamente Basilio, ed entrano Don Bartolo e un Uffiziale con Soldati.
Scena ultima
Bartolo, un Uffiziale con Soldati, e detti.
BARTOLO additando Figaro ed il Conte all’Alcade ed ai soldati, e slanciandosi contro Figaro.
Fermi tutti. Eccoli qua.
FIGARO.
Colle buone, signor.
BARTOLO.
Signor, son ladri.
Arrestate, arrestate.
UFFIZIALE.
Mio signore,
il suo nome?
CONTE.
Il mio nome
è quel d’un uom d’onor. Lo sposo io sono
di questa …
BARTOLO.
Eh, andate al diavolo! Rosina
esser deve mia sposa: non è vero?
ROSINA.
Io sua sposa? Oh, nemmeno per pensiero.
BARTOLO.
Come? Come, fraschetta?
Additando il Conte.
Arrestate, vi dico,
è un ladro.
FIGARO.
Or or l’accoppo.
BARTOLO.
È un furfante, è un briccon.
UFFIZIALE al Conte.
Signore …
CONTE.
Indietro!
UFFIZIALE con impazienza.
Il nome?
CONTE.
Indietro, dico,
indietro …
UFFIZIALE.
Ehi, mio signor! basso quel tono.
Chi è lei?
CONTE.
Il Conte d’Almaviva io sono.
BARTOLO.
Il Conte! Ah, che mai sento!
Ma cospetto! …
CONTE.
T’accheta, invan t’adopri,
resisti invan. De‘ tuoi rigori insani
giunse l’ultimo istante. In faccia al mondo
io dichiaro altamente
costei mia sposa.
A Rosina.
Il nostro nodo, o cara,
opra è d’amore. Amore,
che ti fe‘ mia consorte,
a te mi stringerà fino alla morte.
Respira omai: del fido sposo in braccio,
vieni, vieni a goder sorte più lieta.
BARTOLO.
Ma io …
CONTE.
Taci …
BASILIO.
Ma voi …
CONTE.
Olà, t’accheta.
Cessa di più resistere,
non cimentar mio sdegno.
Spezzato è il gioco indegno
di tanta crudeltà.
Della beltà dolente,
d’un innocente amore
l’avaro tuo furore
più non trionferà.
E tu, infelice vittima
d’un reo poter tiranno,
sottratta al giogo barbaro,
cangia in piacer l’affanno
e in sen d’un fido sposo
gioisci in libertà.
Cari amici …
CORO.
Non temete.
CONTE.
Questo nodo …
CORO.
Non si scioglie,
sempre a lei vi stringerà.
CONTE.
Ah, il più lieto, il più felice
è il mio cor de‘ cori amanti;
non fuggite, o lieti istanti
della mia felicità.
CORO.
Annodar due cori amanti
è piacer che egual non ha.
BARTOLO.
Insomma, io ho tutti i torti …
FIGARO.
Eh, purtroppo è così!
BARTOLO a Basilio.
Ma tu, briccone,
tu pur tradirmi e far da testimonio! …
BASILIO.
Ah, Don Bartolo mio, quel signor Conte
certe ragioni ha in tasca,
certi argomenti a cui non si risponde.
BARTOLO.
Ed io, bestia solenne,
per meglio assicurare il matrimonio,
io portai via la scala del balcone.
FIGARO.
Ecco che fa un’INUTIL PRECAUZIONE.
BARTOLO.
Ma … e la dote? io non posso …
CONTE.
Eh, via; di dote
io bisogno non ho: va, te la dono.
FIGARO.
Ah, ah! ridete adesso?
Bravissimo, Don Bartolo,
ho veduto alla fin rasserenarsi
quel vostro ceffo amaro e furibondo.
Eh, i bricconi han fortuna in questo mondo.
ROSINA.
Dunque, signor Don Bartolo?
BARTOLO.
Sì, sì, ho capito tutto.
CONTE.
Ebben, dottore?
BARTOLO.
Sì, sì, che serve? quel ch’è fatto è fatto.
Andate pur, che il ciel vi benedica.
FIGARO.
Bravo, bravo, un abbraccio,
venite qua, dottore.
ROSINA.
Ah, noi felici!
CONTE.
Oh, fortunato amore!
FIGARO.
Di sì felice innesto
serbiam memoria eterna;
io smorzo la lanterna;
qui più non ho che far.
Smorza la lanterna.
ROSINA.
Costò sospiri e pianti
un sì felice istante:
alfin quest’alma amante
comincia a respirar.
CORO.
Amore e fede eterna
si vegga in voi regnar.
Fine